| « Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio » Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene.
Contrario alla pena di morte, i motivi li rimando a quelli del nostro grande letterato, filosofo e giurista che è stato Cesare Beccaria. La pena di morte non fa diminuire la frequenza dei misfatti, è inutile, oltre che un arbitrario sopruso di un uomo su un altro uomo: le leggi sono improprie ogniqualvolta « permettono che, in alcuni eventi, l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa ». Tanto meno ci si può accanire contro un solo cittadino per farne un esempio, perché « il passeggero spettacolo della morte di uno scellerato » è un episodio effimero, destinato ad essere presto dimenticato. È piuttosto l'immagine del galeotto, abbruttito dal suo stato di prigioniero, a costituire un mezzo per dissuadere gli altri a compiere un delitto che li porti alla stessa pena. L'uccisione può apparire agli osservanti come uno spettacolo o suscitare compassione: nel primo caso, i loro animi si indurirebbero, rendendolo più inclini al delitto, nel secondo diminuirebbe il senso di obbligatorietà della legge e il senso di fiducia nelle istituzioni. La morte di un cittadino può essere utile soltanto quando egli, pur rinchiuso in carcere, abbia tanto potere da costituire un pericolo per lo Stato.
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