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Il genocidio asburgico. 1866-1918, Come il governo di Vienna progettò e portò a compimento un genocidio di Italiani

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Rinascimento
view post Posted on 7/12/2012, 20:30




IL DOMINIO ASBURGICO IN ITALIA? IMPOPOLARE ED AVVERSATO A GIUDIZIO DEGLI STESSI AUSTRIACI
La dichiarazioni di parte italiana sulla “popolarità” del dominio austriaco in Italia e sull’adesione dei sudditi sono sostanzialmente concordi nell’affermare che, con poche eccezioni, gli Italiani sottoposti alla monarchia asburgica erano ad essa ostili od al massimo indifferenti. Se si guardano le fonti austriache, il giudizio non cambia. Le stesse autorità asburgiche sapevano bene che gli Italiani soggetti al dominio dell’Austria ne erano irriducibilmente avversi. Si possono portare alcuni esempi di questo:

-Il generale Clam Martinitz, il principale collaboratore del principe von Metternich, fu incaricato di valutare la situazione in Italia nel 1830 e di fare rapporto. La relazione evidenziò la debolezza e l’impopolarità del dominio austriaco in Italia. Il Clam Martinitz sosteneva che gli Italiani odiavano il regime asburgico e che l’unico modo che aveva l’Austria per conservare i suoi possedimenti in Italia era l’uso della forza, ovvero la presenza costante d’un massiccio esercito.

-L’ammiraglio Zichy, comandante in capo della flotta asburgica nel 1848, parlava ben prima della generale sollevazione del Lombardo-Veneto come di una terra del tutto ostile al dominio asburgico e sosteneva che bisognava attendersi un ammutinamento di tutti gli equipaggi della marina alla prima occasione propizia, ciò che poi effettivamente avvenne.

-Il generale von Schönhals, uno dei collaboratori di Radetzky, ricorda che nelle sue memorie che gli occupanti Austriaci erano odiati dagli Italiani, di tutte le classi sociali. Era particolarmente ostile era la classe dirigente italiana, ma anche quella media e popolare erano contrari alla presenza austriaca. Von Schönhals scriveva che erano pressoché assenti i legami fra i dominatori Austriaci e gli Italiani, fra i quali cresceva il risentimento verso i primi.

-Il feldmaresciallo Radetzky, per lungo tempo comandante in capo delle forze asburgiche in Italia e poi anche governatore del Lombardo-Veneto, dichiarava che era inutile tentare di riguadagnare la fedeltà degli Italiani e che esisteva una sola maniera di conservare i domini in Italia, ossia reggerli “con la spada in pugno”. Egli aggiungeva che in tutta Italia, dalle Alpi sino alla Sicilia, gli austriaci erano mortalmente odiati.

-L’arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello dell’imperatore, ammiraglio della flotta imperiale e poi vicerè del Lombardo-Veneto, scriveva che era necessaria una forte presenza militare in Italia, poiché nessun amministratore asburgico si sentiva in grado d’esercitare la propria attività senza essere assicurato e protetto dai militari.

-Il generale Karl Moering, Luogotenente del “Litorale” (ossia della Venezia Giulia) inviava nel 5 agosto 1869 una relazione al ministro Giskra. Egli scriveva che a Trieste la vita politica e sociale era interamente dominata da un blocco che riuniva quasi tutti gli Italiani e che era antigovernativo.

-Markus von Spiegelfeld, Luogotenente del Tirolo dal 1906 (quindi governatore anche del Trentino), aveva inviato nel 1912 un memorandum all'erede al trono Francesco Ferdinando d'Asburgo dichiarando che la popolazione del Trentino era interamente d'idee e sentimenti italiani: “Nazionale, anzi marcatamente nazionale, è tutta la popolazione laggiù”. [P. Pombeni, "Il primo De Gasperi. La formazione di un leader politico", il Mulino, Bologna 2007, pp. 183 sgg.]

Queste sono testimonianze di parte austriaca, al più alto livello, di molti personaggi d'assoluto rilievo, molto bene informati sulla realtà italiana (per il tramite di amministrazione, polizia, esercito ecc.), di diversi periodi e che ne abitualmente discutevano in relazioni riservate, in cui non avevano alcun motivo di mentire. Come si vede, le stesse autorità imperiali sapevano che gli Italiani erano ostili al loro dominio. Le testimonianze di parte austriaca combaciano in questo con quelle di parte italiana: il dominio asburgico era percepito dagli Italiani come straniero ed oppressore.
 
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Daniele Italico
view post Posted on 9/12/2012, 01:09




Adesso pero' sorge un dubbio. Se gli stessi austriaci confermano che gli italiani erano vittime di soprusi, o che erano risentiti e che meditavano la rivolta, come fa certa gente, o meglio, con che coraggio afferma che oggi si sta male e che sotto l'impero asburgico si stava meglio?
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 9/12/2012, 14:51




perche gli italiani si lamenterebbero anche se il pil crescesse al 7 % annuo e il reddito medio superasse i 30'000 euro pro capite....lamentarsi e sentirsi sempre defraudati di qualcosa,rifugiandosi in presunte eta dell'oro passate,(ventennio,impero asburgico,regno di napoli,persino l'impero romano e l'antica grecia)è tipico di una certa mentalità diffusa,da nord a sud della penisola
 
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Rinascimento
view post Posted on 11/12/2012, 11:21




Concordo sostanzialmente con l'amico Mazzini ed aggiungo solo che atteggiamenti simili sono diffusi anche nel resto del mondo. Credo esprimono un aspetto della psiche umana, che tende spesso ad idealizzare il passato. Storici delle religioni e psicologi hanno persino compiuto ricerche su questo aspetto.
Comunque, non credo possa esistere dubbio sul fatto che almeno a partire dal 1815 il dominio asburgico in Italia era percepito, certo con differenze di gradazione a seconda del periodo, della regione, della classe sociale ecc., quale estraneo.
Porto l'esempio del Trentino tra fine Ottocento ed inizio Novecento.




LE FORZE POLITICHE NEL TRENTINO ASBURGICO
Il Trentino asburgico vedeva tre partiti: il liberale; il cattolico; il socialista.

Il primo partito, quello liberale, era ritenuto a ragione il più favorevole all’Italia ed era, nei limiti del possibile (per evitare le persecuzioni ed il carcere) irredentista in modo radicale. Si tratta d’una scelta politica tanto nota da parte del liberalismo trentino (come anche quello triestino) che non è il neppure il caso d’approfondire la questione.

Il secondo partito, quello cattolico, ebbe naturalmente come suo massimo rappresentante De Gasperi. Questi si considerava italiano ed era fortemente critico nei confronti della politica austriaca, che egli definiva quale persecutrice agli Italiani del Trentino. Ad esempio, egli scriveva sul giornale “Trentino” che «l’Austria è composta di vari popoli: polacchi, ruteni, sloveni, croati, tedeschi, czechi,rumeni, italiani ecc. Tutte queste nazioni sono in base alla Costituzione eguali di fronte allo Stato. In realtà i tedeschi, benché non siano maggioranza, vogliono spadroneggiare. Così nel nostro Trentino tentano di invadere il nostro territorio, intedeschizzandoci; e vogliono amministrarci, come non fossimo capaci di fare da soli. Perciò noi diciamo: noi vogliamo l’integrità nazionale del Trentino. Attenderemo alla difesa dei confini linguistici e ci opporremo con tutte le forze a qualunque tentativo di diminuire il nostro possesso nazionale, da qualunque parte esso venga. Noi vogliamo l’elevazione nazionale del popolo nostro e cercheremo un graduale sviluppo ed aumento dei nostri beni nazionali. In questo lavoro noi ci ispireremo ai principi della giustizia, consapevoli dei nostri diritti, e degli altrui». Una questione molto sentita dagli Italiani sudditi dell’impero era la concessione d’una università in lingua italiana, che fu sempre negata. Quando fu fatta concessione davvero minima e parziale in proposito, con l’apertura d’un corso giuridico in lingua italiana ad Innsbruck, gli studenti ed i docenti furono assaliti in massa dagli abitanti locali, praticamente assediati ed infine arrestati in blocco (malgrado fossero stati assaliti e non assalitori) dalla polizia asburgica. Questo avvenne il giorno stesso dell’inaugurazione del corso, il 3 novembre 1904: le autorità asburgiche soppressero subito questo corso in lingua italiana e mai nessuna concessione venne fatta alla minoranza italiana al riguardo, nonostante il suo alto livello culturale. De Gasperi, come Battisti, era presente ad Innsbruck, fu arrestato (ingiustamente) dalla polizia e si fece quasi un mese d carcere. Questo uomo politico denunciò diverse volte apertamente e si batté contro i tentativi di germanizzare il Trentino ed affermò a chiare lettere che il governo austriaco si disinteressava dei problemi di questa regione e metteva in atto una politica persecutoria nei confronti dei suoi abitanti. Iniziata la guerra con l’aggressione dell’Austria alla Serbia, durante il periodo della neutralità italiana e nel corso delle trattative fra stato austriaco ed italiano per la cessione del Trentino, De Gasperi si recò tre volte a Roma ed ebbe colloqui con l’ambasciatore austriaco, Karl Macchio, con il pontefice Benedetto XV e con il ministro degli Esteri italiano Sidney Sonnino il 16 marzo 1915. Egli durante tali colloqui si mostrò favorevole al passaggio di Trento all’Italia. Durante il conflitto De Gasperi denunciò la politica di deportazioni forzate d’abitanti del Trentino in lager, doveva vivevano in condizioni inumane: egli parlava ancora di “germanizzazione” e di “sradicamento italiano”, il che si potrebbe tradurre nel linguaggio contemporaneo con l’espressione di pulizia etnica. Al Parlamento di Vienna, l’11 ottobre 1918, De Gasperi dichiarò esplicitamente che la popolazione del Trentino si aspettava dal trattato di pace il riconoscimento del principio nazionale e la sua effettiva applicazione agli italiani che vivevano sotto il dominio dell’impero: in altri termini, egli chiedeva per il Trentino il passaggio all’Italia. Quando si valutano queste posizioni di De Gasperi si ricordi sempre che il partito cattolico, dei tre esistenti nel Trentino sotto il dominio asburgico, era ritenuto quello più moderato riguardo alla questione nazionale!

Il terzo partito, quello socialista, ebbe naturalmente come suo massimo rappresentante Cesare Battisti. Non è il caso di spiegare quale fosse la posizione di Battisti, ossia del socialismo trentino, riguardo alla presenza austriaca: l’impiccagione di Battista per mano del boia venuto da Vienna, il pubblico dileggio prima dell’esecuzione capitale, l’esposizione del corpo al ludibrio con il carnefice sorridente dietro al corpo appeso dell’irredentista sono sufficienti a ricordarlo. Può essere invece utile citare una lettera di Cesare Battisti indirizzata a Benito Mussolini (allora socialista e direttore dell’”Avanti!”, che contribuì a far cambiare opinione quest’ultimo sull’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale e sulla questione della volontà del Trentino di staccarsi dall’Austria.
“Caro Mussolini, Vedo in una corrispondenza romana del tuo giornale messa in burletta una eventuale guerra italo-austriaca, per liberare… coloro che non hanno assolutamente alcun desiderio di staccarsi dall’Austria. Io non ho, nè mi arrogo, caro Mussolini, il diritto di parlare in nome di tutti gli irredenti, per quanto mi giungano da Trieste e dall’Istria voci di consentimento; ma sento di potere, di dovere anzi dire una franca parola in nome del Trentino. Il Trentino ci tiene a staccarsi dall’Austria. Se tu fossi stato lassù nei giorni angosciosi della mobilitazione te ne saresti convinto. Avresti assistito alla partenza coatta di oltre trentamila uomini, montanari, contadini, gente abituata da preti e da poliziotti alla rassegnazione. Eppur tutti fremevano d’odio, tutti partivano lanciando all’Austria la maledizione.
L’idea nazionale – non nel senso nazionalista, ma nel senso sano ed equilibrato di difesa di un proprio patrimonio di coltura – e per reazione al Governo austriaco fattosi sempre più feroce e per l’attrazione ed il fascino esercitato dall’incontestato progresso economico d’Italia – ha pervaso tutto e tutti. [...] E c’è non in questo o in quel partito. C’è nel cuore di tutto il popolo.
[...] e son uomini delle più disparate classi sociali, avvocati, professori, contadini, operai, vecchi e giovani, ricchi e poveri, qui venuti nella speranza di tornare presto lassù con le armi in pugno. Per un tacito patto essi sono fino ad oggi vissuti oscuri, modesti, senza far parlare di sé.
Io rompo oggi la consegna per gridar con loro la mia protesta, per dire ai fratelli d’Italia: ‘Se l’Italia non può ricordarsi di noi, irredenti, sia. Se l’operare per la nostra redenzione dovesse recarle rovina, noi subiremo ancora il servaggio. Sia tutto questo! Dimenticateci, se volete, ma non dite che noi non vogliamo staccarci dall’Austria. È un’offesa. È una bestemmia”. Cesare Battisti quindi non solo era irredentista acceso, ma sosteneva che la maggioranza dei Trentino lo fosse.


In conclusione, è incontestabile che tutte e tre le forze politiche del Trentino asburgico, i partiti liberale, cattolico, socialista, fossero, nonostante le grandi differenze ideologiche che li separavano, concordi nel denunciare la politica oppressiva e persecutoria dell’Austria verso gli Italiani ed a sostenere posizioni irredentistiche. Mi pare impossibile negare che la maggioranza o la stragrande maggioranza dei Trentini fossero favorevoli all’unione con l’Italia.-
 
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view post Posted on 13/12/2012, 22:14

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Ho sentito oggi le lamentele di un mio conoscente ladino sul fatto che il ladino sta sistematicamente sparendo dai servizi pubblici provinciali altoatesini/sudtirolesi, come a seguire un modello sistematico.
Come altre volte ho dileggiato il mio conoscente, indicandolo quale causa del proprio male in quanto, come la stragrande maggioranza dei ladini della sua provincia, ha votato svp.
A parte gli scherzi però in realtà sono solidale con lui e con i ladini e credo che i la continua germanizzazione dell'area retoromanza sia un fenomeno purtroppo mai arrestato.
Volevo chiedere quindi a Rinascimento, che già ha trattato più volte l'argomento, se ha informazioni riguardo le tempistiche della germanizzazione delle varie aree dell'Alto Adige.
Lo ringrazio ovviamente in anticipo :)
 
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Rinascimento
view post Posted on 16/12/2012, 10:26




Caro Dardanide,
quale informazione l'avrei, anche se preferirei sistemarla prima di presentarla, per non scrivere cose erronee. Se mi lasci qualche tempo proverò a rispondere.

Per ora dico solo, molto rapidamente, che l'Alto Adige ha attraversato almeno quattro fasi principali di germanizzazione:
-gli anni posteriori al 1348
-l'era di Massimiliano d'Asburgo
-l'era di Maria Teresa
-l'era di Francesco Giuseppe
La germanizzazione era iniziata già prima del secolo XIV, ma in maniera molto graduale e lenta, tanto che, per quanto è dato capire, i gruppi italiani conservavano la maggioranza nella regione.

Sarò più preciso in seguito, scusami!
 
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view post Posted on 17/12/2012, 20:09

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Grazie mille! Non ti preoccupare per le tempistiche, ho imparato da tempo che un tuo intervento vale bene l'attesa.
Tra i periodi di germanizzazione del territorio ladino aggiungerei (un po' come provocazione) anche un quinto periodo: oggi!
La grande tutela per i ladini che il nostro Stato offre funziona molto bene nei comuni dove i ladini sono maggioranza, ma dove sono minoranza (anche enorme!) l'autonomia provinciale favorisce sempre il gruppo germanofono.
Ancor peggio nei Grigioni...
 
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view post Posted on 18/12/2012, 16:32
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Sono anni che sento i ladini lamentarsi di questa cosa, dei territori "germanizzati"...
 
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Rinascimento
view post Posted on 20/12/2012, 15:14




Caro Dardanide,
ti rispondo per quanto ne so.
E' probabile che ciò che qui riporto contenga diversi errori, anche se, nelle linee di massima, dovrebbe corrispondere al vero. La questione della germanizzazione dell'Alto Adige è complessa, controversa ed in parte oscura.



LA GERMANIZZAZIONE DELL'ALTO ADIGE OVVERO IL GENOCIDIO CULTURALE DEI LADINI

I] La lunghissima italianità dell’Alto Adige. Dalla Preistoria al V secolo dopo Cristo.
È bene premettere subito che la questione del popolamento in Alto Adige dopo la caduta di Roma è notevolmente delicata e complessa, poiché tale regione ha conosciuto mutamenti sostanzialmente continui della propria composizione etnica, che però sono difficilmente ricostruibili, specialmente per l’Alto Medioevo.
Risulta in ogni caso necessario anteporre alcuni dati essenziali su ciò che si deve considerare quale “il punto di partenza”. La più antica popolazione umana conosciuta della regione era quella dei Reti, un popolo preindoeuropeo strettamente imparentato con i Liguri, gli Etruschi, insomma i cosiddetti “Mediterranei”, che costituivano i più remoti abitanti della penisola italiana, prima ancora dell’arrivo degli Indoeuropei attorno al II millennio a.C. I Reti abitavano inizialmente tutta l’Italia del nord-est e s’estendevano ad oriente fino a comprendere la maggior parte dell’attuale Austria. I Veneti li sostituirono nelle terre di pianura degli attuali Veneto e Friuli, mescolandosi però a loro, mentre i Reti continuarono ad essere maggioritari nelle terre alpine ed ad abitare nelle Alpi centrali ed orientali, sia in quelle cisalpine, sia in quelle transalpine. La configurazione etnica dell’Alto Adige ed in generale del nord-ovest della penisola alla vigilia dell’affermazione di Roma era quindi analoga a quella del resto d’Italia, con una sostanziale fusione fra gli antichissimi Mediterranei (tali erano i Reti), discendenti dei gruppi di Homo sapiens sapiens che sostituirono i neandertaliani in Italia, ed i più “recenti” Indoeuropei, che però abitavano nella penisola dal II millennio a.C. Malgrado le indubbie differenze, si era venuta costituendo una crescente affinità culturale, che rendeva i differenti popoli della penisola molto simili fra loro: è la condizione che è stata definita “panitalianesimo”.
Su questa base culturale comune s’innestò la posteriore unificazione politica, giuridica e linguistica romana. L’attuale Alto Adige fu inserito, nell’organizzazione augustea dell’Italia, nella X Regione “Venetia et Histria” (che comprendeva l’attuale Triveneto dal Brennero al Carnaro) e a livello locale, nel “Districuts” avente a capoluogo Tridentum (Trento). Tale regione era quindi ritenuto parte dell’Italia già in epoca augustea ed i suoi abitanti erano “cives” romani, ossia si riconosceva la loro compiuta romanizzazione.
A titolo di conferma, il romancio, il ladino ed il friulano, ossia le lingue retoromanze, sono certamente lingue locali con loro specificità, ma sono riconosciute abitualmente dai glottologi quali appartenenti al gruppo linguistico detto “italo-romanzo”, che comprende quasi tutte le lingue locali esistenti in Italia, con esclusione solo delle minuscole minoranze germanofone, slavofone, francofone e grecofone. In altri termini, romancio, ladino e friulano non solo sono lingue neolatine, ma appartengono al ceppo romanzo tipicamente italiano, distinto da quelli d’Oltralpe o dell’Europa orientale. Gruppi retoromanzi, ossia di Reti romanizzati o per meglio dire di Romani d’origine retica esistevano però lungo tutto l’arco alpino nord-orientale, dove anzi erano la maggioranza della popolazione, anche nell’attuale Austria.


II] Il genocidio dei retoromanzi nelle terre transalpine.
Come è ben noto, il Danubio rimase approssimativamente sino alla caduta di Roma il confine fra il mondo latino e quello germanico. La rottura del limes dell’impero condusse ad un’irruzione di genti germaniche nell’attuale Austria già nel V secolo d.C. e poi, dal VI secolo avanzato, di tribù slave nell’attuale Slovenia e quindi nelle Alpi orientali. È difficilissimo ricostruire con esattezza i mutamenti etnici, anzi a quanto risulta al sottoscritto è al momento impossibile. Non esiste invece dubbio su ciò che è successo a grandi linee: i latinofoni sono stati praticamente sterminati nell’attuale Austria orientale, in parte dai Germani, in parte dagli Slavi. Una maggiore sopravvivenza si ebbe in Austria occidentale, dove d’altronde pare si rifugiassero dei profughi Romani provenienti da oriente, ma questo non impedì comunque una germanizzazione della regione austriaca transalpina, che era iniziata al principio del VI secolo ed era già compiuta nell’Alto Medioevo.
Maggiore durata ebbero gli insediamenti retoromanzi sulle Alpi orientali. Ancora nel Basso Medioevo, nel secolo XIV, esistevano comunità “italiane” di lingua retoromanza sull’alto e sul medio Isonzo, presso Postumia e sul monte Nevoso, quindi in zone che secoli dopo apparivano compattamente slavizzate. Il compatto popolamento sloveno sulla maggior parte delle Alpi orientali è quindi storicamente assai recente e si è realizzato soltanto con la cancellazione delle preesistenti comunità italiane e romanze, molte delle quali sopravvivevano ancora in pieno Trecento.
I latini del Norico, dell’Helvetia centrale, delle Alpi orientali, romanizzati e discendenti dai Reti, furono quindi od uccisi od assimilati brutalmente. Alcuni trovarono scampo spostandosi ad occidente, dove si congiunsero ai connazionali ivi residenti. Il destino dei Romani di tali regioni fu quindi paragonabile, mutatis mutandis, a quello degli abitanti dell’Illiria, che furono in massima parte sterminati dagli Slavi invasori, mentre i superstiti si rifugiavano in Dalmazia.


III] La fase delle invasioni germaniche in Alto Adige
Se la germanizzazione dell’antico Norico (l’attuale Austria) e la slavizzazione delle Alpi orientali (alta e media valle dell’Isonzo, monte Nevoso ecc.) avvenne con relativa rapidità ed in maniera assai violenta (in Austria orientale i latini furono praticamente sterminati), al contrario nelle Alpi centrali svizzere ed in Alto Adige fu un processo molto più lungo e lento. Certamente per tutto l’Alto Medioevo i latini rimasero la maggioranza nel bacino settentrionale dell’Adige e nella valli laterali.
Le invasioni degli Ostrogoti e dei Longobardi non modificarono in misura rilevante il popolamento dell’area, poiché ambedue questi popoli erano numericamente scarsissimi rispetto agli “Italiani” dell’epoca (cfr. ad esempio l’ottimo studio del medievista Stefano Gasparri, Prima delle nazioni). Inoltre i primi scomparvero dalla penisola dopo la loro sconfitta nella guerra goto-bizantina, mentre i secondi si assimilarono gradualmente senza lasciare altro che pochissime tracce nella posteriore cultura italiana: alcuni nomi e cognomi, alcuni toponimi, alcuni termini della lingua italiana, rarissime eredità folkloriche.
Per vedere un inizio della germanizzazione dell’Alto Adige bisogna chiamare in causa i Baiuvari, antenati dei Bavari. Costoro invasero la regione e riuscirono a controllarla soltanto dopo un’accanita resistenza dei latini, guidati dal loro vescovo Ingenuino. Quello dei Baiuvari è il primo vero insediamento germanico in Alto Adige, ma consisté sostanzialmente d’una ristretta cerchia di militari che dominavano la popolazione locale asservita. La situazione non mutò sotto il dominio dei Franchi. Sino all’anno Mille circa la presenza germanica in Alto Adige fu quindi molto scarsa.


IV] Dopo l’anno Mille.
È con la dinastia degli Ottoni che si ha invece un primo vero impulso alla germanizzazione in profondità dell’alto bacino dell’Adige, con un processo comunque molto lento ed “a macchia di leopardo”, che inizia all’incirca a cavallo dell’anno Mille.
Un evento di particolare gravità sul piano della germanizzazione fu la decisione dell’imperatore Corrado II (1024-1033) di concedere poteri territoriali ai vescovi di Bressanone e di Trento. Questa decisione infatti spezzò la tradizionale, antichissima unità amministrativa dell’Italia nord-orientale, che poggiava su di un continuum culturale risalente sino alla Preistoria o quantomeno all’epoca romana. L’espressione “Triveneto” talora ancora oggi impiegata ricalca infatti approssimativamente tale anteriore unità culturale.
La nobiltà e il clero d'Oltralpe furono i principali motori di tale germanizzazione, che ora non fu più superficiale e limitata (nella massima parte) al ceto dominante come avveniva in passato, ma estesa a tutte le classi sociali. Gli imperatori tedeschi concedendo terre e feudi a loro fedeli facilitarono il trapianto d’intere comunità germaniche in terra altoatesina, che per quanto piccole erano “organiche” e comprendevano militari, ecclesiastici, artigiani, commercianti, contadini.
Il governo della regione spettava formalmente al principato vescovile di Trento, che esistette sino al 1802 e fu rappresentato solitamente da vescovi italiani e residenti in una città italiana nel cuore d’una regione italiana. Tuttavia, di fatto era sopravvenuta una graduale usurpazione dei suoi diritti nell’Alto Adige ad opera dei conti del Tirolo a partire dal secolo XII, il cui Land però era, su di un strettamente piano giuridico, esistente solo ed unicamente a settentrione del Brennero. Infatti, il conte tedesco del Tirolo rimase per lunghi secoli, sul piano formale, un semplice advocatus del principe legittimo del territorio, ovvero il vescovo di Trento, anche se di fatto la maggior parte delle prerogative di quest’ultimo sull’Alto Adige furono progressivamente usurpate.


V] Il secolo XIV.
Il Trecento è un secolo cruciale nella germanizzazione dell’Alto Adige. Ancora Dante ad inizio del secolo, anche per l’influsso della definizione d’Italia nella geografia amministrativa romana, fissava i confini della nazione italiana presso Nizza a ovest, sul Carnaro a est (“Sì com’a Pola, presso del Carnaro, ch’Italia chiude e i suoi termini bagna”), sul Brennero a nor: “Suso in Italia bella giace un laco, a piè dell’Alpe che serra Lamagna sovra Tiralli, ch’ha nome Benaco”. La Germania iniziava pertanto per il Poeta a settentrione di “Tiralli”, del Tirolo, che era quindi compreso nell’area italiana.
L’epidemia di “Peste nera” che colpì in modo durissimo l’Europa intera a metà del Trecento (inizio nel 1348) condusse ad tracollo della popolazione in Alto Adige, che venne in parte colmato con l’afflusso di coloni tedeschi provenienti da regioni in cui il morbo aveva meno infierito.
Inoltre nel 1364 gli Asburgo si sostituirono nel dominio della regione ai conti del Tirolo, intensificando il processo di germanizzazione per il tramite dei propri feudatari e dei propri ecclesiastici, i quali, proprietari d’enormi latifondi in terra altoatesini, trapiantavano coloni tedeschi. Inoltre il dominio asburgico facilitò l’immigrazione di commercianti provenienti dalla Germania nei piccoli centri urbani a sud del Brennero.


VI] Massimiliano I d’Asburgo.
Massimiliano I (1459-1519) stabilì la sede della propria corte ad Innsbruck, nel Land del Tirolo storico (a sud del Brennero almeno formalmente sussisteva il principato ecclesiastico del Trentino, che comprendeva tutto l’attuale Trentino-Alto Adige). Fu sotto la sua sovranità che si ebbe il passaggio da una maggioranza italiana in Alto Adige ad una tedesca.
È quanto sostiene, fra gli altri, uno studioso d’importanza capitale quale Carlo Battisti, autore di moltissimi e monumentali studi sulla regione, sui ladini ecc. Egli sostenne infatti soltanto alla fine del Quattrocento la popolazione germanica divenisse prevalente rispetto a quella italiana (trentina e ladina) nella valle dell’Adige. La bassa atesina e la stessa Bolzano erano rimaste sino a metà del secolo XV con forti presente italiane. Al termine del regno di Massimiliano I apparivano invece sicuramente germanizzati i territori di Ora, Fiè, Tires, Laion e la Val d’Ega, che erano stati invece ancora nel recente passato a popolamento ladino.
Le misure amministrative e le norme giuridiche vigenti sotto questo imperatore contribuirono alla regressione dell’elemento italiano nella regione. Il territorio della Ladinia era ripartito in una serie di “giudizi”, unità amministrative che ricalcavano le anteriori comunità: Giudizio di Gudon; Giudizio di Selva; Giudizio di Ciastel; Giudizio di Mareo-Badia; Giudizio di Tor; Giudizio di Fodom; Giudizio di Fassa; Giudizio di Fiemme; Giudizio di Ampezzo. La lingua ufficiale impiegata nei “Giudizi” era il tedesco, cosicché anche la toponomastica era riportata in tale lingua e, frequentemente, l’onomastica stessa veniva stravolta e germanizzata.


VII] La Controriforma.
Dopo il periodo di Massimiliano I, durante il quale si era avuta un’intensa germanizzazione e per la prima volta il gruppo germanico aveva superato numericamente quello italiano, quest’ultimo riprese a crescere, sino quasi a bilanciare quello tedesco. All'inizio del XVII secolo il ladino era ancora parlato nel “giudizio” di Castelrotto, in val di Fiemme, val di Non, val Pusteria, Neva Ladina, Zoldo, Agordo …, mentre questa lingua era forte in val Venosta quanto lo è oggi in val Gardena. Esisteva ancora nei secoli XVI-XVII una continuità territoriale fra le aree ladine dell’Alto Adige e quelle romance della Svizzera, specialmente per il tramite dell’alta val Venosta e dei suoi legami con le valli svizzere del Monastero e dell’Engadina, la cui lingua era all’epoca praticamente la stessa. Tale contiguità fu spezzata dalle politiche imperiali. L’impero asburgico, ossia i possessi ereditari della casa d’Austria (distinto dal Reich tedesco in senso proprio) era all’epoca, come sempre rimase, molto differenziato e multietnico al suo interno. Uno degli strumenti a cui si fece ricorso per cercare di fondare un qualche unità culturale dei suoi domini, che non era affatto preesistente, fu una politica tesa alla conversione forzata al cattolicesimo. I possessi asburgici apparivano prima della guerra dei Trent’anni molto diversificati anche religiosamente al loro interno e la presenza protestante era assai forte anche in regione da cui poi sparì completamente. Le stesse aristocrazie austriaca ed ungherese apparivano ad inizio Seicento in buona misura aderenti alla Riforma. Fu interesse sia del governo imperiale, sia della chiesa cattolica austriaca promuovere una progressiva eliminazione degli elementi protestanti.
Questa direttrice, praticata coerentemente e con decisione per tutto il “secolo di ferro” delle guerre di religione, coinvolse anche i ladini dell’Alto Adige. Questi erano tutti cattolici, ma confinavano direttamente ed erano difficilmente distinguibili all’epoca dai romanci svizzeri, abitanti appunto le valli del Monastero e dell’Engadina, i quali invece si erano convertiti al protestantesimo. Il timore d’una infiltrazione della Riforma in Alto Adige per il tramite della continuità culturale dell’area retoromanza indusse ad una politica di germanizzazione dei territori imperiali di confine con la confederazione elvetica.


VIII] Maria Teresa d’Asburgo.
Furono germanizzate con la forza durante il regno teresiano intere valli ancora ladine e la maggior parte della Val Venosta, che era rimasta sino ad inizio Settecento di lingua neolatina. In primo luogo, le autorità imposero una serie di misure repressive, che imponevano l’uso esclusivo del tedesco in una serie di ambiti: nelle pubbliche riunioni; nelle prediche in chiesa, nelle confessioni ed in generale nell’attività pastorale ecc. In secondo luogo, furono promosse misure discriminatorie nei confronti di coloro che si servissero del ladino nella propria vita domestica e familiare, limitandone i diritti civili, quali la possibilità d’esercitare alcune professioni o persino di contrarre matrimoni. In terzo luogo, molte usanze caratteristiche dei ladini furono proibite, sempre al fine di farne perdere l’identità. In quarto luogo, l’imperatrice Maria Teresa in persona emanò un decreto segreto, che imponeva la germanizzazione dei cognomi ladini dell’Alto Adige, servendosi per far questo dell’operato del clero, imposto abitualmente in lingua tedesca e fedele all’impero. Ancora oggi sono moltissimi i cognomi ladini così germanizzati, tramite l’aggiunga di una –er finale (come avvenne per Elemunt divenuto Elemunter, o Melaun, divenuto Melauner), oppure tramite una loro traduzione in tedesco (ad esempio, facendo diventare Costalungia un Kastlunger, Granruac un Großrubatscher ecc.).
La maggior parte della Val Venosta fu così germanizzata sotto il governo degli “illuminati” sovrani Maria Teresa e Giuseppe II, ritenuti i sovrani della casa d’Austria più tolleranti ed aperti. I ladini che erano riusciti a resistere a tale pressione germanizzatrice furono gradualmente assimilati nel corso dell’Ottocento, cosicché pochissimi gruppi romanci rimanevano in Val Venosta ad inizio del secolo XIX. Un entusiastico sostenitore della germanizzazione dei ladini e dei romanci nell’epoca teresiana fu l’abate del convento di Santa Maria in alta val Venosta, Mathias Lang.
Simili comportamenti germanizzatori furono comuni all’attività di governo di Maria Teresa, che si rese responsabile d’iniziative analoghe a quelle sopra descritte, od anche peggiori, in diverse parti del suo impero, come la Boemia, la Croazia, l’Ungheria e la Romania. L’imperatrice inoltre emanò un editto in cui autorizzò il rapimento di bambini figli di famiglie zingare, per poterli crescere in ambiente tedesco e così renderli di cultura austriaca: i casi di ratto in tal modo autorizzati furono molte migliaia.


IX] Francesco Giuseppe d’Asburgo.
La situazione non cambiò, se non in peggio, nel periodo compreso fra la Restaurazione e la prima guerra mondiale (1815-1918). Già lo storico Giuseppe Frapporti in Della storia e della condizione del Trentino nell’antico e nel medioevo (Trento 1840) poneva in evidenza il carattere intrusivo e sopraffattore e l’opera di germanizzazione forzata degli abitanti della contea del Trentino (che comprese sino al 1803 l’intero attuale Trentino-Alto Adige) operata dalle autorità politiche austriache. Egli fece risaltare in questo anche lo stravolgimento sistematico della toponomastica e dell’onomastica e la continuità di tale operato nei secoli.
Teoricamente la costituzione austriaca del 1867 prevedeva tutele culturali per le popolazioni dell’impero, incluse quelle diverse dai due gruppi dominanti, ma nettamente minoritari, degli Austriaci e dei Magiari. Di fatto, esistevano etnie privilegiate ed altre discriminate, più o meno pesantemente. I Ladini, pochissimi di numero, assai poveri in media e totalmente emarginati sul piano politico non ottennero riconoscimento alcuno.
Essi vennero strumentalmente tenuti distinti dalle autorità austriache dagli Italiani, nonostante la loro lingua fosse e sia appartenente al gruppo linguistico italo-romanzo (non diversamente, ad esempio, dal piemontese, dall’umbro o dal siciliano), col preciso intento di suddividere od anche mettere gli uni contro gli altri i Ladini ed i Trentini.
La popolazione ladina non dovette soffrire soltanto dell’acculturazione forzata da parte delle autorità austriache, ma anche dell’operato di associazioni pangermaniste, molto attive in tutto il “Tirolo” asburgico e che suscitarono la preoccupazione e lo sdegno dello stesso partito popolare trentino, del vescovo di Trento e di Alcide De Gasperi.
La politica scolastica austriaca danneggiò fortemente la comunità ladina. La sua lingua non fu inserita nei programmi d’insegnamento scolastici e si cercò a più riprese di togliere dalle scuole quel poco d’italiano che era insegnato. Gli istituti scolastici della Ladinia vedevano infatti quasi esclusivamente adoperato il tedesco, con diversità a seconda dei luoghi (val Badia, val Gardena, val di Fassa ecc.). Furono comunque ricorrenti i tentativi d’imporre una germanizzazione scolastica integrale. Semplificando per brevità, si può dire che le scuole insegnavano principalmente in tedesco, che l’italiano era insegnato per poche ore settimanali e risultava spesso facoltativo, mentre il ladino non era adoperato affatto. La situazione s’aggravò ulteriormente durante il primo conflitto mondiale, quando le autorità militari colsero il pretesto della guerra per programma la germanizzazione di tutto il Trentino-Alto Adige ed intraprenderla con brutalità. Anche i Ladini ne furono colpiti e tutte le scuole di val Badia, val di Fassa e val Gardena furono germanizzate. Contemporaneamente si procedeva anche alla germanizzazione della toponomastica. Soltanto la sconfitta dell’Austria nel primo conflitto mondiali impedì che il piano di totale intedescamento del Trentino e dell’Alto Adige fosse portato a compimento.


X] Conclusione.
Il gruppo linguistico retoromanzo occupava in passato un’area che comprendeva (ricorrendo alla terminologia geografica attuale) i Grigioni, l’Alto Adige, il Friuli, le Alpi orientali, l’Austria. Oggi invece include soltanto la piccolissima comunità di lingua romancia nei Grigioni, l’ancora più minuscola “isola” ladina al di qua delle Alpi, i friulani. Si noti che la progressiva scomparsa dei retoromanzi è avvenuta a causa di stermini ed assimilazioni forzate compiute da gruppi linguistici germanici ed in misura minore slavi. Infatti tutta l’attuale Austria, le Alpi orientali, buona parte delle Alpi centrali svizzere erano di lingua retoromanza prima dell’arrivo di questi invasori; tranne che la piccolissima comunità romancia in Svizzera, oltralpe i retoromanzi si sono estinti. Anche l’Alto Adige era latifono, mentre oggi i ladini sopravvivono soltanto in un’area assai piccola (Badia, Gardena, Fassa, Livinallongo, l’Ampezzano) e sono ridotti a poche decine di migliaia di persone. L’unica area in cui i retoromanzi non hanno conosciuto significative riduzioni è, non casualmente, quella del Friuli, che sebbene confinante col mondo germanico e slavo è rimasta per lo più indenne dai fenomeni di germanizzazione e slavizzazione che hanno travolto la maggior parte dell’ampia regione un tempo. È significativo che oggi fra i circa 770 mila retoromanzi esistenti ben 700 mila vivano in Friuli, mentre i ladini ed i romanci sono all’incirca rispettivamente di 30 e 40 mila unità.
Questo vero genocidio, culturale ma in parte anche fisico nella fase delle invasioni del primo Medioevo, ha visto le zone di popolamento retoromanzo progressivamente erose come da una marea.
 
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view post Posted on 24/12/2012, 14:16

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Grazie mille per il contributo! E ovviamente Auguri!
 
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view post Posted on 25/12/2012, 20:51
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Ottimo contributo, Rinascimento (come al solito).
 
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view post Posted on 10/1/2013, 16:46
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CITAZIONE (Rinascimento @ 20/12/2012, 15:14) 
L’unica area in cui i retoromanzi non hanno conosciuto significative riduzioni è, non casualmente, quella del Friuli, che sebbene confinante col mondo germanico e slavo è rimasta per lo più indenne dai fenomeni di germanizzazione e slavizzazione che hanno travolto la maggior parte dell’ampia regione un tempo. È significativo che oggi fra i circa 770 mila retoromanzi esistenti ben 700 mila vivano in Friuli, mentre i ladini ed i romanci sono all’incirca rispettivamente di 30 e 40 mila unità.
Questo vero genocidio, culturale ma in parte anche fisico nella fase delle invasioni del primo Medioevo, ha visto le zone di popolamento retoromanzo progressivamente erose come da una marea.

Non oso pensare cosa sarebbe potuto succedere a quei romanci e ladini se l'Italia fosse finita nelle mani sbagliate... :cry:
 
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view post Posted on 13/1/2013, 15:58

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Andrebbe ricordato a chi quelle altre mani ancora le auspica.
 
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Rinascimento
view post Posted on 6/3/2013, 21:37




I PROFUGHI DOPO CAPORETTO E LE VIOLENZE DELL’ESERCITO IMPERIALE SULLA POPOLAZIONE CIVILE ITALIANA
La sconfitta di Caporetto e la conseguente invasione delle truppe imperiali provocarono un afflusso di profughi enorme. Il totale di profughi civili italiani dopo Caporetto è stato valutato superiore alle 630 mila unità e raggiunse nell’area del Friuli e del Veneto occupato una quota di popolazione calcolata attorno ad un quinto (il 20% circa) del totale degli abitanti.
Le cause di questo esodo di gigantesche proporzioni, certamente di molto superiore al mezzo milione fra uomini, donne e bambini, furono diverse: una parte di questi profughi furono allontanati per ordine delle autorità militari, mentre invece altri fuggirono dinanzi alle gravi violenze dell’invasore, si ritrovarono senza casa per i bombardamenti ecc. Non esiste alcun dubbio comunque che l’operato delle armate austro-ungariche dopo Caporetto fu decisamente brutale nei confronti delle popolazioni civili italiane e tali da spingere moltissimi di loro alla scelta della fuga.
Può dare un’idea dell’estensione delle violenze e dei crimini di guerra dell’esercito imperiale ai danni dei civili italiani il fatto che, dopo la guerra, un’apposita commissione d’inchiesta su questi accadimenti raccolse una documentazione così smisurata da riempire sette interi volumi, le Relazioni della Reale Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal nemico, pubblicate fra il 1920 ed il 1921.
Le requisizioni di beni, anche di prima necessità, furono massicce, accompagnate a vere e proprie razzie e saccheggi, tanto che l’anno d’occupazione militare degli invasori divenne noto nell’Italia del nord-est come “l’anno della fame”. Avvennero poi numerosissimi stupri, favoriti dall’atteggiamento sostanzialmente indifferente delle autorità militari asburgiche, assassini ed aggressioni.
È molto interessante nella prospettiva degli atteggiamenti delle popolazioni italiane nei confronto del governo asburgico scoprire che vi erano anche moltissimi profughi, nell’ordine delle decine di migliaia, provenienti dal territorio imperiale e che scelsero di fuggire all’arrivo delle truppe austriache, a dimostrazione del fatto che queste erano considerate nemiche a tutti gli effetti; invasori e non certo liberatori. Fuggirono al di là del Piave, trovando rifugio nel territorio italiano, quasi 36 mila trentini, circa 24 mila goriziani, 19 mila triestini, 3 mila istriani, 2 mila fiumani ed attorno ai 3 mila e 500 dalmati. Il totale di sudditi asburgici di nazionalità italiana che scapparono davanti all’avanzata delle truppe austro-ungariche dopo Caporetto ammontò quindi ad una cifra che s’aggirò attorno alle 87.000 unità. Questa cifra, già alta di per sé, deve essere inoltre valutata tenendo conto che, per forza di circostanze, la stragrande maggioranza degli abitanti italiani di queste zone era rimasta dall’altra parte del fronte. Praticamente, quasi tutti gli Italiani sudditi asburgici che si erano trovati in territorio italiano al momento di Caporetto scapparono davanti alle armate imperiali.


Alcuni riferimenti bibliografici sull’argomento: G. BERTI-P. DEL NEGRO (a cura di), Al di qua e al di là del Piave. L’ultimo anno della Grande Guerra, Milano, Franco Angeli, 2001; B. BIANCHI, La violenza contro la popolazione civile nella Grande Guerra. Deportati, profughi, internati, Milano, Unicopli, 2006; DANIELE CESCHIN, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande Guerra, Roma-Bari, Laterza, 2006; G. CORNI, Storia della società friulana 1914-1925; ELPIDIO ELLERO, Storia di un esodo. I friulani dopo la rotta di Caporetto 1917-1919, Pasian di Prato, Lithostampa, 2001; CAMILLO PAVAN, In fuga dai tedeschi. L'invasione del 1917 nel racconto dei testimoni, Treviso, Camillo Pavan Editore, 2004;
 
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view post Posted on 11/3/2013, 10:56
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E dire che ancora oggi c'è gente che difende gli Asburgo. Vorrei conoscere in dettaglio i crimini commessi da quella gente sul nostro popolo. Chissà se in biblioteca si trova qualcosa riguardo le Relazioni della Reale Commissione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti delle genti commesse dal nemico degli anni venti.
Poco fa ho letto un articolo dove si parlava delle armi che le SS tedesche avrebbero lasciato ai secessionisti per facilitarli nel loro compito di separazione. Se lo trovo, lo posto...
 
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