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Il genocidio asburgico. 1866-1918, Come il governo di Vienna progettò e portò a compimento un genocidio di Italiani

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Daniele Italico
view post Posted on 3/8/2012, 20:20




CITAZIONE (Rinascimento @ 1/8/2012, 16:32) 
Utili anche le osservazioni del dottor Andrea Virga della Scuola Normale Superiore di Pisa: http://sinergiealternative.net/website/, http://sinergiealternative.net/website/201...ato-giuliana-4/.

Rinascimento, se io pigio la pagina sopra indicata, ottengo solo una pagina di spam.
 
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Rinascimento
view post Posted on 4/8/2012, 17:02




L'AUSTROSLAVISMO ED IL PROGETTO DI SNAZIONALIZZAZIONE DEGLI ITALIANI
Il cosiddetto austroslavismo indicò una corrente politica largamente diffusa (anche) presso Sloveni e Croati che si prefiggeva il conseguimento dei propri obiettivi nazionali e nazionalistici all’interno del regime asburgico e con la sua collaborazione. L’austroslavismo era diffuso presso varie popolazioni slave dell’impero, come i Cechi, naturalmente accanto a movimenti separatisti. Ciò che qui interessa è la sua presenza presso gli “slavi del sud”. La finalità di tale movimento, beninteso piuttosto variegato, era per i suoi aderenti Sloveni e Croati quello del “trialismo”, ossia la costituzione di un terzo “regno”, accanto ad Austria ed Ungheria. che avrebbe dovuto comprendere Sloveni e Croati ed appagare le loro aspirazioni.
L’austroslavismo incontrò la simpatia ed il sostegno di settori consistenti della classe dirigente austriaca e fu sostenuto da personaggi cruciali del nazionalismo slavo come J. J. Strossmayer, J. Dobrila, Janez Evangelist Krek, Anton Mahnic. [cfr. Moritsch A., “Der Austroslawismus. Ein verfrühtes Konzept zur politischen Neugestaltung Mitteleuropas”, Wien 1996].


L’austroslavismo fu, è bene ripeterlo, alquanto variegato al suo interno. Molti politici sloveni però suggerivano la creazione d’una nuova unità amministrativa, posta all’interno dell’impero asburgico, che avrebbe dovuto comprendere assieme la Carniola, la Stiria meridionale, la Carinzia meridionale, ma anche terre in cui gli Italiani erano maggioranza, come il cosiddetto Litorale (la Venezia Giulia), quindi Trieste, l’Istria, la contea di Gorizia e Gradisca, nonché la Dalmazia. Si giungeva persino a rivendicare territori italiani al di là dell’Isonzo, come parti delle valle del Natisone. I confini di questa nuova unità amministrativa avrebbero dovuto ricalcare in buona misura quelli elaborati già alla metà del secolo XIX da Peter Kozler. Questi era un geografo sloveno, ma d’origine tedesca e favorevole all’impero asburgico, che aveva creato nel 1848 la prima mappa della “Slovenia”, in cui venivano attribuiti ad essa anche molti territori che non erano per nulla a maggioranza slovena.
Il “terzo regno” avrebbe inoltre dovuto includere anche la Croazia, la Slavonia, la Bosnia-Erzegovina. Il destino degli Italiani e dei Serbi all’interno di tale nuova costruzione statale sarebbe stato, nelle intenzioni di molti dei nazionalisti Sloveni e Croati, quello dell’assimilazione forzata, quindi della loro slovenizzazione e croatizzazione. Si sarebbe dovuto quindi trovare un modus vivendi con il potere centrale ed il gruppo etnico austriaco, cercando invece di snazionalizzare le minoranze italiana e serba all’interno della nuova costruzione amministrativa.
Questi nazionalisti speravano di poter realizzare i propri progetti di riforma statale in senso trialistico ricorrendo all’alleanza con settori dell’establishment imperiale, in particolare l’esercito. Infatti, lo stesso capo di stato maggiore, Conrad von Hötzendorf, noto italofobo (propose l’attacco all’Italia, alleata dell'impero, per ben due volte, dopo il terremoto di Messina e durante la guerra di Libia), simpatizzava per le posizioni austroslaviste. Questo era il caso inoltre dell’erede al trono Francesco Ferdinando, non casualmente in ottimi rapporti con von Hötzendorf.







P.S.
Ignoro la ragione: quando avevo memorizzato il “link” (mesi addietro) esso funzionava correttamente. Elimino il riferimento, che d’altronde non è necessario, poiché i dati sono riportati più estesamente ed analiticamente nella bibliografia cartacea od anche nell’opera telematica del Rustia.

CITAZIONE (Daniele Italico @ 3/8/2012, 21:20) 
CITAZIONE (Rinascimento @ 1/8/2012, 16:32) 
Utili anche le osservazioni del dottor Andrea Virga della Scuola Normale Superiore di Pisa: http://sinergiealternative.net/website/, http://sinergiealternative.net/website/201...ato-giuliana-4/.

Rinascimento, se io pigio la pagina sopra indicata, ottengo solo una pagina di spam.

 
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view post Posted on 6/8/2012, 15:54
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Grazie Risorgimento per la puntuale e rigorosa analisi storica...e pensare che qualcuno vuole dedicare una via di Milano a Radetzky, in queti giorni....
http://www.milanotoday.it/politica/via-rad...gosto-2012.html
 
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Rinascimento
view post Posted on 8/8/2012, 19:45




CITAZIONE (juvaborg @ 6/8/2012, 16:54) 
Grazie Risorgimento per la puntuale e rigorosa analisi storica...e pensare che qualcuno vuole dedicare una via di Milano a Radetzky, in queti giorni....
www.milanotoday.it/politica/via-rad...gosto-2012.html

Grazie a te, Juvaborg.
Ai raduni della lega nord si vedono talora gruppuscoli di persone che espongono bandiere asburgiche.
Sono attive in Rete delle minuscole associazioni d’idee secessioniste che vorrebbero l’annessione di territori italiani all’Austria.
Alcuni ritengono che vi siano finanziamenti provenienti da certi gruppi di potere di Germania e d’Austria destinati ad alcuni movimenti separatisti esistenti in diversi paesi europei, all’interno d’una strategia mirante ad imporre il predominio nazionalistico della Deutschland sul resto d’Europa.



NOTERELLE SU RADETZKY. “BISOGNA SLAVIZZARE LA DALMAZIA”
Per restare al Radetzky, questi fu inviato in Italia per espressa convinzione del Metternich che l’unico modo per conservare i domini coloniali asburgici nella Penisola fosse il potere militare fondato sulla repressione, poiché gli Italiani rigettavano l’imperialismo austriaco. La convinzione che le popolazioni italiane dominate dall’Austria fossero irrimediabilmente ostili alla casa d’Asburgo ed al colonialismo mitteleuropeo era condivisa dal Radetzky stesso, dall’arciduca Massimiliano d’Asburgo (il fratello di Francesco Giuseppe, poi giustiziato in Messico, che fu per qualche tempo vicerè del Lombardo-Veneto) e da molti altri ancora. Il feldmaresciallo Radetzky, il quale ammetteva che gli Italiani di solito non volevano assolutamente essere sottomessi all’Austria, scriveva in una sua lettera a Vienna che i possedimenti della Lombardia e del Veneto dovevano essere conservati in nome degli interessi economici dell’Austria e della Boemia. Il comportamento delle truppe d’occupazione (per almeno 2/3 costituite da stranieri; gli ufficiali comunque non erano quasi mai italiani) era spesso brutale e violento, favorito in questo dall’alta presenza di criminali comuni arruolati nelle fila delle armate imperiali. Ad esempio, un reggimento di fanteria, l’“Arciduca Ferdinando d’Este”, costituito da 12 compagnie, contava 284 criminali. (cfr. l’ottimo studio dello storico anglosassone ALAN SKED, The Survival of the Habsburg Empire. Radetkzy, the Imperial Army and the Class War 1848, London-New York 1979).
Sotto l’amministrazione del “buon” Radetzky si ebbero:
-atti di violenza contro civili già in periodo di pace, come le aggressioni nel corso dello sciopero dei tabacchi
-rappresaglie su larga scala nel corso delle operazioni militari: 113 morti a Castelnuovo del Garda; Livorno fu saccheggiata, ad opera di un subalterno del Radetzki, il generale D’Aspre, e si ebbero fucilazioni d’un numero altissimo di cittadini, come minimo 300, ma alcuni parlano di 800 circa… Anche Vicenza fu saccheggiata, come altre località durante la 1 guerra d'indipendenza.
-un altro fido subalterno di Radetzky, il generale Haynau (soprannominato “iena”), s’occupò di reprimere le rivolte di Brescia e Venezia. Brescia fu incendiata e semidistrutta dopo combattimenti di grande violenza, che videro eccidi di civili accompagnati da crudeltà (ad esempio, il patriota Carlo Zima fu arso vivo per divertimento da un gruppo di militari Croati). Venezia (il cui assedio avvenne solo in parte sotto la direzione di Haynau, poi trasferito in Ungheria, dopo dimostrò nuovamente ferocia) fu bombardata ed affamata durante il lunghissimo assedio, in cui infierì anche il colera. (cfr. ad esempio PIERO PIERI, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962). A Milano durante le Cinque Giornate vi furono atti di violenza contro civili inermi, come quello celebre avvenuto nella chiesa di San Bartolomeo.
-Radetzky ordinò di deportare oltre le Alpi molti notabili Italiani; fece eseguire circa 1000 condanne a morte; sottopose molti altri alla pena, assai dura, della “pubblica bastonatura”; ordinò imposte straordinarie, prestiti forzosi, requisizioni; moltissimi altri Italiani furono condannati a lunghe e severe pene detentive; talora i sospetti furono torturati per estorcere loro confessioni ed informazioni, come avvenne durante le indagini poliziesche sui “martiri di Belfiore”.
Radetzky aveva minacciato nei suoi proclami di far ripetere in Italia le cosiddette “stragi di Galizia”. Egli aveva inoltre espresso l’idea che la Dalmazia andasse slavizzata: “Bisogna slavizzare la Dalmazia per toglierla alla pericolosa signoria intellettuale di Venezia alla quale le popolazioni italiane si rivolgono con eccessiva ammirazione" (cfr. la tesi di MARZIO SCAGLIONI, “La presenza italiana in Dalmazia. 1866-1943”, http://xoomer.virgilio.it/histria/storiaec...glioni/tesi.htm). Ai Veneziani assediati il feldmaresciallo spedì un proclama in cui affermava che le forze imperiali erano pronte “ad infliggervi il flagello della guerra fino allo sterminio". (sull’argomento specifico dell’assedio di Venezia nella prima guerra d’indipendenza segnalo anche la nuova edizione del testo di PAUL GINSBORG, Daniele Manin e la rivoluzione veneziana del 1848-49, Einaudi, 2007).
È rimasto celebre il giudizio di Carlo Cattaneo, il grande intellettuale testimone e partecipe degli eventi del ’48: “l’esercito di Radetzki è un corpo franco che acquistò pretesto a vivere di rapina nel più bel paese d'Europa.” (C. CATTANEO, Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra, Firenze 1949, cap. II).





P.S.
Dedicare una via a questo personaggio? Perché allora non intitolare una strada anche ai responsabili della strage di Marzabotto o delle Fosse Ardeatine?
 
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Rinascimento
view post Posted on 19/9/2012, 14:38




LE "ORDE DI FRANCESCO GIUSEPPE"

Le armate imperiali austro-ungariche si segnalarono spesso per la loro violenza e brutalità nei confronti dei prigionieri e dei civili. Si è già qui accennato agli innumerevoli stupri compiuti in Italia dai militari asburgici dopo Caporetto, a cui potrebbero aggiungersi nell’elenco dei crimini di guerra anche i saccheggi, l’impiego di pallottole esplosive (dum-dum) vietate dalle convenzioni internazionali, i bombardamenti su città, le stragi di feriti inermi sul campo di battaglia (pratica in cui furono spesso impiegate le mazze ferrate).
Simili azioni non furono compiute soltanto contro gli Italiani, ma ebbero luogo anche sugli altri fronti in cui operarono le armate imperiali. Un esempio celebre, o famigerato, è quello dell’invasione e dell’occupazione della Serbia.
Nel 1914 un criminologo svizzero Rudolph Archibald Reiss, quindi uno studioso preparato e qualificato in fatto di crimini, appartenente ad una nazione neutrale come la Svizzera e personalmente d’origine e cultura germaniche, si recò ad indagare sull’operato dell’esercito austro-ungarico in terra serba.
Egli condusse un’inchiesta estremamente rigorosa, da criminologo scrupoloso: interrogò i militari serbi, i militari austro-ungarici prigionieri, i civili; esaminò moltissime fotografie; condusse analisi dettagliate sui luoghi delle presunte violenze e sui corpi delle presunte vittime; fece un controllo incrociato dei dati così ottenuti.
Al termine della sua indagine, il Reiss poté affermare con certezza documentale che l’esercito imperiale si era reso colpevole di crimini di guerra assai gravi, che egli riportò con dovizia di particolari nella sua opera “Comment les Austro-Hongrois ont fait la guerre en Serbie: observations directes d'un neutre". Il Reiss attribuiva ai militari asburgici sul fronte serbo:
-massacri di militari serbi feriti o prigionieri
-massacri di civili serbi
-sequestri e stupri di massa di donne serbe
-saccheggi e distruzioni di proprietà
-bombardamenti indiscriminati su città indifese
-impiego di pallottole esplosive (dum-dum) vietate dalle convenzioni internazionali
Il Reiss ritrovò anche ordini formulati dalle autorità militari alle proprie unità in cui si imponevano la presa di ostaggi fra la popolazione civile, la loro fucilazione per rappresaglia in caso del minimo atto ostile, l’incendio delle abitazioni.
Questo criminologo fu molto duro nei confronti dei militari delle armate imperiali, che egli definì quali “orde di Francesco Giuseppe” o più ironicamente quali “Kulturträger”, in palese riferimento alle pretese civilizzatrici dell’impero.
L’occupazione austro-ungarica della Serbia durò molto a lungo, dal 1915 al 1918, ma già solo l’invasione del 1914 (l’unica esaminata dal Reiss) vide estese violenze. Basti dire che soltanto nell’agosto di quell’anno, in una sola regione della Serbia invasa, i civili uccisi dalle armate imperiali furono molte migliaia.
La politica imperiale nei confronti della popolazione serba nel primo conflitto mondiale fu assai dura e vide una serie di misure che andavano dalla deportazione in massa di civili (si calcola che un quarto dei deportati morì nei campi di concentramento adibiti al lavoro forzato) alla pena di morte comminata per “atti ostili”, alle requisizioni ed allo sfruttamento delle risorse economiche serbe, sino a norme contro la cultura e la lingua della Serbia.

Come è facile notare, le azioni imputate dal Reiss all’esercito asburgico in Serbia e confermate da molti altri autori e fonti corrispondono per la maggior parte all’operato di questo esercito stesso anche sul fronte italiano.
 
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view post Posted on 10/10/2012, 14:49
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Come sempre, testo interessantissimo.
La mazza usata dai fanti asburgici era piuttosto piccola, l'avevo vista in un documentario Rai di Angela e persino in vendita su eBay.
 
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Rinascimento
view post Posted on 16/10/2012, 20:18




grazie dell'approvazione, Peppero!
Aggiungo ancora che anche i militari dell'esercito austro-ungarico combattenti sul fronte italiano sovente uccidevano i feriti sul campo di battaglia, servendosi per questo delle loro mazze ferrate. Sono molte le testimonianze oculari in proposito. Le mazze erano state fornite in dotazione ai reparti austro-ungarici per il combattimento corpo a corpo, ma erano spesso impiegate per uccidere i feriti. È degno di nota che esse caddero gradualmente in disuso perché il loro impiego risultava disgustoso persino ai soldati imperial-regi, causa le conseguenze al momento dell’impatto.
Il primo utilizzo delle mazze sul fronte italiano pare sia avvenuto durante la battaglia del Monte S. Michele del 29 giugno 1916, quando i reggimenti ungheresi della 7ª e 20ª Honved adoperarono le mazze per finire i soldati italiani in agonia per i gas asfissianti. Risulta che questi militari riceverono poi un distintivo di riconoscimento dalle proprie autorità militari in ricordo dell’”impresa” compiuta.







IL DISTACCO DELLE CLASSI DIRIGENTI ITALIANE DALL’AUSTRIA
La storiografia riteneva, sino a circa vent’anni addietro, che fossero stati favorevoli all’Unità principalmente le classi “alte” dell’aristocrazia e della borghesia, di cui appariva evidente ed innegabile il consenso massiccio ed in alcune regioni quasi unanime, mentre invece sosteneva che le classi popolari fossero state indifferenti e talora persino ostili.
Questa posizione tradizionale si è radicalmente modificata con gli studi più recenti, i quali hanno dimostrato che anche l’artigianato, il ceto operaio, le masse rurali furono largamente sostenitrici dell’Unità, certo con molte variazioni d’accento e motivazioni. Ciò che è avvenuto grazie ad un ampliamento profondo delle conoscenze, dovuto ad un cambio di paradigma (per una introduzione a tali nuove prospettive: BANTI, La nazione del Risorgimento; BANTI – GINSBORG, Per una nuova storia del Risorgimento, in Storia d’Italia. Annali 22. Il Risorgimento, p. XXIII-XLI. ). È infatti cresciuta l’attenzione verso determinate fonti quali la letteratura minore, l’immenso patrimonio delle canzoni popolari, il teatro dei burattini (popolarissimo nell’Ottocento), la scelta dei nomi per i figli ecc. ecc., in breve per tutte le fonti che possono testimoniare riguardo alla mentalità ed al comportamento dei ceti popolari. Il risultato è stato per certi aspetti sorprendente ed ha provato come l’adesione agli ideali risorgimentali sia stata in buona misura condivisa dai ceti popolari. Questo è sicuramente vero per la Lombardia e per il Veneto, due regioni che svilupparono negli anni del Risorgimento un patrimonio canzonettistico, orale ecc. decisamente patriottico ed antiaustriaco.
Però, la classe che era veramente contraria, nella totalità o quasi, al dominio asburgico era nel regno del Lombardo-Veneto proprio l’aristocrazia italiana. Questo avveniva sia per ragioni ideali (aveva una grande diffusione presso di essa il patriottismo), sia per motivazioni più estesamente culturali. La nobiltà lombarda e veneta era molto diversa da quella austriaca od austro-boema, assai più colta, economicamente intraprendente ed aperta di mentalità, ed inoltre era legata per tradizione ad una forma di stato che era di tipo non assolutistico, poiché il potere del sovrano era limitato da prerogative dei poteri locali (Lombardia) oppure grazie alla struttura repubblicana (Veneto e territori veneziani).
Marco Meriggi, autore d’un basilare studio sul Lombardo-Veneto (ll regno Lombardo-Veneto, Torino 1987), osserva in proposito: ““Ma la nobiltà lombarda e quella veneta erano repubblicane, assai più che monarchiche; e da secoli, nell’area tutelata della loro autonomia cittadina, avevano fatto dell’autogoverno, e non del cogoverno insieme ad un monarca, il senso della propria esistenza. Quell’abitudine al «vivere civilmente» nelle ricche residenze cittadine, che le caratterizzava e che destava un senso di sgomento e di soggezioni nei «rustici» nobili austro-boemi poco adusi al lusso raffinato della cultura urbana, era la diretta proiezione di un’origine mercantile ed affaristica, assai più che guerriera e feudale, che risaliva idealmente alle grandi stagioni dell’epoca comunale e rinascimentale”. (MERIGGI, Il Regno, cit., p. 145). Il contrasto s’accresceva per le differenze profonde di pensiero politico fra l’aristocrazia italiana, nella quale era diffusa da secoli una mentalità repubblicana, e quella austriaca, prettamente feudale: “L’adesione di molti nobili non solo ai piani del liberalismo monarchico e neocetuale […] ma anche a quelli del repubblicanesimo mazziniano era facilitata, in Italia, da quella vocazione plurisecolare municipalistico-cittadina e repubblicano-oligarchica che rendeva, agli occhi di chi era immerso nella temperie culturale e ideologica della nobiltà imperiale, così estraneo il mondo dell’aristocrazia patrizia nord-italiana rispetto agli istituti traenti dell’antico regime europeo a base feudale” (MERIGGI, Il regno, cit., p. 322). “Ma la nobiltà lombarda e quella veneta erano repubblicane, assai più che monarchiche; e da secoli, nell’area tutelata della loro autonomia cittadina, avevano fatto dell’autogoverno, e non del cogoverno insieme ad un monarca, il senso della propria esistenza. Quell’abitudine al «vivere civilmente» nelle ricche residenze cittadine, che le caratterizzava e che destava un senso di sgomento e di soggezioni nei «rustici» nobili austro-boemi poco adusi al lusso raffinato della cultura urbana, era la diretta proiezione di un’origine mercantile ed affaristica, assai più che guerriera e feudale, che risaliva idealmente alle grandi stagioni dell’epoca comunale e rinascimentale”. (MERIGGI, Il Regno, cit., p. 145). Il contrasto s’accresceva per le differenze profonde di pensiero politico fra l’aristocrazia italiana, nella quale era diffusa da secoli una mentalità repubblicana, e quella austriaca, prettamente feudale: “L’adesione di molti nobili non solo ai piani del liberalismo monarchico e neocetuale […] ma anche a quelli del repubblicanesimo mazziniano era facilitata, in Italia, da quella vocazione plurisecolare municipalistico-cittadina e repubblicano-oligarchica che rendeva, agli occhi di chi era immerso nella temperie culturale e ideologica della nobiltà imperiale, così estraneo il mondo dell’aristocrazia patrizia nord-italiana rispetto agli istituti traenti dell’antico regime europeo a base feudale” (MERIGGI, Il regno, cit., p. 322).
Il distacco della nobiltà lombarda e veneta dal dominio asburgico fu radicale e viene testimoniato da una serie di fatti ben noti: il ristrettissimo numero di ufficiali lombardo-veneti, quasi inesistente; l’impossibilità di costituire una “guardia nobile” per il Vicerè di Milano, malgrado tutti gli sforzi delle autorità imperiali; il rifiuto reciso della stragrande maggioranza dei casati più importanti di Venezia e Milano di partecipare ai ricevimenti offerti dall’imperatore Francesco Giuseppe in queste due città, ossia il rifiuto d’incontrare l’imperatore. Ad esempio, uno dei più importanti ed autorevoli biografi di Francesco Giuseppe, l’austriaco F. Herre (F. HERRE, Francesco Giuseppe, Milano 1990), racconta che quando questo sovrano giunse a Milano fu necessario pagare (PAGARE) alcune migliaia di contadini affinché il Kaiser avesse un minimo di seguito al suo ingresso in città, dove altrimenti nessuno lo avrebbe accolto. “Al ricevimento ufficiale, gli austriaci rimasero fra loro: c’erano solo due parvenus della società milanese, che erano dovuti passare correndo fra gli sguardi malevoli di coloro che facevano buona guardia davanti al palazzo”.
Le autorità imperiali sapevano bene dell’ostilità di tutti i ceti italiani ed in particolare della nobiltà, tanto che il maresciallo Radetzky giunse a minacciare le classi dirigenti italiane d’una operazione radicale di “pulizia etnica”, agitando il pericolo di una ripetizione in Italia delle “stragi di Galizia”, nelle quali l’aristocrazia polacca locale aveva subito massacri con la connivenza dei funzionari imperiali. Questo stesso generale affermò che bisognava “slavizzare la Dalmazia per toglierla alla pericolosa signoria intellettuale di Venezia alla quale le popolazioni italiane si rivolgono con eccessiva ammirazione”.
 
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view post Posted on 17/10/2012, 11:04
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CITAZIONE (Rinascimento @ 16/10/2012, 21:18) 
grazie dell'approvazione, Peppero!
Aggiungo ancora che anche i militari dell'esercito austro-ungarico combattenti sul fronte italiano sovente uccidevano i feriti sul campo di battaglia, servendosi per questo delle loro mazze ferrate. Sono molte le testimonianze oculari in proposito. Le mazze erano state fornite in dotazione ai reparti austro-ungarici per il combattimento corpo a corpo, ma erano spesso impiegate per uccidere i feriti. È degno di nota che esse caddero gradualmente in disuso perché il loro impiego risultava disgustoso persino ai soldati imperial-regi, causa le conseguenze al momento dell’impatto.
Il primo utilizzo delle mazze sul fronte italiano pare sia avvenuto durante la battaglia del Monte S. Michele del 29 giugno 1916, quando i reggimenti ungheresi della 7ª e 20ª Honved adoperarono le mazze per finire i soldati italiani in agonia per i gas asfissianti. Risulta che questi militari riceverono poi un distintivo di riconoscimento dalle proprie autorità militari in ricordo dell’”impresa” compiuta.

Quoto, assolutamente. L'austriaco della prima guerra a San Michele e Caporetto usava la mazza proprio per quello, per l'assalto in trincea o per eliminare i feriti e i moribondi e risparmiare così proiettili. Ne esistevano diversi tipi (su ebay vendevano un modello a manico corto) ed era spesso associata all'uso dei gas, una miscela di cloro fosgene proibita dalla convenzione dell'Aja. Ho un testo di medicina dell'epoca che descrive nel dettaglio le sofferenze dei soldati italiani sopravvissuti.

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view post Posted on 17/10/2012, 22:07

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E sempre più mi disgustano quegli italiani che ora mitizzano l'efficienza austriaca...
 
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Rinascimento
view post Posted on 7/11/2012, 20:43




E' vero: il gas al cloro era un'arma crudelissima, perché più che avvelenare consumava e corrodeva i corpi dei soldati.
L'efficienza austriaca è un falso mito, parte di quel falso mito asburgico che è stato così ben descritto dal Magris.




LA REPRESSIONE DELLA CULTURA ITALIANA (ANCHE A LIVELLO SIMBOLICO)
La repressione dell’italianità anche sul piano strettamente simbolico giungeva a livelli estremi e non si arrestava neppure dinanzi alla distruzione d’opere d’arte od a forme di censura da stato totalitario.
È stata pubblicata dalle Edizioni Italo Svevo di Trieste, su promozione dell’IRCI (Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata) il primo volume della Guida della Dalmazia-Arte Storia Portolano – dedicata al Quarnero ed alla Dalmazia settentrionale. L’autore è Alberto Rizzi, uno studioso che si è dedicato in modo intensivo alla mappatura ed all’analisi dei moltissimi “Leoni di San Marco” che egli ha segnalato, riscoperto o riesumato, catalogato ed esaminato nelle più diverse regioni che furono parte del territorio della repubblica veneziana.
Il Rizzi ricorda che dopo il trattato di Campoformio ed il conseguente passaggio dei territori veneziani sotto il dominio austriaco scoppiarono nell’isola di Cherso dei moti popolari antiasburgici, così come avveniva anche altrove. La rivolta chersina prese poi il nome di “quattro giornate di Cherso”, essendo durata dal 12 al 15 giugno del 1797. Dopo la sollevazione, le autorità asburgiche decisero, fra l’altro, un atto vandalico, poiché fecero scalpellinare e distruggere i leoni marciani presenti a Cherso.
Questa distruzione d’opere d’arte, chiaramente intesa a cancellare la cultura e la storia italiane delle terre invase ed occupate dall’Austria, non fu un caso isolato, poiché episodi identici avvennero anche in altre località ed epoche da parte delle autorità asburgiche. Ad esempio, un capitano distrettuale del cosiddetto “Litorale” (l’unità amministrativa con cui sotto il dominio austriaco si chiamava la Venezia Giulia) fece svellere il leone di San Marco che adornava da secoli le mura di Monfalcone, dopo aver ottenuto l’approvazione da parte del Luogotenente di Trieste, che era allora il principe di Hohenlohe. Nella stessa città fu imposto nel dicembre del 1911 ad un cittadino, Antonio Visentini, d’abbattere da una sua casa in costruzione un leone alato, che aveva tutte le caratteristiche del secolare stemma della Serenissima, poiché si riscontrava in questa decorazione un simbolo politico.
Fra i moltissimi casi di violenza contro la cultura italiana (riportati anche da Virginio Gayda, a cui qui largamente si attinge), si può ricordare (episodio avvenuto nel Trentino asburgico ad inizio Novecento) la condanna inflitta al dottor Armellini. Questi era il presidente d’una banda musicale cittadina, che ad una manifestazione aveva suonato una vecchia marcia, tradizionale e notissima nel Trentino, che non era mai stata proibita neppure dalla censura asburgica. Tuttavia, si credé di rintracciare in questa vecchia e tradizionale musica una qualche somiglianza in alcune sue note con altre presenti nell’Inno di Garibaldi. È evidente che, se si poteva condannare un uomo perché la sua associazione musicale aveva suonato una marcia tradizionale ed antica, mai proibita, ma che in alcune note poteva ricordare in qualche modo l’Inno garibaldino, allora teoricamente ognuno poteva essere condannato per reati politici.
D’altronde, la condanna del dottor Armellini, per quanto difficilmente giustificabile sul piano legale (la marcia che aveva suonato la banda non era mai stata proibita…), rientrava nella prassi della censura austriaca, che giungeva a proibire e censurare non solo i testi, ma persino le note musicali. Ad esempio, il 24 gennaio. 1863 fu censurata nel Lombardo-Veneto l’opera di Giuseppe Verdi “La Forza del Destino”, proibendo la pubblicazione sia del libretto di Francesco Maria Piave, sia addirittura dello spartito con le note nella sua riduzione per pianoforte.
Si può portare ancora un esempio atto a far comprendere quale clima vivessero gli Italiani sotto il dominio asburgico. Il 15 luglio 1913, a Trento, in via del Suffragio, un ufficiale del corpo detto dei cacciatori tirolesi s’imbatté in un soldato semplice che portava un fiore all’occhiello della giacca. Questo fiore era una margherita, che egli aveva appena acquistato ad una vendita di beneficenza, il cui ricavato sarebbe stato destinato alle vittime d’un grave incendio. L’ufficiale fermò immediatamente il soldato semplice e gli chiese se sapesse che cosa significava il fiore che egli portava. Il subalterno, sconcertato, rispose negativamente, al che l’ufficiale gli ordinò a voce alta ed in pieno pubblico di buttare a terra la margherita e di calpestarla ripetutamente, ciò che il soldato dovette fare. La causa scatenante della furia dell’ufficiale austriaco fu il nome del fiore, “margherita”, che era ritenuto reo d’essere anche il nome d’una regina d’Italia, appunto la regina Margherita, sposa di re Umberto e madre di Vittorio Emanuele III.
 
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view post Posted on 7/11/2012, 21:05
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Mi chiedo se gli indipendentisti della zona sono a conoscenza di tali fatti. La storiella della margherita poi mette ansia. Non immaginavo che gli ufficiali dell'impero asburgico fossero così tarati... :blink:
 
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view post Posted on 7/11/2012, 21:48

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Ovviamente no, non solo non lo sanno ma sarebbe una gran fatica convincerli anche di fronte a vasta documentazione. Ormai una certa mitologia di segno opposto (l'universalismo di questi bellissimi imperatori cattolici, il loro impero così splendidamente multietnico così "proto unione europea" nelle parole dello stesso parlamento europeo) ha ben lavorato.
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 8/11/2012, 13:07




se non sbaglio l'ultimo erede al troni asburgico (morto di recente) è stato piu volte parlamentare europeo......
Comunque almeno a trieste il motivo principale di questa pseudo-nostalgia dell'impero asburgico risiede nel fatto,che non si puo negare del tutto,che la citta di triesta in quanto principale porto dell'impero era certamente piu centrale e prospera della trieste privata anche del suo immediato entroterra alla fine della seconda guerra mondiale......insomma non è che si sentono tedeschi o austriaci ,ma semplicemente come molti pseudo-indipendentisti 'battono cassa'.
Per il resto molto fa il mito gia descritto da rinascimento e ripreso da dardanide nel post precedente
 
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view post Posted on 10/11/2012, 19:58

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Ma infatti posso capire che se uno non si sente patriottico può scegliere come linea guida il soldo, non capisco invece chi è antipatriottico, chi cioè non ha una visione neutra dell'italianità ma apertamente negativa, come fosse una colpa o una vergogna in sé.
 
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Rinascimento
view post Posted on 14/11/2012, 23:57




Concordo appieno con gli interventi che mi hanno proceduto.

Aggiungo una breve nota sul "mito asburgico". Il decano della storiografia americana sull’Austria, Arthur J. May, nella sua importante e fortunata opera The Passing of the Hapsburg Monarchy. 1914-1918, Philadelphia (Penn.) 1966, è drastico nel giudicare lo stato asburgico una realtà istituzionale in preda ad una grave crisi interna. Egli inoltre respinge il mito asburgico, non avendo problemi a riconoscerlo come una realtà posteriore all’impero ed indotta da cause accidentali ed esterne allo stesso. May ritiene che il “mito asburgico” sorga soltanto quando Stalin s’impadronisce, al termine della seconda guerra mondiale, di gran parte dei vecchi territori imperiali.
Il famoso "mito asburgico" altro non è che una costruzione a posteriori, con tutte le storture che ne conseguono e compiuta per ragioni contingenti.




LA "CORTINA DI FERRO" ANTE LITTERAM
L’economia trentina fu fortemente danneggiata dalle misure prese dalle autorità imperiali di spezzare i legami culturali ed economici che legavano il Trentino alle regioni italiane limitrofe, con la creazione di una sorta di "cortina di ferro" ante litteram. Il risultato fu che i commerci, il movimento fisico delle persone, l’insediamento d’imprese ecc. furono ostacolati o talora impediti. Tutto questo contribuì a determinare una grave crisi economica nel Trentino asburgico.
Un esempio fra i molti fu la cosiddetta “questione delle malghe”, quando si giunse al punto da frapporre ostacoli al tradizionale ed antichissimo spostamento di pastori ed allevatori fra pianura e montagna, perché attraversava la frontiera militare austriaca.
Le malghe sono alti pascoli alpini, che abitualmente erano e sono ancora oggi affittate durante l’estate a pastori ed allevatori. Il Trentino sotto il dominio asburgico, poco prima della Grande Guerra, ne contava quasi 600, sufficienti all’epoca a dare pascolo a circa 55.000 capi di bestiame grosso, quindi bovino.
Il Trentino era ricco di terre da pascolo, ma non altrettanto di bestiame. Al contrario, il Veneto aveva molti bovini e poche, in proporzione, terre da pascolare. Per queste ragioni si era instaurata da moltissimi secoli una transumanza che vedeva stagionalmente i pastori ed allevatori del territorio di Verona, Belluno e Vicenza recarsi con le loro mandrie sulle malghe del Trentino per poi ripartire all’inizio dell’autunno e svernare nella pianura. Questa transumanza era proficua ad entrambe le parti: ai pastori, che potevano trascorrere i caldi mesi estivi con erba fresca per il proprio bestiame; ai proprietari delle malghe, che potevano affittare terreni che altrimenti sarebbero rimasti improduttivi.
L’esercito imperiale asburgico, ovvero le autorità militari presenti nel Trentino, presero ad osteggiare sempre più tale pacifico e tradizionale attività economica, perché era ritenuta “colpevole” di stabilire un legame economico fra il Trentino, soggetto al dominio austriaco, ed il Veneto, già facente parte dello stato italiano.
Dapprima si posero limitazioni allo spostamento delle mandrie, per ragioni definite sanitarie. Poi si passò a controlli corporali e perquisizioni a discapito dei pastori, per appurare se fra loro si nascondessero degli ufficiali italiani. Da ultimo, giunse il divieto di affittare le malghe a pastori “regnicoli”, ovvero a cittadini dello stato italiano. Oltre a danneggiare i pastori ed allevatori veneti, questa misura comportò la rovina economica di quei comuni di montagna del Trentino che avevano fra le proprie risorse principali l’affitto delle malghe, che rimasero desolatamente vuote ed improduttive.
 
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