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Il genocidio asburgico. 1866-1918, Come il governo di Vienna progettò e portò a compimento un genocidio di Italiani

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Rinascimento
view post Posted on 17/4/2013, 20:16




I MASSACRI DURANTE LA REPRESSIONE DELLO SCIOPERO GENERALE DI TRIESTE DEL 1902

L’immagine oleografica della Trieste asburgica è sovente quella segnata dalla nostalgia degli austriacanti, che ricorre agli stereotipi ed ai miti della cosiddetta “Austria felix”, presentandola nei termini di un paese per eccellenza “ordinato”, saggiamente amministrato dal governo imperiale e con profonda concordia sociale ed etnica. Questo sguardo prospettico è decisamente distorto ed antistorico, poiché nasconde la realtà effettiva dell’impero asburgico, segnato dall’oppressione assieme etnica e sociale ed in cui l’esercito era il puntello del regime. Un semplice esempio, ovvero un episodio quasi scomparso dalla memoria collettiva, può aiutare a comprendere la natura effettiva dello stato asburgico.

Il 1 febbraio 1902 era stato proclamato a Trieste lo sciopero dei trecento fuochisti delle navi del Lloyd, in quel periodo a terra, che protestavano però anche in nome dei quattrocento compagni imbarcati. La protesta progressivamente s’allargò alle diverse categorie dei lavoratori, sino a divenire uno sciopero generale cittadino. Tale decisione fu presa dopo che il luogotenente imperiale a Trieste, il conte von Goëss, aveva chiesto l’intervento delle autorità militari ed imposto l’impiego di fuochisti provenienti dalla flotta da guerra sulle navi del Lloyd, che così avevano potuto riprendere l’attività. Lo sciopero generale fu proclamato mercoledì 12 febbraio ed entrò in vigore nel giovedì del 13.
La giornata seguente, venerdì 14 febbraio, i dirigenti del partito socialista triestino tennero un pubblico comizio al Politeama Rossetti, il teatro più grande della Trieste dell’epoca, a cui parteciparono Carlo Ucekar e Valentino Pittoni ed, in rappresentanza dei fuochisti in sciopero, Ferdinando Castro. La riunione era stata compiuta con il permesso delle autorità. Dopo i discorsi dei vari relatori, gli scioperanti scesero in un ordinato corteo lungo l’Acquedotto e quello che allora si chiamava Contrada del Corso (oggi Corso Italia).
La manifestazione si svolgeva pacificamente, quando intervennero i reparti della 55° brigata di fanteria agli ordini di Conrad von Hoetzendorf. I soldati erano muniti del fucile Mannlicher repetier Gewehr, all’epoca assai moderno, ed erano stati spediti a fronteggiare gli scioperanti con le armi cariche e le baionette inastate. Era stato inoltre proclamato lo stato d’assedio, ossia imposta la legge marziale. Le truppe avevano avuto l’ordine d’impedire ad ogni costo che i manifestanti giungessero sino a quella che allora si chiamava piazza Grande (l’attuale piazza Unità di Trieste), in cui sorgeva il palazzo del governo. Un primo assalto si ebbe quando i reparti caricarono alla baionetta i dimostranti presso la vicina piazza della Borsa.
Questo fu soltanto l’antefatto degli eccidi che seguirono, mediante violente scariche di fucileria tirate ad altezza d’uomo e nel mucchio degli scioperanti. Il primo massacro avvenne all’imboccatura di piazza Grande, con il fuoco aperto da una compagnia comandata da tale capitano Köppel, pare su ordine del luogotenente del Litorale, il conte von Goëss. Un’altra scarica fu fatta partire da un altro reparto asburgico nella vicina piazza Verdi, dove parte della folla che scappava dalla compagnia del capitano Köppel aveva cercato scampo: i soldati qui spararono proprio sui fuggiaschi.
Durante la notte, avvenne un scambio di telegrammi fra il luogotenente governatore di Trieste, P. Goëss, ed il governo austriaco. Il potere centrale temeva che si potesse avere una saldatura fra il socialismo triestino, che sebbene internazionale di tendenze era comunque egemonizzato da Italiani nei suoi vertici ed abbastanza aperto verso le tematiche irredentiste. D’altronde, nei comizi, nei giornali, nei manifesti, i socialisti usavano l’italiano, malgrado molti degli iscritti ed elettori fossero slavi. Vienna paventava quindi una saldatura fra il socialismo e l’irredentismo in senso stretto, ossia che lo sciopero generale finisse per diventare un’insurrezione aperta contro il potere imperiale. Es dringt ein Exempel statuiren: “Bisogna dare un esempio”. Con questa frase, che era un ordine esplicito, Vienna aveva chiuso le sue comunicazioni con Trieste.
La mattina di sabato 15 febbraio erano giunti in città altri reparti militari asburgici, provenienti da Klagenfurt, Villaco e Lubiana: significativamente, si fecero affluire rinforzi da lontano e da località in cui non vivevano Italiani, anziché dalle ben più vicine Istria e Gorizia. Furono addirittura messa alla fonda nel porto tre corazzate giunte in tutta fretta da Pola, mentre al largo incrociavano altre unità navali minori. Le unità militari imperiali avevano avuto l’ordine di far fuoco senza preavviso, il che avvenne ancora una volta presso piazza Grande, con altri morti fra gli scioperanti. Poi i reparti ricevettero l’ordine d’occupare militarmente parte di Cittavecchia, in direzione di San Giusto, all’epoca un quartiere poverissimo, il che avvenne mentre gli abitanti cercavano di resistere gettando sassi e mattoni. Anche qui la truppa sparò sui cittadini triestini e si ebbero altri morti.
Il numero delle vittime fu imprecisato: almeno 14, poiché questi furono quelli registrati fra gli scioperanti in conseguenza delle violenze della truppa, ma la cifra non è completa e certamente inferiore al vero, non tenendo neppure conto di quelli che perirono successivamente per le ferite riportate, per non parlare dei feriti. Secondo alcune stime, il totale generale dei morti ammontò a molte decine e quello dei feriti a diverse centinaia. Naturalmente s’ebbe una sequela di arresti ed a molti leaders della protesta fu imposto di lasciare la città. La polizia si scatenò fra l’altro in una sorta di caccia agli anarchici, approfittando del fatto che erano molto più deboli politicamente dei socialisti stessi.
Lo stato d’assedio in tutta Trieste (con sospensione, fra l’altro, del diritto di riunione e di manifestazione) rimase in vigore a lungo, precisamente dal 14 febbraio 1902 sino al mese d’aprile dello stesso anno. La città si trovò presidiata militarmente, poiché Conrad organizzò diverse pattuglie armate di due uomini, generalmente costituite da un marinaio e da un fuciliere o da un poliziotto, che percorrevano le vie di Trieste giorno e notte. Il boia di Vienna, Lang, (lo stesso che poi impiccò Cesare Battisti) fu spedito a Trieste con i suoi aiutanti e con i suoi strumenti di morte, qualora vi fosse stato bisogno del suo intervento.
Lo sciopero non aveva avuto di per sé alcun carattere nazionale, ma è noto che Conrad, un vero e proprio italofobo, affermò ed espresse in decine e decine di rapporti, lettere ecc. la sua personale convinzione che le imponenti manifestazioni dei lavoratori avessero avuto l’appoggio degli irredentisti italiani. Tale sua opinione fu talmente radicata, che la repressione sanguinosa dello sciopero triestino rappresentò per questo alto ufficiale imperiale uno spartiacque nelle sue idee politiche e strategiche. Conrad von Hötzendorf divenne da quel momento un accanito sostenitore d’una guerra, offensiva e senza preavviso, contro il regno d’Italia, malgrado questo fosse alleato dell’Austria.
Il socialismo nella Venezia Giulia era infatti assieme internazionalistico e patriottico, nel senso che difendeva la componente nazionale italiana (maggioritaria nella regione ma minacciata dall’azione di snazionalizzazione promossa da Vienna, tesa ad imporre una sua germanizzazione e slavizzazione forzate), quale necessario ambito d’emancipazione anche sociale e civile. Questo binomio fra cosmopolitismo e patriottismo, per nulla negatore dei diritti degli abitanti slavi, affiancava il socialismo giuliano a quello del Trentino, guidato e rappresentato da Cesare Battisti. Ad esempio, un leader socialista dell’Istria, Giuseppe Tuntar, parlò apertamente nella sua opera Socialismo e questioni nazionali in Istria (Pola 1905) «dell’impotenza delle popolazioni italiane della Venezia Giulia di opporsi alla slavizzazione e alla germanizzazione in corso», azione di cui egli era testimone diretto e ben consapevole.


Sulla questione del socialismo giuliano in generale e dello sciopero generale di Trieste, esistono alcuni testi fondamentali: A. AGNELLI, Questione nazionale e socialismo. Contributi al pensiero di Karl Renner e Otto Bauer, Bologna, Il Mulino, 1969; G. PIEMONTESE, Il movimento operaio a Trieste dalle origini alla prima guerra mondiale, Udine, 1961; E. MASERATI, Il movimento operaio a Trieste dalle origini alla Prima guerra mondiale, Giuffrè, Milano, 1973. MARINA CATTARUZZA, Socialismo adriatico, Piero Lacaita Editore – Manduria, Bari, Roma 1998. MASSIMO GOBESSI (a cura di), “1902 – 2000 La lotta dei fuochisti del Lloyd Austriaco”, edito dalla Tipo/Lito Astra di Trieste per conto dell’allora Istituto Regionale di Studi e Ricerche della CGIL del F.V.G. (oggi Istituto “Livio Saranz”), Trieste 2002.
 
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view post Posted on 18/4/2013, 13:47
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Ottimo pezzo, Rinascimento. E dire che in Austria a Conrad von Hötzendorf hanno dedicato pure qualche strada. Eroe dei miei stivali... <_<
 
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Visconti Venosta
view post Posted on 27/5/2013, 20:29




Chiederei all'eccellente Rinascimento di dare cortesemente un'occhiata a questo sito: http://associazione-legittimista-italica.b...-principio.html e provare a smontare i deliri di questi rottami fuori dal mondo
 
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Rinascimento
view post Posted on 10/7/2013, 13:34




Anzitutto scusa il ritardo nella risposta: ero stato impegnato altrove e non avevo notato il tuo intervento.
Alcune rapide osservazioni di risposta all’articolo di quei signori.


1] il progetto d’unificare la Germania sotto la guida degli Asburgo era già stato compiuto nel secolo XVII, dando origine alla durissima guerra del Trent’anni, che ha rappresentato e rappresenta la massima tragedia nazionale tedesca, con perdite di vite umane in proporzione alla popolazione, ossia in percentuale, nettamente superiori a quelle della prima e della seconda guerra mondiale (secondo alcune stime, il Palatinato perse i 9/10 degli abitanti). La guerra dei Trent’anni rimase famigerata anche per l’estrema violenza contro la popolazione civile, divenuta la prassi da quando il noto Wallenstein, personaggio senza scrupoli al servizio della casa d’Austria, prese l’abitudine di servirsi di mercenari dando loro piena licenza di saccheggiare i territori, senza distinguere fra amici e nemici, ovvero sostituendo allo stipendio il diritto di saccheggio.
La guerra dei Trent’anni lasciò una frattura permanente nella nazione tedesca anche a livello di mentalità e di sentire politico, poiché i protestanti non dimenticarono che l’Austria aveva cercato di distruggere la confessione riformata servendosi della violenza su scala mai vista prima, neppure nella violentissima Europa delle guerre di religione. Da allora, l’autorità dell’imperatore “romano” (tale si autodefiniva all’epoca), divenne puramente formale sui territori germanici, eccetto quelli che erano di diretta appartenenza dinastica alla casa d’Asburgo.

2] Comunque, il cosiddetto sacro romano impero scomparve anche sul piano formale nel 1806. La cosiddetta Confederazione germanica, che sorse con la Restaurazione, era un istituto politico e giuridico distinto da quello del sacro romano impero e che era invece, sebbene in modo non dichiarato, la continuazione della Confederazione del Reno creata da Napoleone. La Restaurazione del 1815, nonostante il suo teorico ispirarsi al criterio cosiddetto del legittimismo, che prevedeva il ritorno puro a semplice all’Antico Regime anteriore al 1789, adottò di fatto criteri di Realpolitik e Machtpolitik.
I veri Stati “legittimi” sulla base dei criteri legittimistici sono quelli effettivamente presenti prima del 1789, ovvero la Repubblica di Genova, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Lucca, ecc. L'assetto degli Stati italiani posteriori al 1815 era dovuto solo in parte al legittimismo (cioè al ritorno dei sovrani pre-1789) in quanto vi erano esigenze geopolitiche emerse al Congresso di Vienna, tali per cui la Repubblica di Genova venne soppressa per rinforzare gli Stati sabaudi per formare una sorta di cordone sanitario contro una Francia della quale si temevano i moti rivoluzionari (allo stesso modo la Renania passò alla Prussia e fu creato il regno dei Paesi Bassi che comprendeva anche l'attuale Belgio), mentre la Repubblica di Venezia (indipendente da un migliaio di anni) venne unita all'ex ducato di Milano (fondato nel XIV-XV secolo, anche se non più indipendente da Ludovico il Moro) solo come compensazione territoriale all'Austria.
Il sacro romano impero, disciolto nel 1806 a mai più ricostituito, comprendeva 360 stati differenti al suo interno, mentre la confederazione germanica creata nel 1815 li vedeva ridotti a 39 in tutto: dov’è il “legittimismo”?

3] S’aggiunga ancora che l’imperatore d’Austria aveva la presidenza della confederazione germanica, ma non la sovranità e che i protestanti gli erano decisamente ostili (retaggio della guerra dei Trent’anni), come anche i liberali (l’Austria era l’epicentro della reazione) e buona parte degli stessi patrioti tedeschi in senso stretto, che non apprezzavano l’idea d’una eventuale unità tedesca sotto la guida dell’impero austriaco, che comprendeva al suo interno territori abitati in massima parte da altre etnie. Gli austriacanti erano insomma nettamente minoritari nella popolazione tedesca e si riducevano per lo più alle oligarchie al vertice degli stati cattolici della confederazione.


4] Buon ultimo, la posizione dell’Austria divenne ulteriormente debole dalla sua scelta, politicamente disastrosa sino al suicidio, d’aggredire la Danimarca per la questione dei ducati dello Schleswig-Holstein. La vicenda è paradigmatica e merita un accenno. La Danimarca possedeva questi ducati sin dalla guerra dei Trent’anni, ma essi erano abitati da popolazione di lingua tedesca. Secondo il criterio legittimista, per i quale il dominio su di un territorio spetta al sovrano, a prescindere dal suo popolamento etnico e dalla volontà stessa degli abitanti, il re di Danimarca ne aveva appunto legittimo possesso. Secondo invece il criterio nazionale, impostosi con la diffusione del patriottismo conseguente alla rivoluzione francese, i due ducati dovevano tornare all’interno della madrepatria germanica.
L’Austria, che negava il diritto all’indipendenza ai vari popoli sottoposti alla corona degli Asburgo (come l’Ungheria) e che si opponeva all’Unità d’Italia sempre in nome del legittimismo, attaccò assieme alla Prussia la Danimarca, in nome del principio nazionale.
L’azione, del tutto contraddittoria con i principi politici e giuridici a cui in teoria l’Austria faceva riferimento e su cui basava la sua stessa esistenza, trattandosi d’un impero multinazionale tenuto assieme soltanto dall’appartenenza dinastica dei suoi territori, mostrò sia la doppiezza dell’operato del governo austriaco (il principio nazionale valeva per i tedeschi dello Schleswig-Holstein e non per tutti i popoli non tedeschi che erano sottomessi allo scettro degli Asburgo?), sia il contrasto insanabile fra la pretesa di rappresentare contemporaneamente il vertice d’uno impero multietnico basato sul legittimismo e quello d’uno stato tutto da creare, ma su base nazionale, come doveva essere la Germania una volta unita.




Ancora, la teoria del Risorgimento massonico è totalmente erronea.
Il grande storico Gioacchino Volpe affermò che dopo la caduta di Napoleone in Italia «la massoneria si era addormentata quasi nella sua generalità; che fra massoni e carbonari non c’era nessun rapporto o poco rapporto, che molti carbonari rifiutarono nettamente di essere considerati massoni». Essa «cominciò a risorgere verso il ’60 e solo da allora riprese a tessere la sua rete. In questi 40 anni intermedi, la sua azione fu, in ordine al Risorgimento italiano, insignificante o nulla. Molti, i più dei patriotti, non erano massoni. Molti, fieri nemici di massoneria».
Gaetano Salvemini, grande meridionalista scrisse che "La leggenda che il Risorgimento italiano sia stato opera della massoneria è stata creata dai clericali. [...] Tutte le forze massoniche riconoscono l'inerzia completa fra il 1830 ed il 1870"
Il maggior studioso italiano della Massoneria, il professor Aldo Alessandro Mola, nella sua "Storia della massoneria in Italia", sostiene in modo reciso che le logge furono praticamente inattive per tutto il periodo fra il 1830 ed il 1870, con pochissimi membri e scarsissima attività.
I monarchici unitari non erano praticamente mai massoni, a cominciare da Vittorio Emanuele II e Cavour, che rifiutarono ogni rapporto con le logge. Neppure Mazzini era massone ed anzi criticò la massoneria e la grande maggioranza dei mazziniani non erano affatto massoni. Garibaldi fu massone, ma solo per pochi anni, prima di lasciare volontariamente l'associazione. D'altronde, è soltanto nel 1870 che viene meno la proibizione d'appartenere alla massoneria nel regno d'Italia: tale divieto era sempre rimasto in vigore già nel precedente regno di Sardegna.
In quanto alla massoneria, anzitutto essa non può essere affatto demonizzata. L’elenco di massoni illustri sarebbe interminabile. Furono iniziati alla massoneria i compositori Bach, Brahms, Mozart, Mendelssohn, Liszt, Haydn, Paganini, Schubert; l'inventore della penicillina Fleming, Henry Ford fondatore della Ford; George Washington e Simon Bolivar; il maestro del pacifismo Mahatma Gandhi ed il premio Nobel per la pace Albert Schweitzer; gli attori Totò e John Wayne; il massimo letterato tedesco Goethe e lo scienziato Albert Einstein; il disegnatore e fumettista Walt Disney… L’elenco completo dei massoni che hanno dato contributi importanti all’umanità nei campi più differenti assumerebbe dimensioni da guida telefonica. La massoneria è di per sé semplicemente una società filosofica e culturale. Essa fra l’altro ha compreso e comprende tutt’ora molti cattolici. Ad esempio, Mozart era un cattolico molto convinto e praticante, che però in molte delle sue opere più celebri ha inteso inserire simbologia massonica. Era massone anche Joseph de Maistre, pensatore ultracattolico ed i cui scritti sono alla base di tutto il pensiero politico e filosofico cattolico detto “reazionario” o “tradizionalista”. L’aspetto ironico è che il tradizionalismo cattolico è antimassonico, ma ha come suo indiscusso fondatore e maestro proprio un massone. Vi sono stati e vi sono massoni atei e cattolici, liberisti e socialisti, monarchici e repubblicani ecc.
Buon ultimo, vi furono diverse associazioni segrete reazionarie ed intrighi con poteri occulti tesi ad impedire l'Unità. Il ministro della polizia di Ferdinando II, il famigerato Del Carretto, creò egli stesso una società segreta legittimista e clericale, naturalmente collusa con la camorra (uno dei puntelli del regime). Nello stato pontificio esisteva la società segreta dei "Centurioni", una specie di mafia clericale, che in parte si dedicava a loschi traffici, rapine, omicidi su commissione e simili, in parte agiva come polizia segreta contro i liberali. Uno dei suoi membri fu tra i ministri di Pio X ed i "Centurioni" continuarono ad esistere sino al 1870, sotto la protezione del papa.
Il maggior finanziatore di Francesco Giuseppe d'Austria, l'ultraclericale reazionario, era tal barone Rothschild. Era sempre la famiglia Rothschild ad aver preso il controllo delle finanze del regno delle Due Sicilie, a partire dal 1821, dopo aver finanziato la spedizione austriaca che doveva abrogare la costituzione appena concessa dal sovrano. I Rothschild erano anche finanziatori dello stato vaticano ed un membro della famiglia pranzava con il segretario di Pio IX, il cardinal Antonelli, ricevendo anche un’alta onorificenza pontificia. Dov'era, allora, la massoneria?
Napoleone III trovò la sua base politica anzitutto nei cattolici più reazionari, che lo appoggiavano a patto che proteggesse il papa e la Chiesa. Fu egli a schiacciare la repubblica romana del 1849, per acquistare benemerenze agli occhi dei cattolici francesi, ad impedire che Garibaldi marciasse su Roma nel 1860, ad intervenire nuovamente sul governo italiano quando il Nizzardo muoveva nuovamente su Roma, il che condusse ai fatti d’Aspromonte, ed ancora fu Napoleone III ad inviare reparti militari che sconfissero Garibaldi e Mentana. Per quattro volte il massone Napoleone III impedì la fine dello stato pontificio. Si viene a dire che egli sarebbe stato succube della massoneria, all’epoca abitualmente anticlericale?
 
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view post Posted on 15/7/2013, 21:32

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Come al solito ringrazio Rinascimento per l'accurato approfondimento che smentisce alcune pretese.
Sottolinerei però maggiormente una contraddizione di questi presunti leggitimisti che già Rinascimento ha citato.
Il fissarsi ad un "punto 0" della memoria e vedere tutto ciò che è precedente come un percorso verso tale punto 0 e tutto ciò che c'è dopo come un decadimento.
Questo ragionamento accomuna molti pensieri limitati ma è in realtà totalmente insostenibile.
La legittimità di un tempo è il frutto di un'azione "illegittima" in un tempo precedente, e così le successive.
Non v'è ragione alcuna di ritenere l'impero d'Austria (che nasce solo nel 1804) legittimo e non invece, per esempio, il regno di Boemia (anch'esso vittima della guerra dei trent'anni), il regno d'Ungheria o la repubblica di Venezia.
Trovo poi particolarmente odiose le citazioni a lato, spesso mendaci e comunque estrapolate dal contesto: fenomenale la citazione di Rossini quale legittimista e detrattore dell'Unità d'Italia, visto che fu schedato dagli austriaci proprio per le sue opere patriottiche!
 
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Rinascimento
view post Posted on 19/4/2014, 10:12




PREMESSA]
Il sottoscritto non ha replicato sino ad ora a chi, tale felicitamodna82, ha scelto di criticare in termini grevi i contenuti di questo filone di discussione, in cui semplicemente si riportavano in una conversazione informale fra amici alcuni dati storici ben conosciuti e provati. Tuttavia, poiché il breve articolo di questa signora continua, nel momento in cui scrivo queste righe, ad essere pubblicato sul suo blog ed a contenere un riferimento esplicito e diretto ad un filone di discussione qui presente, aperto dal sottoscritto, ritengo di dover rispondere per difendere l’onorabilità di questo forum.
Le obiezioni e confutazioni qui riportate riguardano la quasi totalità dell’articolo di felicitamodna82, in ogni sua parte. Le citazioni dall’articolo di felicitamodna82 nella presente replica sono riportate fra virgolette («») e colorate di rosso per distinguerle dal resto del testo.


1. LA STORIOGRAFIA ESCLUDE L’INVETTIVA E L’ATTACCO PERSONALE]
Già il titolo prescelto da felicitamodna82 nel suo articolo di blog risulta distintivo del modo e dei toni adoperati da questa signora. Infatti esso è stato così chiamato: «Il genocidio inventato e la massa di pecoroni ignoranti….» Il sottotitolo o commento esplicativo inserito da costei prosegue col medesimo tono intrapreso sin dal titolo: «Once again I abandon my policy of writing in English. At least for now, because I really don’t have the time to write also in EN and DE. Here it goes: somebody is spreading voices about genocides…that never happened! People should learn history, politics and languages THEN write….but nowadays you just need an account et voilà…tip everything you want!». Certo che chiunque possieda un accesso alla Rete informatica può scrivere ciò che vuole e, nei limiti del rispetto degli altri e delle leggi vigenti, questo è un diritto sacrosanto, in nome della libertà di pensiero, d’opinione, di stampa e d’espressione. D’altronde, questa signora stessa tiene un blog, su cui scrive ciò che vuole.
Il tono sarcastico del brano sopra riportato ricorre diverse volte nell’articolo di felicitamodna82. Ad esempio, ella in seguito ribadisce: «Il problema è che troppo spesso gente a cui mancano i fondamentali di storia, scienza politica, diritto, lingue (ragazzi, col Macaroni-English o col Macaroni-Deutsch non si va da nessuna parte!) ha oggi il diritto di scrivere
Ella, dopo aver definito così altrui persone, parla invece di sé stessa come «storica», «scienziata politica», «professionista del mestiere», che rimane «del tutto irritata dal dilettantismo mili-tonto spacciato per storia». Insomma, felicitamodna82 si presenta come storica, scienziata politica, professionista del mestiere, che scriverebbe per contrastare «falsi storici» e «cagate pazzesche» (sic! Ella scrive proprio così, testualmente), propalate da una massa di pecoroni ignoranti, a cui mancherebbero le basi fondamentali di storia, scienza politica, diritto, lingue.
Il sottoscritto evita intenzionalmente ogni commento sull’educazione e sulla cortesia di felicitamodna82. Ciò che si può anzitutto osservare è che le sue opinioni personali su coloro a cui lei intende replicare non hanno pertinenza alcuna con l’argomento affrontato, ossia la politica imperiale nei confronti dei sudditi italiani nel periodo 1866-1918. Non è definendo i propri interlocutori indiretti «massa di pecoroni ignoranti» e cercando di fare della pesante ironia che si prova di presentare una ricostruzione veritiera e completa della questione storica considerata. Ogni forma d’attacco personale (anzi ogni forma di considerazione personale, soggettiva per definizione), dovrebbe essere esclusa e viene abitualmente esclusa nelle discussioni ed argomentazioni che si propongono quali “scientifiche”, perché essa è priva d’oggettività ovvero proprio per l’estraneità all’oggetto d’indagine. Non è una questione d’educazione, ma di metodologia: uno storico, come qualunque altro scienziato, sa o dovrebbe sapere che l’invettiva, l’attacco personale ecc. non hanno senso e significato alcuno nella sua disciplina.
Non è certamente possibile riassumere qui, anche solo molto brevemente, le diverse teorie di metodologia storica, ma è indubbio che l’attacco personale non vi rientri in alcun modo. [J. TOPOLSKI, Metodologia della ricerca storica, Bologna 1975; P. ROSSI, La teoria della storiografia oggi, Milano 1983.]


2. L’AMICO DI FACEBOOK “SANDI”]
Nell’articolo di blog di felicitamodna82 dopo il titolo segue l’introduzione, in cui felicitamodna82 spiega d’aver ricevuto «una segnalazione da un amico telematico (Facebook), che lei più tardi chiama familiarmente «[color=red]Sandi». Chi è costui? Suggerisco a chi interessi approfondire la questione di chi sia tale Sandi, quali opinioni abbia sull’impero asburgico, sull’Italia, sull’irredentismo ecc. di cercare suoi interventi presenti in Rete. Tutto ciò comunque non ha pertinenza alcuna con il tema qui affrontato.
Ciò che si deve invece rilevare e contestare è la scelta di felicitamodna82 di fare ricorso a tale Sandi fra le sue fonti. Difatti, al momento di riportare la propria bibliografia, felicitamodna82 poi aggiunge: «se conoscete Sandi [...], potete accedere alla sua nutrita e curata documentazione sui falsi storici di stampo revanscista-nazionalista, per la quale sono grata». Il richiamo di felicitamodna82 alla presunta “autorità” di questo suo amico è metodologicamente scorretto.
La storiografia si basa sulle fonti, che possono essere di vario tipo: una distinzione classica è fra fonti cosiddette primarie e secondarie. Le fonti primarie sono fonti originali di informazioni, abitualmente contemporanee agli eventi o comunque riferite da testimoni contemporanei. Le fonti secondarie sono costituite dagli studi pubblicati su di un dato oggetto di studio: esse non sono fonti originali, poiché sono elaborate a partire da quelle primarie. (beninteso, la distinzione fra fonti primarie e secondarie non è sempre nitida e può variare a seconda della disciplina e della metodologia. Ad esempio molti classici della storiografia antica come Tucidide o Tacito, si possono considerare quali misti di fonti primarie e secondarie. Con l’archeologia sperimentale la questione si complica ulteriormente. In ogni caso, la distinzione tradizionale fra fonte primaria e secondaria conserva una sua validità interpretativa, perlomeno da un punto di vista ideale). Quando si riportano fonti secondarie è indispensabile fare ricorso a quelle più autorevoli esistenti ed in ogni caso evitare di basarsi su quelle di dubbia attendibilità. È una scelta veramente discutibile quella di citare un «amico» di Facebook fra le proprie fonti secondarie ossia fra la propria bibliografia. Questo Sandi è un docente universitario in storia? Ha almeno una laurea in storia od in un’altra disciplina delle scienze umane, quali antropologia, sociologia ecc.? È autore di saggi, articoli, ecc., pubblicati presso case editrici e riviste specialistiche?
Il sottoscritto non ricorda d’aver mai trovato una sola citazione da Facebook nella bibliografia anche d’un solo testo universitario.
Riguardo all’impiego e selezioni delle fonti sia consentito di citare in proposito classiche letture tipiche della scuola “annalista”, quali quelle di M. BLOCH, Apologia della storia o Mestiere di storico, Torino 1969 e di F. BRAUDEL, Scritti sulla storia, Milano 1973. Naturalmente sono molto anteriori alla nascita di Facebook, ma la lezione di metodo rimane valida, tanto che sono diffusamente consigliati nelle università a tale scopo.


3. PATRIOTTISMO E NAZIONALISMO: LE ANTITESI]
Proseguendo nell’analisi dell’articolo del blog, esso ricorda che questo Sandi avrebbe segnalato a felicitamodna82 i contenuti di «un qualche forum nazionalista italiano», che sarebbe questo medesimo su cui si sta scrivendo. Difatti, il link subito dopo riportato da felicitamodna82 riconduce proprio a questo forum, anzi a questa discussione stessa. Già in siffatta presentazione, «forum nazionalista italiano» costei commette un errore storico. La definizione di questo forum è “patriottismo forum” e non nazionalismo: nazionalismo e patriottismo non sono per nulla sinonimi, anzi possono essere persino antitetici.
Per l’inquadramento dell’idea di nazione ed assieme della distinzione fra patriottismo e nazionalismo, ci si può rifare ad uno dei maggiori studi d’un grande storico, FEDERICO CHABOD, L'idea di nazione, Bari 1967. Riferimenti importanti possono trovarsi anche nelle opere dell’Omodeo: A. OMODEO, Il senso della storia, Torino 1948; A. OMODEO, Difesa del Risorgimento, Torino 1955. La bipartizione fra patriottismo e nazionalismo è centrale nel testo di Chabod, che oppone la nozione di nazione presente nella tradizione latina (da Mazzini a Renan, per il quale la nazione è una “plebiscito quotidiano) a quella presente nella tradizione germanica (da Herder ad Hitler).
Lo Chabod (per la cronaca, questo grande storico era un valdostano politicamente antifascista, convinto sostenitore dell’appartenenza della Val d’Aosta all’Italia ed assieme uno dei fautori e teorici delle autonomie locali) distingue proprio fra nazionalismo e patriottismo e specifica che in Italia il senso d’appartenenza patriottica presenta suoi tfelicitamodna82 specifici. Cito dallo Chabod: «Occorre avvertire ben chiaramente che questo principio si accompagna allora, indissolubilmente, almeno negli Italiani, con altri due principi, senza di cui rimarrebbe incomprensibile, e certo sarebbe incompleto. Uno di questi principi, il più collegato anzi con l’idea di nazionalità, era quello di libertà politica». L’altro è poi l’umanità ovvero il cosmopolitismo. Chabod porta l’esempio, naturalmente, di Mazzini: «Ricondurre l’Italia all’Europa: questo era stato il sogno di Mazzini sin da quando nel 1829 pubblicava il saggio D’una letteratura europea. La nazione è quindi sentita non come valore esclusivistico, a danno altrui, ma anzi come mezzo per accordarsi e procedere innanzi con gli altri».
Comunque, la distinzione fra il patriottismo italiano (o latino) ed il nazionalismo tedesco è uno dei punti nodali dell’opera dello Chabod che ho sopra citato, L’idea di nazione. È una delle ipotesi più note tra quelle da egli sostenute, che sottolinea che l’idea di nazione non è uguale ovunque, ma si presenta in diverse varianti, tra cui le più importanti sono due, presenti soprattutto in Italia e in Germania: la prima vede la nazione come valore eminentemente culturale, la seconda come basato sull’appartenenza biologica.
Un passo fra quelli più significativi dello Chabod: «Sennonché, se queste sono caratteristiche comuni ai due movimenti, l’italiano e il tedesco, occorre però avvertire che per altri riguardi i due movimenti sono, invece, sostanzialmente, profondamente diversi. Tanto diversi, e su problemi così sostanziali, che il giudizio complessivo dello storico non può non essere questo: che tra il movimento nazionale germanico e quello italiano, nonostante talune affinità e somiglianze, c’è, sostanzialmente, una assoluta diversità, quando non addirittura opposizione. Abbiamo detto, altre volte, che due sono i modi di considerare la nazione: quello naturalistico, che fatalmente sbocca nel razzismo, e quello volontaristico. S’intende bene che non sempre l’opposizione è così totale e recisa: anche una dottrina a base naturalistica può apprezzare in certa misura i fattori volontaristici (educazione, ecc.), così come anche una dottrina a base volontaristica non è detto che debba rinnegare ogni e qualsiasi influsso dei fattori naturali (ambiente geografico, razza, ecc.). Ma insomma, è dall’accentuare più o meno fortemente l’uno o l’altro elemento che una dottrina riceve il suo particolare rilievo.
Orbene, sin dall’inizio in terra di Germania la valutazione etnica (cioè naturalistica) si fa avvertire». Per farla breve, la Chabod distingue fra il patriottismo italiano ed il nazionalismo tedesco, il primo basato principalmente sulla cultura, il secondo sulla biologia. Non è possibile qui riassumere anche solo per sommi capi un capolavoro della storiografia quale L’idea di nazione di Chabod e tantomeno offrirne un giudizio critico. In ogni caso, “il principe degli storici”, quale era soprannominato questo grande studioso, non ammetteva assolutamente l’equipollenza fra patriottismo e nazionalismo, anzi li poneva in contrasto reciproco.
Pertanto è molto discutibile (come minimo) interpretare questi due concetti quali sinonimi, come fa felicitamodna82 che parla di «forum nazionalista italiano» riferendosi a questo, che è invece, per nome e definizione, patriottico e non nazionalista. Costei insiste regolarmente nel suo articolo sull’idea del “nazionalismo” e dei “nazionalisti” italiani: «Come mai, ricercando con google, l’intera galassia nazionalista italiana stava riportando allarmata la vicenda, con le stesse parole su tutte le piattaforme di discussione su internet? D’altronde, però, finché la cosa rimaneva sui forum nazionalisti»; «Qui vorrei solo ricordare che gli anacronismi da nazionalista del 19° e primo 20° secolo» ecc.
Quello di costei è un errore storico e concettuale, poiché non si può sostenere a priori, semplicisticamente ed arbitrariamente, l’equivalenza di nazionalismo e patriottismo: questo forum, da lei citato e chiamato in causa, si definisce patriottico e non nazionalista.


4. L’ESISTENZA DELL’ORDINE IMPERIALE DEL 12 NOVEMBRE 1866]
felicitamodna82 nel suo articolo, dopo altre digressioni a carattere introduttivo prive di rilievo per ciò che qui interessa, riferisce di come ella sia andata «a consultare i protocolli ministeriali presso la facoltà di Scienze della Società e della Cultura di Salisburgo. Ho trovato i volumi relativi al gabinetto Belcredi e li ho letti […] riproduco il pezzetto della discordia…è una porzione piccolissima che riproduco per motivi di studio – diciamo così – ed è reperibile in tutte le biblioteche universitarie dell’Austria, nonché – suppongo – anche in altre biblioteche nel mondo.»
Quindi? Certo che il libro in questione è reperibile anche presso altre biblioteche del mondo, difatti il sottoscritto l’aveva consultato personalmente molto prima che costei lo facesse, ossia prima ancora d’aprire questo filone di discussione, iniziato naturalmente in un periodo anteriore alla replica di felicitamodna82.
Il testo dell'ordine imperiale tradotto in italiano recita:
«Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno». La versione originale in lingua tedesca è la seguente: «Se. Majestät sprach den bestimmten Befehl aus, dass auf die entschiedenste Art dem Einflüsse des in einigen Kronländern noch vorhandenen italienischen Elementen entgegentreten durch geeinignete Besetzung der Stellen von politischen, Gerichtsbeamten, Lehrern sowie durch den Einfluss der Presse in Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande auf die Germanisierung oder Slawisierung der betreffenden Landesteile je nach Umständen mit aller Energie und ohne alle Rücksicht hingearbeitet werde. Se. Majestät legt es allen Zentralstellen als strenge Plifcht auf, in diesem Sinne planmäßig vorzugehen.». [Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, a cura di STEFAN MALFÈR, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; la citazione compare alla Sezione VI, vol. 2, seduta del 12 novembre 1866, p. 297]
La storicità di questo ordine è un banale dato di fatto. La citazione del verbale del consiglio imperiale del 12 novembre 1866 si ritrova in numerosi studi, compiuti da storici di varie nazionalità, in anni diversi e nel corso di studi indipendenti fra loro. Tanto per citarne alcuni, una parte del totale: GRGA NOVAK, Političke prilike u Dalmaciji g. 1866.-76, Zagreb 1960; ANGELO FILIPPUZZI (a cura di), La campagna del 1866 nei documenti militari austriaci: operazioni terrestri, Padova 1966. LUCIANO MONZALI, Italiani di Dalmazia, Firenze 2011, p. 69. «I verbali del Consiglio dei ministri asburgico della fine del 1866 mostrano l'intensità dell'ostilità antiitaliana dell'imperatore e la natura delle sue direttive politiche a questo riguardo. Francesco Giuseppe si convertì pienamente all'idea della generale infedeltà dell'elemento italiano e italofono verso la dinastia asburgica: in sede di Consiglio dei ministri, il 12 novembre 1866, egli diede l'ordine tassativo di “opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronlander e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo, mediante un adeguato affidamento di incarichi a magistrati politici ed insegnanti, nonché attraverso l'influenza della stampa in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico”. Tutte le autorità centrali ebbero l'ordine di procedere sistematicamente in questo senso».
Non esiste dubbio quindi che la citazione con l’ordine imperiale di “germanizzare e slavizzare” sia autentica e che sia stata riportata in questo forum in maniera del tutto corretta.


5. MISURE DI SNAZIONALIZZAZIONE E NON BUROCRATICHE]
Dopo aver detto d’essere andata a controllare la veridicità della citazione dell’ordine imperiale, finalmente felicitamodna82 entra nel merito della questione e scrive: «Si tratta sicuramente di misure molto dure, ma del tutto limitate alla sfera burocratica: parliamo di un “ordine imperiale” di favorire l’occupazione di cariche ufficiali, burocratiche o di possibile influenza sulla popolazione (quali maestri di scuola)».
Costei ammette che si trattava di misure assai dure, aggiungendo però che erano limitate alla burocrazia. Questo è però inesatto: esse concernevano sì la pubblica amministrazione, ma in più anche la magistratura, la scuola e la stampa.
Inoltre, il loro obiettivo era esplicitamente definito: “germanizzare e slavizzare, con la massima energia e senza scrupolo alcuno”. Il punto nodale è proprio questo, ossia il prefiggersi da parte dell’imperatore un fine di snazionalizzazione delle popolazioni italiane.


6. UNA COMUNITÀ NAZIONALE E NON UN GRUPPO POLITICO]
felicitamodna82 prosegue asserendo che l’ordine imperiale del 1866 era rivolto a «favorire l’occupazione di cariche ufficiali, burocratiche o di possibile influenza sulla popolazione (quali maestri di scuola) da parte di persone che non subissero l’influenza “italiana”, cioè che non facessero propaganda per la riunione di tutte le terre di lingua romanza/neoromanza sotto il Regno dei Savoia
Questa sua breve frase contiene diversi errori storici e costituisce nel suo significato complessivo un esempio d’interpretazione arbitraria.
Anzitutto, dove l’ordine imperiale del 1866 parlerebbe di «persone che non subissero l’influenza “italiana”, cioè che non facessero propaganda per la riunione di tutte le terre di lingua romanza/neoromanza sotto il Regno dei Savoia»? Il testo parla, in modo conciso e perfettamente chiaro, di “elementi italiani” (“italienischen Elementen”), alla cui esistenza si deve rispondere “germanizzando e slavizzando” il Trentino, la Venezia Giulia, la Dalmazia, e favorendo coloro che sono chiamati “elementi germanici e slavi” (“des deutschen und slawischen Elementes”, come precisa la nota sottostante l’ordine stesso). Il senso dell’ordine imperiale è semplice e chiaro: germanizzare e slavizzare le regioni suddette favorendo gli austriaci e gli slavi nell’occupazione della pubblica amministrazione, della magistratura, della scuola e mediante il controllo della stampa.
L’ordine imperiale non contiene la minima menzione di persone che facessero propaganda a favore del regno d’Italia, ma parla di “italiani”, “tedeschi” (naturalmente, austriaci nella fattispecie) e “slavi”, con gli italiani che devono essere allontanati il più possibile da ogni forma di pubblico incarico e gli austriaci e gli slavi che devono essere favoriti, con l’intento appunto di procedere ad una germanizzazione e slavizzazione.
felicitamodna82 attribuendo al verbale del consiglio della corona concetti ed intenzioni che in esso semplicemente non esistono ne altera radicalmente il significato. L’ordine imperiale parla in modo chiaro ed esplicito di gruppi nazionali (italiano, austriaco, slavo) e propone l’obiettivo d’una germanizzazione e slavizzazione delle regioni abitate dagli italiani. I suoi termini di riferimento sono appunto comunità nazionali e non raggruppamenti politici. Esso non fa riferimento alla snazionalizzazione di gruppo politici irredentisti, o di qualunque altra natura, ma alla comunità italiana nel suo complesso.


7. I PROPAGANDISTI IMMAGINARI D’UN PROGETTO POLITICO MAI ESISTITO]
Ancora, felicitamodna82 sostiene che vi sarebbero state persone che facevano propaganda per riunire «tutte le terre di lingua romanza/neoromanza sotto il Regno dei Savoia.» In verità, le lingue romanze o neolatine sono quelle che derivano appunto dal latino, come l’italiano, il romeno, il francese, lo spagnolo, il portoghese ecc. [è impossibile riassumere qui anche solo per sommi capi ciò che costituisce un intero ramo della linguistica. Ci si limita pertanto a ricordare il padre fondatore della linguistica romanza, F. DIEZ con il suo studio Grammatik der romanischen Sprachen, Bonn 1876-77, e l’opera capitale, per quanto invecchiata, di W. MEYER-LÜBKE, Einführung in das Studium der romanischen Sprachwissenschaft, Heidelberg 1920].
Chi mai ha fatto propaganda per riunire tutte le terre di lingua romanza sotto il regno d’Italia? È mai esistito qualcuno che abbia proposto di riunire tutte le popolazioni parlanti lingue neolatine (romeni, italiani, francesi, spagnoli, portoghesi, parte degli svizzeri e dei belgi, ecc., per non ricordare poi gli abitanti della sterminata America Latina o le popolazioni francofone dell’Africa ecc.) in un medesimo stato, nella fattispecie il regno sabaudo? La frase di felicitamodna82 non avrebbe senso neppure se riferita limitatamente alle terre di popolamento neolatino incluse fra i confini dell’impero asburgico del 1866. Difatti esistevano al suo interno sia gli italiani, sia i romeni, per non parlare poi di gruppi etnici neolatini più difficilmente catalogabili, come i valacchi sparsi nella zona balcanica. È appena il caso di dire che non esisteva alcun progetto politico di riunire italiani e romeni in un medesimo stato «sotto il regno dei Savoia»!
Quest’affermazione di felicitamodna82 non ha quindi alcun fondamento storico: non esistevano persone che «facessero propaganda per la riunione di tutte le terre di lingua romanza/neoromanza sotto il Regno dei Savoia
Esistevano invece i patrioti italiani, che non si prefiggevano affatto di riunire sotto un unico stato tutte le popolazioni di lingua neolatina (!), bensì soltanto quelle abitate da italiani, il che è ben diverso.
[Considerate le dimensioni della storiografia sull’irredentismo italiano, si preferisce rimandare a due sintesi critiche degli studi compiuti sul tema, per quanto non recentissime: MARIA GARBARI, La storiografia sull’irredentismo apparsa in Italia dalla fine della prima guerra mondiale ai giorni nostri, in “Studi Trentini di Scienze storiche”, LVIII, 1979; EADEM, L’irredentismo nella storiografia italiana, in Regioni di frontiera nell’epoca dei nazionalismi. Alsazia e Lorena/Trento e Trieste. 1870-1914, a cura di ANGELO ARA ed EBERHARD KOLB, Atti della XXXVI settimana di studio 13-17 settembre 1993, Bologna 1995].


8. GLI IRREDENTISMI, LA PATRIA ITALIANA E CASA SAVOIA]
La frase di felicitamodna82 suddetta contiene poi un’altra affermazione alquanto discutibile, poiché parla solo ed unicamente di «Regno dei Savoia» anziché di Regno d’Italia. La distinzione non è per nulla capziosa, ma sostanziale: gli irredentisti volevano riunirsi all’Italia intesa come nazione, ossia agivano per patriottismo e non per legame dinastico nei confronti dei Savoia.
In verità, l’irredentismo è sorto repubblicano, non senza simpatie per il socialismo. I fondatori dell’irredentismo furono Matteo Renato Imbriani (a cui si deve il conio del termine irredenti impiegato in riferimento agli italiani ancora sottoposti alla dominazione asburgica) e Giuseppe Avezzana, ambedue repubblicani. La Società Italia Irredenta ebbe per presidente un garibaldino, appunto il generale Avezzana, ed ottenne l’appoggio di Giuseppe Garibaldi stesso e di Saffi. La prima fase dell’irredentismo appare infatti egemonizzata da repubblicani d’ispirazione mazziniana (oltre ad Imbriani ed a Avezzana, comparivano Felice Cavallotti, Salvatore Barzilai, Aurelio Saffi, il Carducci stesso ecc.), che hanno in Garibaldi il proprio punto di riferimento ideale. Un irredentismo piuttosto diverso s’affianca (non sostituisce!) a partire dalla firma della Triplice Alleanza (1882). [Alcuni riferimenti bibliografici. G. SPADOLINI, I repubblicani dopo l'Unità, Firenze 1972; M. GARBARI, Matteo Renato Imbriani e l'"Italia irredenta", in Il Parlamento italiano, 1861-1988, Milano 1989] Un grande storico, Gioacchino Volpe, nella sua opera monumentale Italia moderna (Firenze 1973), ha ricostruito un quadro d’insieme complessivamente corretto dell’evoluzione dell’irredentismo e della sua diversificazione interna, legata alle particolarità locali ed alle differenze politiche. Il Volpe è senz’altro condizionato in qualche misura dalle sue personali posizioni ideologiche, ma la sua ricostruzione dell’irredentismo, a cui dedica un intero capitolo del suo importante saggio (il capitolo secondo del III volume, oltre a buona parte del sesto del medesimo volume) è onesta intellettualmente. Ciò che qui interessa è che questo illustre maestro delinea chiaramente come il movimento irredentista nasca repubblicano e politicamente spostato a sinistra: il Volpe non esita a riconoscerlo apertamente, pur essendo un monarchico vicino al fascismo.
Si deve aggiungere ancora che esistette anche la corrente cosiddetta dell’irredentismo culturale e non politico, legato specialmente ad alcuni intellettuali della rivista Voce, di cui fu rappresentante a lungo Scipio Slataper. [S. SLATAPER, Scritti politici, a cura di G. STUPARICH, Roma 1925; G. BARONI, Trieste e la „Voce“, Milano 1975; Intellettuali di frontiera: triestini a Firenze (1900-1950), a cura di R. PERTICI, Firenze, Olschki, 1985]
Scrivere di volontà o progetto politico di riunirsi al regno dei Savoia, anziché allo stato italiano, è limitante nei confronti del senso autentico degli ideali dei patrioti italiani, che solo in parte erano monarchici e che comunque si pensavano e si comportavano come membri di un medesimo popolo. Al contrario, leggendo l’articolo di felicitamodna82 si penserebbe che il punto di riferimento degli irredentisti fosse la casata dei Savoia anziché la patria italiana, il certamente non corrisponde alla realtà storica. [GUGLIELMO MACCHIA, L'irredentismo repubblicano dal 1876 al 1914, Firenze 1971].


9. TRENTINO, WELSCHTIROL, SÜDTIROL]
felicitamodna82 introduce quindi una digressione, sforzandosi d’individuare le aree geografiche ovvero amministrative interessate dall’ordine imperiale: «Questo per il Tirolo del Sud, la Dalmazia ed il Litorale. (interessante la non menzione del Welschtirol, il Trentino, ma solo quella di Südtirol. Questo rimane un punto da chiarire. Da aggiornamento del luglio 2012 rimango ancora stupita dall´uso di quest´espressione che ho sempre e solo trovato in fonti non ufficiali nel periodo prima della prima guerra mondiale. In un documento diocesano salisburghese del 1917 ho trovato l´espressione “sudtirolesi” rivolta proprio ai trentini, come modo per definire semplicemente la gente del Tirolo del Sud).» Alla fine del suo articolo di blog, felicitamodna82 poi torna sulla questione, scrivendo: «Sul problema Welschtirol/Trentino/Südtirol, ammetto che nella maggior parte dei testi accademici i trentini vengono chiamati sudtirolesi, mentre in alcuni documenti da me analizzati nell´Archivio Diocesano di Salisburgo i trentini vengono chiamati proprio “sudtirolesi”. Nelle fonti prevale l’ambiguità terminologica rispetto alla relativa chiarezza della letteratura accademica di qualità. La questione rimane aperta, ma molto probabilmente si intendeva l’intero Tirolo del Sud fino al Borghetto.» Questo secondo pezzo, sicuramente inserito in un periodo posteriore al primo nell’articolo, contraddice quanto felicitamodna82 aveva sopra affermato riguardo allo stesso punto.
In ogni caso, le incertezze e titubanze di felicitamodna82 sono infondate. Per il periodo in questione i termini Südtirol e Welschtirol sono pressoché equivalenti e designano la regione che dopo la prima guerra mondiale si chiama Trentino e che sino al 1801 era stata detta Tridentino.
Non è il caso di precisare che Trentino e Tridentino sono sinonimi, poiché significano entrambi “di Trento” e derivano ambedue dal latino Tridentum, termine adoperato dall’Antichità sino al Medioevo ed oltre per indicare la città di Trento. [cfr. ad esempio per il suo utilizzo in epoca medievale l’articolo di FABRIZIO LEONARDELLI, “Comunitas Tridenti: documenti relativi a istituzioni e territorio cittadini anteriori al 1230”, comparso in Per padre Frumenzio Ghetta o.f.m : scritti di storia e cultura ladina, trentina, tirolese e nota bio-bibliografica: in occasione del settantesimo compleanno, Vigo di Fassa 1991, a cura dell’Istituto cultural ladin e del Comune di Trento, pp. 335-374]
Il principato vescovile Tridentino ossia di Trento, formalmente chiamato Archidioecesis Tridentinus, esistito dal 1027 al 1801, al momento della sua massima estensione comprendeva quasi tutto l’odierno Trentino ed approssimativamente la metà occidentale dell’odierno Alto Adige. [L’età medievale, a cura di ANDREA CASTAGNETTI-GIAN MARIA VARANINI, Bologna 2004, volume terzo di Storia del Trentino, Il Mulino, 2000-2005.] Il termine “Trentino” è la forma in italiano letterario del termine vernacolare adoperato dai trentini per definirsi, il cui primo impiego (in italiano letterario, beninteso) è attestato in uno scritto d’un cancelliere del principato di Trento, Francesco Vigilio Barbacovi. [M. MAYR, Der italienische Irredentismus, Innsbruck 1916]. Il termine “trentino” per designare gli abitanti (non la regione in quanto tale!) era però di molto anteriore al Barbacovi. Un esempio è la traduzione dell’opera di GIANO PIRRO PINCIO, il Cronicon Tridentinum, in italiano da parte di AGOSTINO BARISELLA, che gli diede il nome di Annali, ouero, Croniche di Trento, cioè historie contenenti le prodezze de duci trentini, l'origine della città di Trento, la venuta in Italia de' Francesi Senoni il nome & il passaggio delle Alpi: la traduzione era del 1648. Già nell’era moderna s’usava quindi il termine “trentino” per indicare gli abitanti di questa regione, assieme al sinonimo “tridentino”, che era impiegato inoltre per designare l’area geografica stessa, il Tridentino.
Questo principato ecclesiastico finì secolarizzato nel 1801 e circa due anni più tardi venne ceduto da Napoleone all’Austria: allora i territori del principato Tridentino finirono annessi al Land del Tirolo. Dopo le vicende dell’epoca napoleonica, che videro il passaggio dell’area geografica attualmente chiamata Trentino-Alto Adige prima al regno di Baviera, poi al regno d’Italia, il congresso di Vienna riconfermò all’Austria il possesso degli ex principati di Trento e Bressanone. L’anno seguente, il 1816, fu imposta l’annessione dell’odierno Trentino all’interno della contea principesca del Tirolo. Da allora i vocaboli adoperati ufficialmente per indicare la regione che era stata per otto secolo il principato di Trento ossia Tridentino (di cui Trentino è un sinonimo moderno) divennero Tirolo meridionale (Südtirol) o Tirolo “latino” (Welschtirol).
L’unità amministrativa chiamata Tirolo era così suddivisa a partire dal 1816 nelle seguenti ripartizioni: Nordtirol, posto a nord del Brennero; Osttirol, posto a nord-est rispetto alla regione oggi detta Alto Adige, Mitteltirol, che coincideva con la regione oggi chiamata appunto Alto Adige ovvero Südtirol; il Südtirol nel 1866, ovvero dal 1816 al 1918, era l’area oggi chiamata Trentino e che all’epoca era definita anche Welschtirol, Welschsüdtirol, Tiroler Etschland, Tirolo meridionale, Tirolo italiano ed appunto Trentino.
Naturalmente, il termine Trentino continuò ad essere adoperato per tutto il periodo 1815-1918 sia colloquialmente dai suoi abitanti, sia nella cultura dotta, per designare questa regione. Si possono portare facilmente alcuni esempi di ciò: lo storico GIUSEPPE FRAPPORTI scriveva nel 1840 un saggio intitolato Storia e condizione del Trentino nell’antico e nel medio evo (1840); esisteva il “Partito Popolare Trentino”, complessivamente il più importante fra i trentini dalla fine del secolo XIX; il quotidiano più diffuso in questa regione ad inizio Novecento, prima della guerra, s’intitolava proprio “Il Trentino”, il cui direttore era Alcide De Gasperi. Se la popolazione si definiva trentina, la denominazione adoperata dall’amministrazione asburgica era invece Südtirol.
L’utilizzo del termine Südtirol per designare l’area compresa approssimativamente fra la stretta di Salorno a sud ed il Brennero a nord, oggi chiamata anche Alto Adige, è stato introdotto dopo la seconda guerra mondiale nel corso delle conversazioni e dibattiti riguardanti la costituzione dello statuto speciale a questa regione, dopo che erano stati scartate altre possibili definizioni.
Tralasciamo, sia per brevità, sia perché non interessa l’argomento qui esaminato, l’impiego d’altri termini ancora per designare questa regione, come “Venezia Tridentina” ed “Alto Adige”. [Per un'introduzione alla questione: Tirol-Trentino Eine Begriffigeschichte-Semantica di un concetto, Geschichte & Region/Storia & Regione, anno 2000, n. 9.]
Ciò che preme qui rilevare è che le incertezze di felicitamodna82 sulla prima ripartizione amministrativa imperiale delle tre a cui erano destinate le direttive di germanizzazione e slavizzazione (“Südtirol, Dalmatien und dem Küstenlande”) sono ingiustificate. Il consiglio della corona del 12 novembre 1866 quando parlava del “Tirolo del sud” (Südtirol) intendeva certamente quella regione che era stata per otto secoli compresa nel principato vescovile Tridentino ossia di Trento e che era chiamata ancora nel pieno Ottocento dai suoi abitanti quale “Trentino”.
Si può notare che felicitamodna82 dimostra insicurezza e dubbio persino nell’identificare una delle tre aree amministrative e geografiche a cui era destinato l’ordine imperiale di germanizzare e slavizzare.


10. UN’ESPRESSIONE SPREGIATIVA NEI CONFRONTI DEGLI ITALIANI: IL TERMINE WALSCHE ]
Ella a questo punto commenta, in modo a dir poco discutibile: «I problemi concreti dell’Impero erano legati ai segni di cedimento e disgregazione, che provenivano innanzitutto dagli ungheresi ed ovviamente dai Walsche militanti (non il popolo trentino, per esempio, piuttosto freddo rispetto alle idee nazionalliberali italiane…), che ora avevano un possibile stato nazionale a cui guardare.»
Per prima cosa, è da rimarcare il lessico del tutto inappropriato utilizzato da felicitamodna82, che parla di «Walsche militanti». Il termine “Walsche”, walsch al singolare, è la variante vernacolare (dialettale) sudtirolese del vocabolo che nel tedesco letterario suona “Welsch” [HANS PETER DEMETZ, Lexicon Südtirolerisch-Deutsch. Wörterbuch und Übersetzungshilfe für Fremde, Touristen und Zugereiste, Bolzano 2008]. Il dizionario Grimm, ritenuto ancora oggi un prestigioso vocabolario della lingua tedesca, dedica non meno di tredici pagine al vocabolo Welsch, che ha una storia lunghissima. [K. BAHDER (a cura di), Deutsches Wörterbuch von Jakob und Wilhelm Grimm, Leipzig, 1922]. Per riassumere molto in breve, a partire dal Quattrocento-Cinquecento con Walsch o Wälschen si presero a designare tutte le popolazioni latine, quindi quelle d’Italia, Francia, Spagna. Questo vocabolo assunse poi, a partire dal secolo XVIII, nelle terre meridionali della Deutschland ossia Austria e Baviera, una valenza spregiativa per indicare l’Italia e gli italiani. Questa accezione di marcato disprezzo del vocabolo ebbe particolare fortuna proprio nel Tirolo, con walsch preferito ad Italiener quando si voglia offendere un italiano proprio sul piano della sua appartenenza nazionale.
La parola “Welsch” è praticamente intraducibile in lingua italiana. Essa designa genericamente ciò che è latino e particolarmente italiano, però in un’accezione spregiativa. In italiano. “Welsch” si potrebbe quindi tradurre alla lettera come “latinastro”, “latinaccio”, “italianaccio”. Esso talora viene tradotto, per cercare di rendere la sua valenza spregiativa in modo immediatamente comprensibile ad un italiano, con il vocabolo “terrone”.
felicitamodna82 poteva scrivere “patrioti italiani”, “irredentisti”, “italiani militanti”, oppure semplicemente “italiani”, mentre invece ricorre alla locuzione impropria e spregiativa di «Walsche militanti».
L’espressione adoperata da felicitamodna82, «Walsche», fa quindi ricorso ad un vocabolo che ha un’accezione marcatamente spregiativa nei confronti degli italiani e che inoltre ha una valenza abbastanza generica, poiché può indicare anche tutti i popoli di lingua neolatina: si tratta quindi di un termine che non dovrebbe essere impiegato in ambito scientifico, sia per la sua relativa imprecisione, sia, soprattutto, per la sua connotazione ideologica. La parola Walsch è infatti adoperata ancora oggi in Alto Adige per insultare gli italiani.


11. LIBERALNAZIONALI, SOCIALISTI, CATTOLICI NEL TRENTINO ASBURGICO]
Inoltre felicitamodna82, nella sua frase sopra citata distingue arbitrariamente fra coloro che chiama «Walsche militanti», definibili più propriamente come i patrioti italiani, ed i trentini. Infatti ella afferma: «I problemi concreti dell’Impero erano legati ai segni di cedimento e disgregazione, che provenivano innanzitutto dagli ungheresi ed ovviamente dai Walsche militanti (non il popolo trentino, per esempio, piuttosto freddo rispetto alle idee nazionalliberali italiane…)». L’affermazione di costei è apodittica e contraddittoria rispetto a molti dati storici.
La forza politica predominante nel Trentino per tutto il periodo 1867-1896 fu proprio quella dei liberal-nazionali. Le elezioni del 1871 videro nel Trentino la netta vittoria proprio dei liberal-nazionali sui candidati cattolici. I liberal-nazionali furono il partito più importante nel Trentino sino al 1896, quando furono superati dal partito cattolico. Da allora (solo da allora) la forza egemone nel territorio divenne quella dei popolari, ma comunque con una forte presenza di liberali e socialisti, che conobbero in tale area rapporti amichevoli e frequenti alleanze di fatto.
D’altra parte, la distinzione fra liberali, cattolici e socialisti nel Trentino non pregiudicava la loro capacità d’unirsi in nome della comune appartenenza nazionale italiana. Vi furono accordi elettorali di fatto fra liberali e socialisti. Nel 1885 fu costituito da un’alleanza fra politici liberali e cattolici il “Club autonomo trentino”, che era stato progettato anche per la difesa dell’identità culturale trentina. Una figura di spicco del movimento liberal-nazionale trentino, per un lungo periodo anche suo leader, fu un ecclesiastico, l’abate Giovanni a Prato. La notizia dell’ingresso a Roma dell’esercito italiano nel 1870 fu accolta con pubbliche manifestazioni d’entusiasmo a Trento ed in tutte le maggiori città trentine, quali Rovereto, Levico ecc.
La richiesta dell’autonomia del Trentino rispetto all’unità amministrativa del Tirolo trovava la convergenza dei liberali, dei socialisti, dei cattolici, quindi di tutti e tre i movimenti politici trentini del periodo, ed un grande consenso popolare. La richiesta d’autonomia, già avanzata sin dal momento stesso dell’annessione del principato vescovile tridentino nel Tirolo ad inizio del secolo XIX, fu sistematicamente avanzata dai deputati trentini sia alla Dieta di Innsbruck, sia al parlamento di Vienna dal 1848 al 1914.
[R. MONTELEONE, Il movimento socialista del Trentino. 1894-1914, Roma 1971; S. BENVENUTI, L’autonomia trentina al Landtag di Innsbruck e al Reichsrat di Vienna, Trento 1978; U. CORSINI, Correnti liberali trentine tra Italia e Germania, in R. LILL-N. MATTEUCCI (a cura di), Il liberalismo in Italia e Germania dalla rivoluzione del ’48 alla Prima guerra mondiale (Annali dell’Istituto storico italogermanico in Trento. Quaderni 5), Bologna 1980; A. CANAVERO-A. MOIOLI (a cura di), De Gasperi e il Trentino tra la fine dell’800 e il primo dopoguerra, Trento 1985]


12. PARZIALI AMMISSIONI]
felicitamodna82 poi ammette, incidentalmente e di sfuggita, che l’impero favoriva alcune nazionalità e sfavoriva altre: «Negli stessi anni e negli anni successivi le strategie dell’Impero compresero, non a caso, uno stretto controllo sulle attività della Pro Patria – dal 1890 della Lega Nazionale – ed un sostegno ai croati – l´elemento croato all´interno dell´Impero – in funzione anti-ungherese
Si possono riportare un paio di commenti, solo incidentalmente e rapidamente, poiché questo punto sarà meglio esaminato in seguito.
In primo luogo, l’impero sciolse d’autorità prima la Pro Patria, poi la Lega Nazionale, nonostante fossero delle associazioni culturali: l’accaduto permette di comprendere che sorta di “libertà” avessero gli italiani sotto il regime asburgico. [STEFAN WEDRAC, L’ira dell’aquila: lo scioglimento della società scolastica Lega Nazionale nel Litorale austriaco, in “Storia e futuro. Rivista di storia e storiografia”, n. 19, febbraio 2009]
In secondo luogo, il sostegno ai croati da parte del potere centrale imperiale aveva anche una precisa funzione anti-italiana e non solo anti-ungherese. Lo storico Luciano Monzali, professore universitario, ha dedicato un intero saggio alla condizione degli italiani di Dalmazia nel periodo 1866-1914, in cui fra l’altro spiega molto bene e con dovizia di documenti e dati fattuali la politica filo croata dell’impero. [L. MONZALI, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze 2011].


13. LA LEGGE ELETTORALE]
felicitamodna82 infine prova ad entrare in merito alla questione dell’ordine imperiale ed affermare di voler approfondire la cosa: «Ora, però, la ricerca non si può fermare qui. C’è da contestualizzare ed approfondire. La stessa edizione dei protocolli aiuta, in questo senso. All’inizio del volume i curatori offrono un commento alla situazione dell’Impero, che contiene anche una sorta di glossa per questo punto dell’ordine. La trovate nello stesso tomo, alle pagine LI e LII. Il punto arrivò all’ordine del giorno a causa degli sviluppi poco sereni degli ultimi mesi, in un odg troppo lungo e completamente pieno. Il gabinetto mandò due giorni dopo una missiva alle autorità distrettuali di Trieste e del Litorale che invitò a pianificare coerentemente il controllo dell’ “elemento italiano”. Qualora fosse stata applicata conseguentemente – così i curatori – una simile direttiva avrebbe portato ad una modificazione sostanziale dell’ordinamento elettorale in vigore col precedente cancelliere, il liberale Anton von Schmerling, ordinamento che aveva come scopo il favorire nel Litorale l’elemento italiano-urbano rispetto a quello slavo-contadino. (Ma tu guarda…).»
Nonostante ciò che scrivono i curatori dell’opera nel loro brevissimo ed incidentale commento (Precisamente questo: “Konsequent angewandt hätte diese Bestimmung zu einer Änderung des Geistes der Schmerlingschen Wahlordnungen führen müssen, da diese eben im Küstenland eine Bevorzugung des städtisch-italianischen Elementes gegenüber dem ländlich bezweckten.”, Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867, cit., appendice, p. LI), l’ordinamento elettorale vigente non aveva per nulla l’obiettivo di favorire gli italiani considerati come gruppo etnico.
Il sistema elettorale in vigore in Austria dal 1861 (in pratica, fondato dalla Februarverfassung di quell’anno) al 1908 prese il nome di sistema di rappresentanza degli interessi, delle curie e delle classi (Interessen-Klassen-und Kurien Vertretung). Esso era un sistema elettorale sicuramente classista, che favoriva le classi egemoni sul piano socioeconomico e svantaggiava le altre. Non si può però sostenere che favorisse gli italiani come gruppo etnico. Questo sistema elettorale difatti non conteneva alcuna norma che avvantaggiasse gli italiani in quanto tali rispetto agli slavi. Il criterio con cui discriminava era sociale ed economico, non etnico. Nel complesso dell’impero, il gruppo etnico che era realmente favorito da tale tipo d’ordinamento elettorale era certamente quello tedesco. Esso giocava infatti a favore degli italiani nei confronti degli slavi nel Litorale, ma a favore dei tedeschi contro gli italiani nel Tirolo (l’unità amministrativa del Tirolo dell’epoca), ancora a favore dei tedeschi contro gli sloveni in Carniola e contro i cechi in Boemia. È quanto si può apprendere da uno studio di Ernesto Sestan, senz’altro molto più approfondito e documentato di una frase di tre righe, inserita di sfuggita in un breve commento posto in appendice ad una pubblicazione di atti ministeriali. [E. SESTAN, Le riforme costituzionali austriache nel 1860-1861, in La crisi dell’Impero austriaco dopo Villafranca, Trieste 1957.] Esso inoltre non fu per nulla statico: nell’aprile del 1873 era introdotto il voto diretto per il parlamento, non più per il tramite delle diete; nell’ottobre 1882 era diminuito a 5 fiorini l’aliquota fiscale, ossia imposta, che necessaria per avere diritto di voto nella cosiddetta quarta curia; nell’aprile del 1896 era istituita una quinta curia elettorale, che non aveva più base censitaria; nel gennaio del 1907 era accolto il suffragio universale diretto. Affermare che l’ordinamento elettorale di Schmerling avesse l’intento di favorire gli italiani rispetto agli slavi e che esso rimase immutato costituisce quindi un duplice errore storico.
In realtà, se si esamina la vita elettorale delle tre ripartizioni amministrative in cui vivevano gli italiani sudditi dell’impero dopo il 1866, ossia Tirolo, Litorale, Dalmazia, è facile provare che esisteva complessivamente una forte discriminazione dell’elemento italiano.
All’interno del Tirolo gli italiani erano pesantemente discriminati, sul piano rappresentativo, in un triplice modo. In primo luogo il Trentino era stato inserito forzatamente in una ripartizione amministrativa, il Tirolo appunto, che era a maggioranza tedesca. Le richieste d’autonomia del Trentino dal Tirolo in senso proprio furono avanzate regolarmente dagli italiani trentini sin dall’inizio del secolo XIX fino alle soglie del primo conflitto mondiale, venendo regolarmente respinte dalle autorità centrali. Anche i moderati progetto autonomistici presentato nel 1901 e poi nel 1902 non furono accettati [S. BENVENUTI, L’autonomia trentina al Landtag di Innsbruck e al Reichsrat di Vienna, Trento 1978; R. SCHOBER, La lotta sul progetto d’autonomia per il Trentino degli anni 1900-1902, secondo le fonti austriache, Trento 1978, a cura della Società di studi trentini di scienze storiche, XXXI). In secondo luogo, la legge elettorale in vigore finiva di fatto, come si è spiegato sopra, con l’avvantaggiare ulteriormente i tedeschi rispetto agli italiani. In terzo luogo i trentini erano sottorappresentati nella Dieta di Innsbruck anche in rapporto al totale percentuale della popolazione del Tirolo: ad esempio, nel 1816, al momento dell’annessione dei due antichi principati ecclesiastici di Trento e Bressanone nel Tirolo, il Trentino ottenne soltanto 7 seggi su 52 della dieta, ossia una percentuale inferiore a quella della popolazione italiana in confronto a quella complessiva “tirolese”.
Il caso del Litorale è troppo complesso per poter essere analizzato in profondità in questa sede, anzitutto a causa dei frequenti ed importanti cambiamenti nell’ordinamento giuridico di Trieste. [G. NEGRELLI, Comune e Impero, Milano 1968; A. WANDRUSZKA (a cura di), Austria e province italiane 1815-1918. Potere centrale e amministrazioni locali, Bologna 1981]. È vero che il comune triestino in quanto tale fu sempre controllato dal gruppo italiano, ma esso era largamente maggioritario in città. L’egemonia politica italiana nelle cariche elettive del Litorale non era dovuta alla legge elettorale del 1867, quanto alle dimensioni demografiche ed all’importanza sociale, culturale ed economica degli italiani, tanto che essa continuò nei decenni nonostante i cambiamenti del sistema di voto, tanto che proseguì anche dopo il 1907, quando nel sistema di voto non esisteva ormai più alcuna discriminazione di classe e censo, vigendo il suffragio universale. Il fatto è che le autorità statali, non elette dalla popolazione ma nominate dalle autorità governative, seguivano dopo il 1866 una politica sfavorevole agli italiani, in questo appoggiandosi alle minoranze. Questa prassi in realtà era anteriore al 1866 stesso e si serviva in ciò anche delle possibilità offerte dalle legge elettorale censitaria allora in vigore. Sia consentita una citazione dall’importante storico Schiffrer (antifascista, per la cronaca): «I rapporti con la Confederazione germanica ebbero un’importanza fondamentale nel Quarantotto triestino, perché rincrudirono quella lotta nazionale italo-tedesca che s’era già delineata sotto l’assolutismo. […] Governatore e podestà, indipendenti da ogni specie di controllo, potevano operare a loro piacimento, appoggiandosi all’esigua colonia tedesca, la quale, d’altra parte, essendo esclusivamente borghese, era favorita dallo stesso suffragio dell’epoca, ristretto per l’appunto alla borghesia, e rappresentava perciò una forza elettorale del tutto sproporzionata alla sua entità numerica in rapporto agli italiani» [CARLO SCHIFFRER, Le origini dell’irredentismo triestino, Udine 1937].
In Dalmazia la Dieta provinciale, che era sempre stata a maggioranza italiana, divenne a maggioranza croata dopo il 1866 in seguito a pesanti ingerenze governative. Le sconfitte elettorali degli italiani furono provocate in modo determinante dai gravi brogli elettorali, compiuti dai nazionalisti croati con la connivenza delle autorità governative, che si servirono assieme della corruzione, dell’inganno e della violenza. Il potere centrale viennese era infatti in grado di condizionare in maniera decisiva Le elezioni in Dalmazia furono infatti condizionate in modo decisivo dall’intromissione del potere centrale, che aveva scelto di dare il proprio appoggio ai croat in funzione antitaliana. [G. PRAGA, Storia di Dalmazia, Varese 1981; MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 138 sgg., 168-178.]


14. CIÒ CHE I CURATORI DEI DIE PROTOKOLLE SCRIVONO SULL’APPLICAZIONE DELLE DIRETTIVE IMPERIALI]
A questo punto, dopo aver accennato alla questione della legge di voto, felicitamodna82 salta con un volo pindarico direttamente alle conclusioni, affermando recisamente che l’ordine imperiale non sarebbe stato applicato: «Le direttive non furono applicate (e d’altronde, aggiungo io, non poteva essere diversamente, dato che la situazione cambiò parecchio per l’Austria – poi Austria-Ungheria) se non in due casi dove pare di poter vedere un tentativo di dar seguito alla politica di controllo sulle possibili influenze italiane.»
felicitamodna82 scrive che le direttive rivolte a “germanizzare e slavizzare” non furono applicate, sostenendo di riferire in ciò l’opinione dei curatori dell’opera di pubblicazione degli atti ministeriali, nella loro appendice n. LI.
Questa affermazione di felicitamodna82 è destituita di fondamento per due ragioni basilari, sia perché i curatori in realtà non dicono che le misure non furono applicate, sia, anche e soprattutto, perché un’analisi della questione deve essere ben altrimenti approfondita della citazione d’una brevissima appendice. Si procederà ora a delucidare entrambi i punti suddetti.
Anzitutto, che cosa dicono esattamente i curatori? felicitamodna82 non cita testualmente il passo a cui fa riferimento, ma esso può essere individuato con facilità e sicurezza. Ella infatti nel suo articolo prima ricorda la legge elettorale di Schmerling, per poi affermare che le misure non furono applicate, tranne che in due casi. Si può quindi sostenere con certezza che il brano parzialmente paragrafato da felicitamodna82 è questo: “Konsequent angewandt hätte diese Bestimmung zu einer Änderung des Geistes der Schmerlingschen Wahlordnungen führen müssen, da diese eben im Küstenland eine Bevorzugung des städtisch-italianischen Elementes gegenüber dem ländlich bezweckten. Zu einer solchen generellen Neuordnung kam es nicht, wohl aber glauben wir eine Wirkung des kaiserlichen Befehls von 12 november in zwei Einzelfällen beobachten zu können.” Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867, cit., appendice, p. LI.]
Il passo, tradotto in italiano, si può rendere nel seguente modo: “Di conseguenza questa decisione [l’ordine imperiale del 12 novembre 1866] avrebbe dovuto portare ad un cambiamento dello spirito delle normative elettorali di Schmerling, poiché queste miravano proprio nel Litorale a favorire l'elemento italiano cittadino rispetto a quello rurale. Non si giunse ad un tale riordino generale, ma noi crediamo di poter osservare in due singoli casi l’applicazione dell’ordine del 12 novembre.”
I curatori pertanto non sostengono affatto che le misure destinate a “germanizzare e slavizzare” rimasero inapplicate. Costoro scrivono invece che la loro applicazione avrebbe dovuto comportare anche una modifica della legge elettorale, la quale non ebbe luogo. In modo del tutto evidente, la frase dei due curatori secondo cui non si giunse ad un nuovo ordinamento (“Zu einer solchen generellen Neuordnung kam es nicht”) è riferita alla legge elettorale, poiché si parla proprio di essa nella frase antecedente.
Riguardo alla legge elettorale, si è già qui discusso in precedenza e si è spiegato come il parere dei curatori sia alquanto discutibile. In ogni caso, l’ordine imperiale del 12 novembre, che imponeva di “opporsi in modo risolutivo all'influsso dell'elemento italiano ancora presente in alcuni Kronlander e di mirare alla germanizzazione o slavizzazione, a seconda delle circostanze, delle zone in questione con tutte le energie e senza alcun riguardo, mediante un adeguato affidamento di incarichi a magistrati politici ed insegnanti, nonché attraverso l'influenza della stampa in Tirolo meridionale, Dalmazia e Litorale adriatico”, non faceva alcun riferimento alla legge elettorale.
In sintesi, i curatori non sostengono affatto che rimasero inapplicate le norme dell’ordine imperiale del 12 novembre del 1866, limitandosi a dire che non fu cambiata la legge elettorale, che non era compresa fra esse.


15. IL CASO DI CARLO FAVETTI]
felicitamodna82 cerca di puntellare la sua ipotesi secondo cui l’ordine di “germanizzare e slavizzare” sarebbe rimasto inapplicato chiamando in causa l’amnistia concessa a Carlo Favetti, a cui accenna molto rapidamente sempre la glossa dei curatori: «Nel punto successivo dell’odg si evincono altri elementi interessanti: si discusse se applicare l’amnistia in seguito al trattato di pace al segretario del Consiglio comunale di Gorizia, Carlo Favetti, “pericoloso agitatore” e sudtirolese. Per molti, fra cui la suprema autorità distrettuale di Trieste, non era da amnistiare in quanto “pericolosissimo agitatore”, e dello stesso parere era il cancelliere, che era al corrente della sua militanza per un Sudtirolo italiano. Il ministro degli esteri era invece per la clemenza. Favetti fu poi però amnistiato nel febbraio del 1867 in seguito a richiesta del ministro della giustizia. Insomma, dopo un po’ di lavoro appare che non solo non vi fu genocidio (se no, perché non cominciare con Favetti?) ma che perfino le misure di controllo dell´”italianitá” furono accantonate»
Prima di replicare a queste asserzioni della signora, si ricostruisce qui in breve la biografia di Favetti ed in particolare la vicenda giudiziaria che lo coinvolse nel 1866-1867.
Carlo Favetti nacque a Gorizia il 30 agosto 1819, figlio di Giuseppe Favetti e Caterina Cipriani. Compì gli studi sempre a Gorizia, presso il ginnasio locale (per la cronaca, esso era in lingua tedesca: un modesto esempio di come funzionava il sistema scolastico asburgico e dello spazio che era concesso alla lingua e cultura italiane al suo interno). Dopo aver studiato all’università di Vienna, rientrò nella sua città natale goriziana, ivi svolgendo attività lavorativa e politica.
Favetti, divenuto direttore del Giornale di Gorizia, chiese con insistenza negli anni posteriori al 1848 l’istituzione a Gorizia d’istituti scolastici in lingua italiana: la risposta dello stato imperiale fu l’ordine di chiusura del giornale.
Favetti venne nominato poi segretario del Comune di Gorizia (nel 1851) e fu eletto anche come podestà (nel 1861). Le autorità imperiali, molto diffidenti nei suoi confronti nonostante una condotta considerata assai prudente, imposero però l’annullamento di quest’ultima nomina. Nel 1865 fu sciolto il consiglio comunale goriziano, solo perché aveva approvato la collocazione d’un busto di Dante nell’aula.
Le vicende a cui la glossa dei curatori (unica fonte indicata da felicitamodna82 sul Favetti…) accenna molto succintamente sono, più approfonditamente ed esattamente, le seguenti. Favetti scrisse nel 1866 una lettera indirizzata Federico de' Comelli, un irredentista originario di Gradisca, in passato collaboratore del Giornale di Gorizia, che aveva trovato rifugio da alcuni anni a Firenze. Questa missiva, intercettata dalla polizia imperiale, esprimeva il desiderio che anche la città goriziana fosse unita allo stato italiano dopo la guerra che ormai incombeva fra Italia ed Austria. Pertanto, nel maggio del 1866 Carlo Favetti fu arrestato, mentre numerosi altri goriziani finivano deportati sino in Ungheria. Il Favetti era poi condannato nel luglio dello stesso anno a diversi anni di carcere duro. Il trattato di pace fra Italia ed Austria imponeva che i prigionieri politici fossero graziati, ma questa clausola rimase a discapito del Favetti inosservata dalle autorità imperiali per alcuni mesi, finché, appunto nel febbraio del 1867, anch’egli fu amnistiato.
Carlo Favetti morì, sempre a Gorizia, il 30 novembre del 1892. Egli è ricordato sia per la sua lunga attività politica e giornalistica, sia anche per la sua produzione letteraria in friulano.
[SILVANO CAVAZZA, Carlo Favetti: l'itinerario di un irredentista goriziano, in Figure e problemi dell'Ottocento goriziano. Studi raccolti per i quindici anni dell'Istituto (1982-1997), Gorizia 1998, pp. 43-91; R. M. COSSÀR, Carlo Favetti e l'italianità di Gorizia nella seconda metà dell'Ottocento, in Studi goriziani, XIII (1952), pp. 111-118].
Si possono ora fare tre osservazioni su quanto sopra esposto.
Primo, la biografia di Favetti offre uno spaccato della realtà in cui vivevano gli italiani a Gorizia negli anni attorno alla metà dell’Ottocento, con la politica e la stampa strettamente controllate dal potere imperiale e la repressione estesa anche alla cultura italiana: la nomina di podestà di Favetti annullata, il consiglio comunale sciolto solo perché aveva collocato nell’aula consiliare un busto di Dante, il giornale di Favetti stesso chiuso perché aveva richiesto che fossero creati istituti scolastici in lingua italiana anziché tedesca…
Secondo, l’amnistia concessa a Favetti era imposta dal trattato di pace fra Italia ed Austria, che richiedeva di scarcerare i prigionieri politici. Le misure del 12 novembre 1866 non interessavano minimamente tale questione, poiché riguardavano azioni e normative per snazionalizzare gli italiani, privandoli della loro identità e cultura. Si deve poi aggiungere che negli anni successivi la diplomazia italiana provò ad intercedere in favore degli italiani sudditi asburgici, per migliorarne la condizione, ma inutilmente: «non si riuscì […] a migliorare realmente le condizioni di vita delle popolazioni italiane e italofile nell’Impero asburgico» [MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 156-157; il saggio del professor Monzali esamina con molta attenzione la dinamica dell’attività diplomatica italiana nei confronti di Vienna dopo il 1866 ed i suoi sforzi d’aiutare gli italiani soggetti all’Austria, senza ottenere risultati: cfr. ad esempio MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 149 sgg., 241 sgg.].
Terzo, Favetti nacque a Gorizia, studiò a Gorizia, lavorò a Gorizia, svolse attività politica e giornalistica a Gorizia, fu per molti anni segretario comunale a Gorizia, per farla breve trascorse quasi tutta la sua vita a Gorizia (con alcuni brevi soggiorni nel Friuli, nel Veneto, a Milano ed a Firenze) ed infine morì a Gorizia. Egli scrisse opere letterarie in friulano, come le Rime e prose in vernacolo goriziano. Come può felicitamodna82 dire che era «sudtirolese» un uomo nato e morto a Gorizia, città in cui trascorse quasi tutta la sua vita, e che parlava e scriveva in italiano ed in friulano? Favetti era un goriziano e non certo un sudtirolese! L’errore storico madornale di felicitamodna82 palesa quanto bene lei conosca questo personaggio storico, nonostante esso sia stato cruciale nella vita politica e culturale della città goriziana per molti decenni.
In sintesi, il caso di Carlo Favetti è un esempio della condizione d’oppressione degli italiani soggetti all’impero asburgico, in cui era sufficiente esporre un busto di Dante per vedere sciolto un consiglio comunale regolarmente eletto e bastava chiedere scuole in lingua italiana per essere costretti al silenzio tramite la chiusura del giornale. La sua amnistia fu dovuta al trattato di pace fra Italia ed Austria, ossia alla diplomazia italiana, che però non fu in grado di proteggere gli italiani dalle misure di snazionalizzazione successive. La signora felicitamodna82 ricostruisce la vicenda del Favetti in modo così approssimativo da definirlo «sudtirolese», quando in realtà era goriziano.


16. L’ORDINE IMPERIALE DEL 12 NOVEMBRE 1866 FU APPLICATO: È DOCUMENTATO DA DIE PROTOKOLLE DES ÖSTERREICHISCHEN MINISTERRATES]
L’ordine imperiale del 12 novembre 1866, proveniente direttamente da Francesco Giuseppe e dal suo Consiglio della corona, non è per nulla l’unica fonte primaria delle misure di germanizzazione e slavizzazione. Già solo le glosse inserite dai curatori dell’opera suddetta che raccoglie i protocolli ministeriali dimostrano che si diede applicazione a queste misure.
Ad esempio, una nota a piè di pagina, sottostante proprio le Misure contro gli elementi italiani, riporta una comunicazione del ministro degli Interni al Luogotenente di Trieste e del Litorale, ossia al governatore della Venezia Giulia, in cui, in ottemperanza agli ordini dell’imperatore ed in considerazione di ciò che Belcredi aveva affermato riguardo alla pericolosità dell’elemento italiano, «si prescrive categoricamente che nello scegliere le persone da destinare a qualsiasi ramo della pubblica amministrazione si badi a dare assoluta precedenza agli elementi germanici e slavi» [il testo riporta proprio «des deutschen und slawischen Elementes»], mentre al contempo, si precisa subito dopo, bisogna limitare il più possibile la presenza degli italiani [«italianischen Elementes»], che dovevano essere soggetti a respingimento e limitazione [«Zurückdrängung und Einschränkung»]. Inoltre, subito dopo ci si rivolge «al ministro della giustizia affinché persegua un energico e pervasivo controllo della stampa». In sintesi, ciò che veniva ordinato al Luogotenente di Trieste e del Litorale era proprio d’applicare le misure di “germanizzazione e slavizzazione” imposte da Francesco Giuseppe, che dovevano anzitutto concernere la pubblica amministrazione (come la scuola e la magistratura) e la stampa. [Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867. V Abteilung: Die Ministerien Rainer und Mensdorff. VI Abteilung: Das Ministerium Belcredi, Wien, Österreichischer Bundesverlag für Unterricht, Wissenschaft und Kunst 1971; la citazione compare alla Sezione VI, vol. 2, p. 297.].
Un’altra prova della traduzione in atto dell’ordine di snazionalizzazione è reperibile ancora una volta nell’appendice, in cui i curatori spiegano appunto che si voleva rimuovere l’italiano come lingua ufficiale nell’amministrazione e negli affari, ossia nella burocrazia e nell’economia, all’interno del Litorale. Sono notevoli due informazioni ivi riportate: primo, il ministro della Giustizia aveva rimarcato che questa operazione stava già avvenendo nei limiti del possibile («Der Justizminister wies darauf hin, dass dies im Bereich des Möglichen ohnehin geschehe.»); secondo, Belcredi rammaricava che il tedesco non fosse la lingua d’affari in tutti i territori della monarchia asburgica, quel che era particolarmente preoccupante in Istria, regione in cui soltanto i tedeschi e gli slavi avevano mentalità austriaca, ossia erano fedeli all’impero, cosicché il primo ministro auspicava la germanizzazione della lingua d’affari ed amministrativa in questa ripartizione amministrativa. [Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867, cit., appendice, p. LI.]
Questi due brani sono stati quasi completamente trascurati da felicitamodna82. Il primo non è neppure menzionato da costei. Il secondo riceve invece soltanto un fuggevole accenno, come allo «sforzo di porre fine all’uso dell’italiano come lingua di trattativa ufficiale (in affari o a livello amministrativo e burocratico, così si traduce il concetto di Geschäftssprache!) a Trieste, Gorizia ed in Istria.».
felicitamodna82 quindi sbaglia totalmente nell’interpretare la breve glossa dei curatori all’ordine imperiale di “germanizzare e slavizzare”: in primo luogo, come si è qui spiegato in precedenza essa si limita a dire che non fu cambiata la legge elettorale, mentre non afferma affatto che le misure ordinate (riguardanti sistema scolastico, magistratura, pubblica amministrazione, giornali) rimasero inapplicate; in secondo luogo, i curatori suggeriscono anzi che si diede applicazione a queste ultime e riportano esempi concreti. In sintesi, secondo quanto viene riportato dai curatori de Die Protokolle des Österreichischen Ministerrates 1848/1867 l’ordine imperiale del 12 novembre 1866 fu applicato.


17. BREVE ED INCOMPLETA PANORAMICA DI FONTI SULL’APPLICAZIONE DELL’ORDINE DI “GERMANIZZARE E SLAVIZZARE
Ma, a parte ciò, è del tutto erroneo sul piano della metodologia storiografica procedere come ha fatto felicitamodna82 e basarsi su d’un brevissimo commento inserito in una appendice (poco più d’una pagina) posta all’interno d’una pubblicazione di atti ministeriali! È persino banale osservare che l’opera sopra citata, per quanto imponente, è semplicemente una raccolta dei protocolli ministeriali e non uno studio monografico ed approfondito sulla questione delle misure contro gli italiani sudditi imperiali, che furono soltanto alcune fra le innumerevoli decisioni politiche ed amministrative prese dallo stato asburgico. I curatori della collana non avevano né intenzione, né possibilità d’approfondire l’argomento dell’ordine imperiale del 12 novembre 1866, soltanto uno fra le migliaia e migliaia di documenti riportati. Il loro è un incidentale e breve commento, non uno studio approfondito.
Ciò che felicitamodna82 avrebbe dovuto fare sarebbe stato in primo luogo esaminare le fonti primarie delle amministrazioni del Tirolo, del Litorale, della Dalmazia, poiché era ad esse che l’ordine imperiale di “germanizzare e slavizzare” era stato affidato nella sua applicazione, cosicché valutarne le conseguenze richiedeva l’analisi dell’operato concreto dei governatori e funzionari imperiali. È facile provare che l’inizio dell’applicazione delle Misure contro gli elementi italiani avveniva pressoché contemporaneamente nel Trentino, nella Venezia Giulia, in Dalmazia.
Già nel 1866 il luogotenente del Tirolo, il principe Lobkovitz, ed il consigliere aulico a Trento, il conte Hohenwart, avevano dato l’avvio ad un programma scolastico in lingua tedesca per la zona del Trentino ed al contempo alla germanizzazione della zona mistilingue posta a nord di Salorno.
Il 25 novembre del 1866, quindi pochi giorni dopo l’emanazione dell’ordine imperiale avvenuta il 12 novembre dello stesso anno, il luogotenente Kellersperg di Trieste scriveva al ministro della giustizia a Vienna per enunciare il suo programma di de-italianizzazione della magistratura, osservando fra l’altro che gli interessi dello stato suggerivano di favorire energicamente gli elementi non italiani.
Il professor Monzali pone proprio il 1866 quale anno cruciale per le posteriori operazioni di snazionalizzazione compiute in Dalmazia a discapito degli italiani, tanto da dedicare nel suo saggio fondamentale sulla storia dalmata nel 1866-1915 un’intera sezione all’argomento, fra le tre in cui è ripartito lo studio: La guerra del 1866 e il sorgere della questione nazionale italiana in Dalmazia [MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 63-168].
felicitamodna82 si limita a considerare l’ordine imperiale del 1866, mentre non tiene conto delle numerose misure ed iniziative a discapito degli italiani che furono effettivamente realizzate.
È possibile qui riportarne un elenco, con l’avvertenza che esso è largamente incompleto e che alcuni aspetti, come quelli riguardanti il sistema scolastico, saranno esaminati in seguito:
-la slavizzazione, totale o parziale, della lingua amministrativa (L. MONZALI, Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra, Firenze 2011);
-modifica della toponomastica e dell’onomastica (A. TAMARO, Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia, Roma 1915);
-il favoritismo verso l’immigrazione slava e le espulsioni d’italiani dalla Venezia Giulia (E. SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997);
-la nomina d’ecclesiastici slavi in diocesi italiane e l’appoggio dato al clero sloveno e croato (S. MALFER, Der Kampf um die slawische Liturgie in der österreichisch- ungarischen Monarchie - ein nationales oder ein religiöses anliegen? in “Mitteilungen des Österreichischen Staatarchivs”, 1996, n. 44, pp. 165-193; G. VALDEVIT, Chiesa e lotte nazionali: il caso di Trieste (1850-1919), Udine 1979);
-il piano di germanizzare con brutalità il Trentino elaborato nel corso della prima guerra mondiale (G. PIRCHER, Militar, Verwaltung, und Politik in Tirol in Estern Welkkrieg, Innsbruck 1995).
-la diffusione della violenza contro gli italiani, ad opera sia di squadracce di nazionalisti slavi, sia di membri della polizia imperiale (R. DERANEZ, Alcuni particolari sul martirio della Dalmazia, Ancona 1919),
-la deportazione in massa d’italiani (beninteso italiani di nazionalità, ma giuridicamente sudditi asburgici) in campi di concentramento durante il primo conflitto mondiale. [R. BONFANTI, Il martirio nel Trentino, Trento 1921; D. LEONI, C. ZADRA (a cura di), La città di legno. Profughi trentini in Austria (1915-1918), Trento 1981; FRANCO CECOTTI (a cura di), “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918. profughi, internati ed emigrati di Trieste, dell’isontino, dell’Istria, Gorizia, Goriziana, 2001].

Appare del tutto probabile che Francesco Giuseppe anche dopo il 1866 non abbia modificato il suo indirizzo di massima nei confronti degli italiani sui sudditi, conservando il progetto di germanizzarli e slavizzarli. Esistono forti indizi in tale senso.
Ad esempio, gli italiani di Dalmazia indirizzarono decine e decine di suppliche all’autorità centrale, ossia Vienna, denunciando quanto avveniva a loro danno: le suppliche rimasero inascoltate. Nell’anno 1871 gli italiani di Lissa mandarono una supplica all’imperatore d’Austria per chiedere di mantenere le scuole italiane nell’isola e conservare l’italiano quale lingua amministrativa. La richiesta non fu accolta: la popolazione italiana a Lissa passò dal 64% del 1880 al 2% del 1900, secondo quanto rilevavano i censimenti ufficiali.
Un altro caso ancora è offerto dall’associazione Comité zur Unterstutztung der deutschen Schule in Welschtirol, fondata da docenti universitari austriaci di Innsbruck nel 1867, la quale si proponeva di sostenere la scuola tedesca nel Trentino (il Welschtirol). Questa associazione di nazionalisti germanici (ribattezzata Deutsche Schulgesellschaft nel 1877), creata poco dopo l’ordine imperiale del 1866, ebbe un finanziamento personale da parte di Francesco Giuseppe d’Asburgo.
Le direttive impartite da Francesco Giuseppe nel consiglio della corona del 12 novembre del 1866 segnavano infatti un orientamento di politica interna che non può assolutamente essere ricostruito soltanto sulla base di un solo, singolo documento. Un’analisi della politica di snazionalizzazione perseguita dallo stato imperiale a danno degli italiani deve naturalmente comprendere nella maniera più esaustiva possibile le vicende politiche ed amministrative del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia nel periodo considerato compreso fra il 1866 ed il 1918.


18. UN PARAGONE DEL TUTTO INAPPROPRIATO]
Dopo aver concluso che l’ordine dato non sarebbe stato applicato, basandosi su di una singola glossa erroneamente interpretata, anziché esaminare la sterminata bibliografia sul tema delle persecuzioni austriache contro gli italiani e le fonti afferenti, felicitamodna82 cerca nuovamente di fare dell’ironia: «Insomma, i punti elencati dai nostri visionari patrioti sono prodotto di fantasia. Dopo i Protocolli dei Savi di Sion, in effetti, sentivamo la mancanza di un qualche protocollo immaginario, e questa volta ce li siamo trovati “compilati” a partire da dei Protocolli reali – anzi, imperiali!»
Il paragone portato da felicitamodna82 è del tutto inappropriato. I protocolli dei savi di Sion erano un falso storico artatamente creato dalla polizia politica russa per diffamare gli ebrei, mentre invece l’ordine imperiale del consiglio della corona del 12 novembre 1866 risulta inoppugnabilmente autentico, come persino felicitamodna82 aveva dovuto ammettere al principio del suo articolo. Si può naturalmente discutere sulle dimensioni, i tempi, i luoghi, i modi dell’applicazione ecc., pertanto sulle conseguenze dell’ordine di “germanizzare e slavizzare” dato da Francesco Giuseppe, ma non sul fatto che esso sia stato dato. [Per la ricostruzione della vicenda dei falsi protocolli dei savi di Sion il riferimento è ovviamente al classico studio di NORMAN COHN, Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli Anziani di Sion”. Storia di un falso, Torino 1969 ]


19. OSTILITÀ VERSO GLI ITALIANI: NON SOLO IL GABINETTO BELCREDI]
felicitamodna82 quindi inserisce una digressione sul gabinetto Belcredi: «Il gabinetto Belcredi fu caratterizzato da politiche volte, conformemente alle idee dello stesso Belcredi, alla conservazione dell’Impero “Austriaco”, eventualmente alla sua trasformazione in senso federalista, e alla sua difesa dall’elemento “italiano” o “prussiano” o “ungherese”. Non a caso le trattative con l’Ungheria prima ed il compromesso poi nel 1867 videro la sua uscita di scena dalla politica. I tempi stavano cambiando e Belcredi ritenne di non essere più un attore adatto per il nuovo palcoscenico, probabilmente
A prescindere dall’esattezza o meno di questa ricostruzione, ciò che cosa vorrebbe significare riguardo alla questione qui affrontata?
Comunque l’ordine di “germanizzare e slavizzare” non era stato impartito da Belcredi, ma direttamente dall’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo, che rimase sul trono sino alla sua morte, avvenuta nel 1916, cosicché evidenziare che questo primo ministro non rimase in carica a lungo non è di grande importanza.
Si deve aggiungere che atteggiamenti tutt’altro che amichevoli verso il popolo italiano si ritrovavano spesso nella famiglia imperiale asburgica. L’arciduca Massimiliano d’Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe (comandante della marina imperiale, vicerè del Lombardo-Veneto, poi imperatore del Messico) parlava con derisione di quella che definiva la “nazione italiana da burla”. L’ultimo imperatore della dinastia, Carlo d’Asburgo, definì l’Italia invece come “nemico ancestrale”. L’imperatrice Elisabetta di Baviera (soprannominata “Sisi”) e la madre di Francesco Giuseppe, l’imperatrice madre Sofia, avevano una cattiva opinione degli italiani.
L’italofobia era inoltre assai diffusa nelle alte sfere militari ed amministrative dell’impero. Radetzky si era così espresso in modo reciso, con largo anticipo rispetto al suo imperatore: "Bisogna slavizzare la Dalmazia per toglierla alla pericolosa signoria intellettuale di Venezia alla quale le popolazioni italiane si rivolgono con eccessiva ammirazione". Carl Czoernig, alto funzionario di polizia nel regno Lombardo-Veneto, tacciava la nobiltà italiana d’essere “corrotta moralmente”. Il governatore di Trieste Moering parlava dei triestini come persone dominate dall’avidità, dall’irreligiosità, dalla menzogna, dall’ipocrisia, dal tradimento e dalla “sfacciataggine e turbolenza ebraiche” (sic).
Una politica decisamente favorevole alle popolazioni slave fu seguita sotto il lungo ministero Taaffe, che rimase in carica per quindici anni, dal 1879 al 1893. [ERNESTO SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997, p. 91.]
Una poesia fu composta durante la prima guerra mondiale in Germania e poi diffusa in Austria. Tale componimento è una sequela ininterrotta di frasi cariche d’ostilità verso gli Italiani, in cui si invita a “cancellare il popolo ingannatore” (quello italiano appunto), s’impartisce l’ordine “sterminate gli ipocriti manutengoli”, concludendo con l’esortazione “spaccate a tutti il cranio”. Il testo poetico suggerisce inoltre nella sua chiusura che gli autori di queste gesta dovrebbero essere fieri del proprio operato. Tale componimento in cui s’invitava al genocidio del popolo italiano conobbe tale popolarità da finire affisso durante il conflitto come manifesto propagandistico per ordine delle autorità di polizia. [CLAUS GATTERER, “Italiani maledetti, maledetti Austriaci.” L’inimicizia ereditaria, Bolzano 1986, p. 206].
È sbagliato quindi concentrare l’attenzione sul solo gabinetto Belcredi, quando in verità le misure di persecuzione contro gli italiani furono ordinate direttamente dal kaiser Francesco Giuseppe, ebbero sostegno ed appoggio in larghi settori politici (parte dell’aristocrazia di corte e dei vertici militari, nazionalisti sloveni, nazionalisti croati, sostenitori del trialismo ecc.) e proseguirono per interi decenni.

20. IL SISTEMA SCOLASTICO]
felicitamodna82 poi accenna alla questione del sistema scolastico e d’istruzione, sostenendo che gli italiani avrebbero goduto di libertà in tale ambito: «D’altronde anche leggendo alcune opere (Una storia balcanica, a cura di Lorenzo Bertucelli e Mila Orlic; Strategie educative dei ceti medi italiani a Trieste tra la fine del XIX sec. e il 1914, di Vittorio Caporrella – un’opera decisamente “italianissima” ma che non nasconde la situazione di autonomia degli italofoni triestini-, Das Deutschenbild Alcide De Gasperis(1881-1954), di Michael Völkl, per citare le prime cose che ho sulla mia scrivania fisica o virtuale) si percepisce come le comunitá di lingua italiana/veneta, friulana, ladina avessero tutte le libertá previste dalle leggi austroungariche, ed in lingua italiana si potessero gestire scuole e corsi universitari
Il giudizio di felicitamodna82 è al contempo generico ed erroneo. Esso non descrive nel dettaglio la situazione degli italiani sudditi asburgici nel periodo 1866-1918 per quanto riguarda il sistema d’istruzione e sbaglia certamente nel sostenere che avessero tutti i diritti previsti teoricamente dalle leggi. La questione scolastica meriterebbe da sola un saggio intero e non può assolutamente essere qui affrontata, cosicché qui ci si limiterà ad una sintesi per dimostrare l’incompletezza ed erroneità delle asserzioni della summenzionata signora.
Anzitutto, il diritto per le singole nazionalità ad avere un ciclo scolastico nella propria lingua venne ad essere teoricamente sancito dall’articolo 19 della Legge fondamentale dello Stato del 21 dicembre 1867 sui diritti generali dei cittadini, nei regni e Paesi rappresentati nel Consiglio dell’Impero. Esso però veniva interpretato sostenendo che non imponesse un ciclo educativo completo nella singola lingua nazionale. Inoltre questa legge, come altre riguardanti la lingua nazionale, diveniva d’applicazione ed interpretazione enormemente complesse per la grande mescolanza etnica nell’impero e la pluralità di categorie e concetti linguistici a cui si faceva riferimento: Muttersprache, Umgangsprache, Vermittlungssprache, Geschäftssprache, landesübliche Sprache, Amtssprache innere, Amtssprache äussere ... Sovente si discuteva sulla definizione stessa di questi concetti e questo era comunque solo il primo passo, poiché poi bisogna applicarli ai moltissimi casi concreti d’un impero multietnico. Si rivendicavano così scuole in una determinata lingua sulla base della lingua materna, o di quella d’uso, o di quella adoperata da comunità etniche differenti per comprendersi fra loro, od anche di quella amministrativa ecc. Di fatto, l’articolo 19 era applicato alquanto arbitrariamente, sulla base dei rapporti di forza politici.
Comprendere in quale misura gli italiani sudditi imperiali potessero seguire corsi scolastici nella loro lingua richiede pertanto indicare e distinguere sia fra le diverse regioni e località, sia fra i differenti gradi. Limitarsi ad asserire, come fa felicitamodna82, che gli italiani avevano scuole nella loro lingua, senza specificare dove esistessero e di quale ordine e grado è limitante e finisce con l’essere deformante rispetto alla realtà concreta.
Le unità amministrative in cui vivevano quasi tutti gli italiani sudditi imperiali nel 1866-1914 erano il Tirolo del sud (il Trentino), il Litorale (la Venezia Giulia), la Dalmazia. I gradi od ordini in cui era suddiviso il sistema scolastico erano di massima i tre ancora oggi in uso: il primario, in cui si apprendono le basi dell’istruzione scritta (paragonabile alla vecchia scuola elementare italiana); il secondario, in cui si riceve una preparazione professionale specifica (analogo al ciclo di studi che in Italia prende il nome di studi superiori di primo e secondo grado, ossia alla vecchia media ed alle superiori); infine il terziario, per la preparazione ad alto livello (l’università).
La situazione certamente peggiore per gli italiani si riscontrò in Dalmazia. Ha scritto il professor Luciano Monzali: «Da questi presupposti ideologici [dei nazionalisti croati], che negavano una realtà di fatto esistente, quella delle città dalmate bilingui e multietniche […] il passaggio ad una politica di snazionalizzazione e assimilazione nei confronti dei dalmati italiani e italofili fu rapido. La questione scolastica divenne ben presto centrale, con l’abolizione dell’italiano come lingua d’istruzione nelle scuole dalmate ed il rifiuto delle autorità provinciali e comunali nazionaliste di finanziare con soldi pubblici le scuole in lingua italiana che sopravvivevano.» [MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., p. 142.] A partire dal 1866 s’assistette alla quasi totale scomparsa delle scuole di lingua italiana della Dalmazia. Alcuni dati numerici possono dare l’idea di ciò che avvenne. A partire da quella data nessuna scuola italiana fu aperta dalle autorità ed in più vennero progressivamente chiuse quasi tutte quelle esistenti. Questa regione era suddivisa in 84 comuni e rimasero scuole elementari ossia di primo grado in lingua italiana soltanto nel comune di Zara (1 comune su 84!), mentre fra le scuole superiori ossia di secondo grado permasero in lingua italiana un istituto a Ragusa ed uno a Cattaro (2 comuni su 84!) e si trattava in entrambi i casi d’un solo istituto, una scuola nautica. Complessivamente, le scuole in lingua italiana in Dalmazia rimasero in tutto e per tutto 11, all’interno d’un numero totale d’istituti scolastici che superava largamente le quattro centinaia.
Tentativi ed iniziative di snazionalizzazione del sistema scolastico a discapito degli italiani si ebbero anche nel Tirolo, sebbene in forma molto più debole che non in Dalmazia. Osserva il Monzali: «Il governo di Vienna non era ostile alla progressiva germanizzazione di parte del Tirolo italiano in quanto la riteneva uno strumento per contrastare le mire territoriali dell’Italia sul Trentino; non a caso aveva favorito l’apertura di scuole tedesche nella regione» [MONZALI, Italiani di Dalmazia, cit., pp. 145-146.] È possibile aggiungere alcuni dettagli in proposito.
Si è già ricordato in precedenza come nel 1866 il luogotenente del Tirolo, il principe Lobkovitz, ed il consigliere aulico a Trento, il conte Hohenwart, avessero intrapreso un programma scolastico in lingua tedesca per la zona del Trentino ed al contempo alla germanizzazione della zona mistilingue posta a nord di Salorno. A dimostrazione della continuità di questa politica, nel gennaio del 1886 l’allora luogotenente del Tirolo, Widmann, scrivendo al primo ministro Taaffe sosteneva che la germanizzazione rientrava fra gli interessi generali dello stato imperiale e difendeva i tentativi di germanizzare le scuole nel Trentino.
Nell’unità amministrativa detta del Tirolo, sia nel Trentino, sia nell’area mistilingue a settentrione di Salorno, presero ad operare associazioni nazionalistiche germaniche, quali il Comité zur Unterstutztung der deutschen Schule in Welschtirol, il Deutscher Schulverein, il Tiroler Volksbund, che poterono fare affidamento sull’appoggio delle autorità politiche. Il Comitè, creato nel 1867 e che si proponeva il sostegno alle istituzioni scolastiche in lingua tedesca nel Trentino, ricevette un finanziamento personale da parte di Francesco Giuseppe d’Asburgo. L’associazione Deutscher Schulverein elaborò durante il governo Taaffe il progetto di germanizzazione d’una fascia centrale del Trentino, approssimativamente comprendente la linea tracciata da Luserna, Folgaria, san Sebastiano, Valsugana, Valle del Fersina, val del Cadino, val di Fiemme. L’esito di tale piano, se si fosse riuscito a realizzarlo, sarebbe stato quello di spezzare la continuità nazionale del Trentino. Il Volksbund, il cui obiettivo primario fu a lungo la germanizzazione del Trentino, riuscì ad impedire, trovando il sostengo delle autorità scolastiche tirolesi, l’apertura di scuole pubbliche od asili infantili (Kindergarten) in lingua italiana in un’area mistilingue, nonostante il numero degli interessati superasse di molto il limite minimo previsto dalla legge.
A Trieste ed in generale nel Litorale (il termine amministrativo adoperato ufficialmente dalla Restaurazione per indicare la Venezia Giulia) l’apparato governativo favorì il più possibile gli istituti in lingua tedesca o slovena, a discapito di quelli in lingua italiana. Un semplice dato numerico riguardante i finanziamenti può chiarire ciò che avvenne. Nel bilancio dell'istruzione pubblica statale per il primo semestre del 1914, le spese preventivate nel cosiddetto Litorale vedevano 1.121.020 corone destinate a scuole non italiane e 154.642 corone per scuole italiane. Questo avveniva in una regione in cui, secondo gli stessi censimenti austriaci, gli Italiani costituivano la maggioranza. Il Caporrella nella sua tesi dimostra l’importanza enorme che aveva l’istruzione nel contrasto nazionale in atto ed esamina minuziosamente le differenze fra i vari istituti, affermando nella conclusione del suo studio che a Trieste, in linea di principio, le scuole comunali erano in lingua italiana, quelle statali erano invece in lingua tedesca. La distinzione è rivelatrice: il comune di Trieste, controllato dai liberali italiani, seguiva una politica, lo stato imperiale, in cui invece gli italiani erano una piccolissima minoranza, ne seguiva un’altra del tutto opposta. Si deve aggiungere che persino i libri di testo furono soggetti a severe forme di controllo e di censura.
Una situazione persino peggiore si riscontrò a Fiume, in cui finì con l’essere imposta la sostituzione della lingua magiara a quella italiana in tutte le scuole superiori ed addirittura venne ad essere proibito ai fiumani di frequentare scuole italiane esistente nel regno austriaco. Questo avvenne in una città in cui i magiari ivi residenti erano quasi soltanto militari e funzionari provenienti dall'Ungheria propriamente detta e nel quale gli abitanti della città erano per oltre l'80% italiani. La natura arbitraria di codeste decisioni risalta dal fatto che dopo aver magiarizzato a forza l'accademia di nautica, dovettero essere incaricati dei professori ed interpreti di creare ex novo un lessico marinaresco in lingua ungherese, a causa della gran quantità di vocaboli tecnici esistenti sconosciuti in precedenza nell'idioma magiaro.
In tutto il periodo 1866-1918 un’università in lingua italiana nell’impero austroungarico non esistette mai e neppure anche solo una facoltà. Vi furono, in tutto e per tutti, alcuni corsi, per alcuni anni, all’università di Innsbruck, che eccezionalmente e per speciale concessione erano in italiano. Si trattava d’alcuni corsi della facoltà di diritto, d’alcuni corsi della facoltà di medicina e d’un solo corso di lingua e letteratura italiana. Anche per diritto e medicina comunque questi corsi paralleli in lingua italiana non erano sufficienti ad assicurare un ciclo completo di studi. La concessione di questi corsi, paralleli e non sostitutivi a quelli in lingua tedesca (gli italiani potevano seguire alcuni corsi nella loro lingua, se lo volevano, ma gli studenti austriaci avevano comunque quelli in tedesco) era stata permessa per l’esigenza d’avere funzionari e medici che potessero interagire senza difficoltà con amministrati e pazienti di lingua italiana: si trattava quindi d’una speciale autorizzazione accordata fondamentalmente per ragioni di funzionalità. Tutti gli altri corsi, d’ogni facoltà, erano in tedesco, in una università tedesca e con facoltà tedesche.
La richiesta d’una università in lingua italiana od almeno d’una facoltà fu ripetutamente avanzata dal 1866 dagli italiani, ma sempre rifiutata. Agirono in senso contrario sia i nazionalisti austriaci e slavi, sia altissimi politici e militari, come il Luogotenente di Trieste Kellersperg, un altro Statthalter del Litorale come Goëss, il Luogotenente del Tirolo Schwarteznau, l’arciduca Eugenio, comandante del corpo d’armata tirolese … Costoro, tutti, temevano che una università o facoltà in lingua italiana rafforzasse l’identità etnica degli italiani, quindi l’irredentismo. Degne di menzione sono le argomentazioni del Goëss contro l’università italiana a Trieste: essa non andava concessa, perché avrebbe rafforzato l’irredentismo degli italiani a discapito dei gruppi etnici lealisti degli austriaci e degli slavi; avrebbe messo in crisi il sistema di scuole elementari e medie in lingua tedesca, che servivano anche da strumento di penetrazione della cultura germanica fra gli italiani; questo altissimo funzionario ricordava anche che Trieste andava considerata come la porta del germanesimo in direzione dell’Adriatico.
[ANGELO ARA, La questione dell’Università italiana in Austria, in «Rassegna storica del Risorgimento» LX, 1973; G. DEUTHMANN, Per la storia di alcune scuole in Dalmazia, Zara 1920; VIRGINIO GAYDA, L'Italia d'oltre confine. Le provincie italiane d'Austria, Torino 1914; ATTILIO TAMARO, Le condizioni degli italiani soggetti all'Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia, Roma 1915; ERNESTO SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997; A. M. VINCI, Storia dell’Università di Trieste. Mito, progetti, realtà, Trieste 1997; la stessa tesi di dottorato di Michael Völkl citata da felicitamodna82 dedica ampio spazio all’attività politica che De Gasperi svolse in opposizione e contrasto ai tentativi di germanizzare il Trentino, ripetutamente ed apertamente denunciati da questo politico. Un intero capitolo, il quarto, è dedicato al contrasto con il nazionalismo germanico: Die negative Erfahrungsebene: Der deutsche Nationalismus, in MICHAEL VÖLKL, Das Deutschenbild Alcide De Gasperis (1881-1954). Ein Beitrag zur Geschichte der italienischen Deutschenwahrnehmung, Monaco 2004, pp. 105 sgg.; DAVIDE ZAFFI, Associazionismo nazionale in Cisleithania. Il Deutscher Schulverein (1880), in Studi trentini di scienze storiche, 67, (1988), pp. 273-323.]


21. SI PARLA DI SALISBURGO, SI TACE SULLA DALMAZIA]
felicitamodna82 ammette finalmente che vi furono alcune misure contro gli italiani: «Per ora so solo di alcuni ordini di vigilanza del 1907 (vedere nota bibliografica alla fine) rivolte ai Reichsitaliener (italiani regnicoli) lavoratori immigrati nel Tirolo e nel Salisburghese, quindi in un’altra epoca in cui gli equilibri di potere in Europa e nel Mediterraneo si stavano spostando ed era in preparazione la guerra. Non a caso le misure stesse erano da intendersi come direttive finalizzate al non farsi trovare impreparati in caso di mobilitazione bellica.» Questi ordini di vigilanza, scrive felicitamodna82, sono riportati in alcuni studi: «Le misure del 1907 citate sopra, da in Hans Haas, Salzburg in der Habsburgermonarchie. Nationalbewusstsein, Patriotismus und Krieg. Der Krieg, in Heinz Dopsch, Hans Spatzenegger(hrsg. von), Geschichte Salzburgs. Stadt und Land, Bd. II, Neuzeit und Zeitgeschichte, 2. Teil, Salzburg, Universitätsverlag Anton Pustet 1988, p. 1007 e seguenti
felicitamodna82 comunica nel suo articolo di scrivere una tesi riguardante Salisburgo e dice d’aver ricercato il passo con l’ordine di “germanizzare e slavizzare” nella biblioteca universitaria di questa città. Ella quindi studia sulla storia di Salisburgo e risiede od ha risieduto in questa località.
È senz’altro per questo motivo che felicitamodna82 ha saputo rintracciare questi ordini di vigilanza di italiani immigrati nel Salisburghese, poiché cadevano nell’area geografica e temporale suo oggetto privilegiato di ricerca.
Ma l’ordine imperiale del 1866 non riguardava Salisburgo, bensì Venezia Giulia, Dalmazia, Trentino. Era in queste regioni che vivevano quasi tutti gli italiani sudditi asburgici dopo il 1866, in comunità ivi residenti da sempre.
felicitamodna82 ritrovando questi ordini di vigilanza del 1907 avrebbe dovuto porsi una domanda: se sono state emesse simili misure nel Salisburghese, regione molto lontana dal confine italiano ed in cui non esisteva un popolamento italiano autoctono, allora per caso ne sono state promulgate altre anche in Dalmazia, Venezia Giulia, Trentino, terre proprio sul confine con l’Italia (marittimo o terrestre) ed in cui gli italiani erano maggioritari o comunque molto numerosi?
Costei sbaglia quindi a concludere che tali ordini fossero stati promulgati soltanto per la regione di Salisburgo (proprio al confine con la Germania e storicamente di pretto popolamento germanico), senza nemmeno porsi l’interrogativo di ciò che fosse avvenuto nelle regioni a popolamento italiano, proprio sul confine.
Tanto per portare un semplice esempio, proprio nel 1907 in Trentino s’instaurò un regime di polizia e s’elevò una specie di “cortina di ferro” tra questa regione e quella limitrofe del regno d’Italia. Si tentò di limitare il più possibile i contatti fra i trentini ed i “regnicoli”, anche sul piano delle comunicazioni, del commercio, degli spostamenti della popolazione, ostacolando persino l’attività di transumanza dei pastori ed allevatori, che avveniva stagionalmente da tempo immemorabile. In un suo dettagliato discorso del 12 dicembre 1911 al Parlamento di Vienna, l’allora onorevole Cesare Battisti poté denunciare una circolare ufficiale diramata dalle autorità militari, che precisava la politica che doveva essere seguita nei confronti degli italiani. In primo luogo, bisognava evitare di dare lavoro, contfelicitamodna82, appalti ecc. a tutti i “regnicoli”. In secondo luogo, costoro andavano espulsi con ogni pretesto. In terzo luogo, si doveva impedire in ogni modo l’accesso d’Italiani dal regno al Trentino. In quarto luogo, bisognava preparare autentiche liste di proscrizione di Trentini “sospetti”, che avrebbero dovuto essere deportati in caso di necessità. Non è necessario ricordare che le conseguenze sociali ed economiche di queste misure furono significative.
Siccome le misure dirette a “germanizzare e slavizzare” erano state destinate a Trentino, Venezia Giulia, Dalmazia, che erano le regioni in cui vivevano quasi tutti gli italiani dell’impero (dopo il 1866), la questione di ciò che avvenisse a Salisburgo (proprio ai confini con la Germania, città prettamente austriaca!) è davvero marginale. felicitamodna82 si sofferma su Salisburgo, (presumibilmente perché è la storia di questa regione che ella conosce meglio scrivendovi sopra la sua tesi), invece di parlare del Trentino e trascurando totalmente in tutto il suo articolo ciò che avvenne a discapito degli italiani in Dalmazia, dove, sia detto per inciso, la snazionalizzazione toccò il suo apice.
Il suo comportamento è paragonabile a quello proverbiale di colui che, dovendo ritrovare un oggetto smarrito in cantina, prova a cercarlo in salotto perché c’è più luce.


22. IL PRINCIPE KONRAD ZU HOHENLOHE]
Un’altra misura contro gli italiani viene così presentata da felicitamodna82: «E qui la nuova segnalazione di Sandi, che mi fa notare come una serie di cagate pazzesche (cit. Fantozzi) siano state recepite un tanto al braccio e sbattute lì. Già che c’erano, mi fa notare Sandi, è stato pure messo il povero Konrad zu Hohenlohe, da sempre impegnato nella mediazione proprio con gli italiani, specie in funzione di controllo sugli slavi, come mostro anti-italiano. Forse il povero principe è finito sulla lista nera a causa delle sue simpatie per le rivendicazioni dei lavoratori? Sandi mi segnala anche che è di dominio pubblico fra i triestini il fatto che i “provvedimenti di Hohenlohe” fecero licenziare i Reichsitaliener – non i Volksitaliener cittadini austroungarici, ma i regnicoli - dipendenti del Comune di Trieste. Difficilmente un’istituzione permette di occupare cariche ufficiali senza la cittadinanza, anche nelle democrazie liberali! Di nuovo, quindi, nessuna deportazione e nessun genocidio. In merito ho trovato la voce enciclopedica curata dall’Accademia Austriaca delle Scienze che conferma quanto affermato da Sandi: http://epub.oeaw.ac.at:8000/oebl/oebl_H/Ho..._1863_1918.xml»
Per prima cosa, il principe Konrad zu Hohenlohe, governatore imperiale del Litorale ossia della Venezia Giulia dal 1904 al 1915, non è per nulla definibile quale «da sempre impegnato nella mediazione proprio con gli italiani, specie in funzione di controllo sugli slavi». Egli fu uno dei sostenitori del progetto politico detto del trialismo, appoggiato fra gli altri dall’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, che si prefiggeva di creare un terzo regno nell’impero, accanto a quelli d’Austria e d’Ungheria, che sarebbe stato quello della Slavia meridionale, comprendente sloveni e croati. Al suo interno avrebbe dovuto essere inclusa anche l’unità amministrativa del Litorale austriaco, quindi pure Trieste. La politica di Hohenlohe era quindi filoslava e non filo italiana, tanto che egli esprimeva in suo documento ufficiale, trasmesso a Vienna, l’intenzione di favorire gli sloveni. [CARLO SCHIFFRER, La questione etnica ai confini orientali d’Italia, Trieste 1992; ANGELO ARA, Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, Milano 2009, pp. 306-307.]
Per seconda cosa, felicitamodna82 si limita a parlare dei famosi decreti Hohenlohe dell’agosto del 1913, che guadagnarono grande notorietà internazionale, ma riguardarono in tutto poche decine d’italiani. Ella invece non parla per nulla delle espulsioni, ordinate in precedenza e durate per anni ed anni, che furono compiute sulla base di semplici pretesti. Un grande storico, Ernesto Sestan, ha calcolato che gli italiani espulsi in questo modo furono almeno 35.000 nel solo periodo compreso fra il 1903 ed il 1913: “la cittadinanza del regno d’Italia […] era motivo sufficiente perché le autorità austriache facessero il viso dell’arme e quando credessero opportuno, intervenissero con provvedimenti di sfratto forzoso, con i più futili pretesti; 35 mila circa sarebbero state queste espulsioni di italiani regnicoli nel decennio dal 1903 al 1913”. [ERNESTO SESTAN, Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Udine 1997, p. 93.]
Questi 35 mila italiani espulsi non erano stati cacciati perché impiegati pubblici, ma sulla base di motivi pretestuosi. Si ritrovava ad esempio un cocchiere espulso per “corsa veloce” od un altro che avendo gridato ad una guardia che stava arrestando un monello triestino “Lasselo star!” fu cacciato per “intromissione illecita”. Marcello Filoso, figlio e nipote di persone nate a Trieste, finì espulso per aver “gettato delle palle di neve”. Vennero cacciati anche italiani che, sebbene cittadini del regno d’Italia, erano nati ed avevano sempre vissuto a Trieste, tanto che non avevano neppure un’abitazione nel regno d’Italia a cui poter fare ritorno. È facile valutare che cosa significasse una tale alterazione delle dimensioni etniche (35 mila espulsioni!) all’interno d’una città come Trieste.


23 LUNGA DURATA DELLA NOZIONE DI NAZIONE ITALIANA]7
felicitamodna82 introduce poi una breve divagazione in cui attacca ciò che secondo lei sarebbe nazionalismo e distingue fra modenesi ed italiani: «Qui vorrei solo ricordare che gli anacronismi da nazionalista del 19° e primo 20° secolo sono veramente ridicoli e spesso sono mirati più al giustificare l’odierno che allo scrivere la storia in maniera scientifica. Un esempio che a me sta a cuore? Raimondo Montecuccoli ed il Muratori, modenesi come me, citati come italiani dalla Wiki italiana, il Montecuccoli citato come austriaco dalla Wiki austriaca. Non sono in preda ad un delirio campanilista, parlo dei Ducato di Modena, stato indipendente fino al 1859 e con una storia molto particolare mai sufficientemente valorizzata come é successo con quella del Libero Comune, alla quale la prima é strettamente connessa(sugli anacronismi assurdi segnalo anche un altro post del mio blog, quello sulla mostra per il 150° dell’Italia…)
Secondo felicitamodna82 i modenesi non sarebbero stati italiani perché sudditi del duca di Modena e sostenere il contrario sarebbe un esempio d’anacronismo nazionalista «del 19° e primo 20° secolo». Non stupisce quindi che ella introduca una simile distinzione fra “modenesi” ed “italiani”, asserendo che i primi non sarebbero stati definibili quali italiani prima del 1859. Par di capire che felicitamodna82 reputi l’idea di nazione italiana quale una creazione del secolo XIX.
Prima di rispondere brevemente a questa sua ipotesi, sia consentita una citazione dal saggio Nuove questioni di storia medioevale, che raccoglie interventi di molti prestigiosi storici del Medioevo (Carlo Guido Mor, Cesare Vasoli, Piero Pieri, Francesco Gabrieli ecc. ecc.). Il capitolo introduttivo di quest’opera, Il Medioevo nella Storiografia dell’Età Moderna, dedica un paragrafo intero a Ludovico Antonio Muratori ed alla sua imponente opera storiografica. Che cosa scrive lo storico Raffaello Morghen sul Muratori? Esattamente questo: “Nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi, nella grande raccolta di fonti dei Rerum Italicarum Scriptores e negli Annali d’Italia si andò sempre più precisando, nella grande opera muratoriana, il disegno di una visione storica della civiltà italiana” [RAFFAELLO MORGHEN (a cura di), Nuove questioni di storia medioevale, Milano 1969, p. 14]. Che cosa intendeva esprimere questa produzione del Muratori? “Così molto tempo prima che si ponesse la questione della legittimità di una storia politica unitaria d’Italia, il Muratori affermava la validità della storia della nazione culturale italiana” (Ibidem, p. 15). Il Muratori, che secondo felicitamodna82 sarebbe stato modenese e non italiano, aveva quindi teorizzato nelle sue grandi opere storiche l’esistenza della nazione culturale italiana. L’autore delle Antiquitates Italicae Medii Aevi, delle Rerum Italicarum Scriptores, degli Annali d’Italia, ben lungi dal ritenersi puramente modenese, sosteneva anzi che si desse un’identità culturale italiana sin dal Medioevo, dimostrando ciò con un’imponente raccolta di fonti.
Il Muratori affermava quindi che l’Italia sul piano culturale esistesse già nel Medioevo, ma si danno forti argomenti per affermare che essa si riscontrasse già in precedenza. Unità culturali etniche, su scala anche molto più ampia di quella italiana, si possono ritrovare già nell’antichità, come nel Vicino Oriente antico, in India e nell’Estremo Oriente. La struttura religiosa indiana, che è la vera base dell’identità etnica dell’India e che ha imposto per millenni i suoi contenuti in campo sociale (alimentazione, vestiario, professioni, matrimoni ecc., tutti i principali aspetti della vita sociale, per non parlare del ruolo economico, culturale in senso stretto, politico ecc.) si era radicata con forza già almeno nel III secolo a.C. L’unificazione di quella che oggi chiamiamo Cina è avvenuta ad opera del primo imperatore cinese Ching Shuang Ti prima ancora che il Mediterraneo fosse unificato da Roma. La nazione persiana era stata unificata già sotto Ciro e, malgrado sia caduta periodicamente sotto domini stranieri, ha continuato ad esistere ininterrottamente sino ad oggi.
Per ciò che riguarda l’esistenza delle nazioni già nell’evo antico si può ricordare, giusto per dare un riferimento storiografico, lo studio di Anthony D. Smith, Le origini culturali delle nazioni
Gerarchia, alleanza, repubblica, pubblicato in Italia dalla prestigiosa casa editrice “Il Mulino” [A. D. SMITH, The ethnic origins of nations, Oxford 1986; traduzione italiana Le origini etniche delle nazioni, Bologna 1992]. Smith è professore emerito e presidente dell'Asen, Association for the Study of Ethnicity and Nationalism, presso la London School of Economics and Political Science. Questo più che illustre studioso sostiene che i caratteri nazionali poggiano su modelli di identità risalenti sino all’Antichità, in questo modo respingendo alcune ipotesi storiografiche che vorrebbero che l’idea di nazione sia un prodotto della modernità o della cultura romantica. Smith individua tre modelli fondamentali di nazione nell’Antichità: quello gerarchico, che individua nella comunità l'incarnazione di un ordine ultraterreno e che ha le sue prime espressioni in Egitto e in Mesopotamia; il paradigma dell'alleanza fra il dio ed il popolo, con un “patto” (berith in ebraico antico) fra la divinità e la comunità, che è fondamento dell’ordine giuridico (questo modello è ritenuto dall’autore tipico dell’Israele antico, ma in realtà era del tutto comune nell’area semitica vicino-orientale e non una prerogativa esclusiva degli ebrei); infine il modello repubblicano, espresso da Grecia e Roma (beninteso, il carattere repubblicano di Roma è sopravvissuto anche all’instaurazione dell’impero, poiché nonostante l’influsso del modello gerarchico orientale, la struttura della res publica ha conservato fondamentali caratteri repubblicani: il sovrano romano non ha mai avuto poteri assoluti e la sua autorità è sempre stata limitata dal ruolo del senatore, della classe senatoria e dalla consapevolezza che la tradizione giuridica romana era a lui preesistente e superiore). Questo autore ha così potuto teorizzare che alcune nazioni moderne si sono formate sulla base di legami etnici preesistenti e risalenti spesso sino al mondo antico.
È stata ampiamente provata l’esistenza d’una forte identità comune fra le varie popolazioni d’Italia, dalle Alpi al mare, ben prima dell’unificazione romana.
Infatti, storici dell'Italia antica hanno elaborato la tesi cosiddetta del "pan-italianesimo", secondo cui i vari popoli pre-romani (Etruschi, Liguri, Sardi, Corsi, Reti, Italici, Veneti, Latini, persino in parte i Celti ed Greci, che comunque erano minoranze giunte in Italia soltanto nel I millennio a.C avanzato, quindi millenni dopo l’insediamento degli altri gruppi etnici maggioritari) avrebbero raggiunto un considerevole grado di unità culturale ben prima dell'unificazione romana. Tale teoria ha avuto il suo pioniere anzitutto in Michel Lejeune, sia storico in senso stretto, sia glottologo (in assoluto uno dei maggiori mai esistiti), il quale ha affermato la comunanza culturale e linguistica fra i diversi popoli d’Italia prima dell’unificazione romanza, conseguente alla mescolanza etnica fra indo-europei e mediterranei ed alla diffusione culturale. La tesi di questo studioso francese ha poi incontrato grande fortuna nell'ambito dell'antichistica [Una breve presentazione della sua figura si trova in A. PROSDOCIMI, Michel Lejeune. L’Italie antique et autre chose encore, in Hommage rendu a Michel Lejeune, Academie des Inscriptions et Belles Lettres (Parigi, 19 gennaio 2001), Parigi 2001, pp. 33-41.].
È questo il parere, fra gli altri, anche del professor Sabatino Moscati, dell'Accademia dei Lincei, autore di una «Archeologia delle regioni italiane». Questi spiega che nella storia d’Italia esiste una costante tendenza all’unità politica ed alla convergenza culturale, indotta dalla stessa configurazione naturale e geografica d’Italia, poiché le Alpi ed il mare costituiscono delle frontiere permanenti e chiare. L’Italia, serrata quasi da ogni parte dal mare e sull’unico lato di terraferma sbarrata dalle Alpi costituisce quindi una specie di “isola continentale”. Sabatini spiega inoltre che su base archeologica è possibile provare sin dalle epoche più remote una notevole omogeneità culturale fra tutte le parti d’Italia, come l’esistenza nell’evo antico dello stesso tipo di steli funerarie dalla valle d’Aosta sino alla Sicilia o di bronzi votivi dal Veneto alla Sardegna.
Riscontrare una convergenza linguistica ed una comune facies sul piano dell’idioma, come fanno il Lejeune ed il Prosdocimini, vuole dire moltissimo a sostegno dell’idea di una nazione in fieri, poiché il criterio abitualmente più importante per individuare una nazione è proprio la lingua, che è assieme veicolo di cultura ed effetto d’una cultura comune, ovvero suo “sintomo”. Fra gli altri, anche il glottologo Giuliano Bonfante riconosce una notevole concordanza ed assonanza fra le lingue parlate in Italia almeno a partire dal VI secolo a. C. Anche i lessici si influenzano con un continuo scambio di elementi e parole, che investe tutto il complesso delle lingue parlate in Italia tanto indoeuropee quanto non indoeuropee. Si noti ancora che gli antichi Mediterranei, a cui appartenevano Etruschi, Reti, Liguri, Sardi, erano molto simili fra loro culturalmente e linguisticamente, così come poi gli Indoeuropei giunti in Italia, tutti membri di una medesima “famiglia” del ceppo indoeuropeo. Una notevole similitudine esisteva anche sul piano artistico, come dimostra l’archeologia e come si è espresso autorevolmente Massimo Pallottino, nella sua qualità di presidente dell'Istituto di studi etruschi e italici. Sul piano religioso si dava, anche qui, una notevole somiglianza, che ha lasciato tracce evidenti in tutta l’area degli Appennini, da nord a sud,
Lo scenario sarebbe quindi analogo a quello dell'unione politica raggiunta nel secolo XIX. Esisteva già una "nazione", differenziata regionalmente, ma con caratteri di fondo comuni. Su di essa, si è poi aggiunta e sovrapposta l'unificazione giuridica e politica. Non si dimentichi che gli Italici, i Veneti ed i Latini avevano origini comuni, e che vivevano assieme ai discendenti degli antichi Mediterranei, pre-indoeuropei (Liguri, Etruschi, Sardi) dal II millennio a.C. Esisteva quindi una grande somiglianza sul piano delle organizzazioni politiche, delle forme religiose, delle strutture sociali ecc. La cultura greca, che poi si diffuse largamente in Italia, costituì poi un ulteriore base di unità. A tutto questo si aggiunse poi la comune organizzazione politica, militare e giuridica di Roma, e la latinizzazione di tutti gli abitanti d'Italia, completa ormai sotto Augusto. È possibile sostenere che l'Italia quale "nazione" esista da ben più di due millenni, con una sua unità sostanziale costituita da diversi "strati" sovrapposti l'uno all'altro. Roma diede un diritto e una lingua comuni, ma non cancellò la natura delle popolazioni della penisola, che conservarono culti e religioni, abitudini e lingue: si ebbe una unità nella diversità.
Ad esempio, l’Italia settentrionale aveva piena cittadinanza romana già sotto Augusto e già nei secoli precedenti esistevano al suo interno, come in tutto il resto della penisola, città e popolamenti romani. Dall’Italia a nord del Rubicone provennero, fra gli altri, Virgilio (da Mantova), il più grande poeta latino, Livio (da Padova) e Tacito (dal Piemonte meridionale), i due più grandi storici (Tacito fu anche un importantissimo uomo politico), oltre ad altri autori come Catullo (il fondatore della poesia erotica latina), Plinio il Vecchio (il maggior enciclopedista latino e comandante della flotta imperiale), Plinio il Giovane (squisito letterato dell’epoca traianea), Ambrogio (teologo, letterato, politico d’assoluto rilievo). Dalla ex Gallia Cisalpina provennero imperatori, senatori, legioni intere. La legione “Alaudae”, la più combattiva e fedele di tutte le legioni di Cesare, era stata arruolata in Italia settentrionale, nella cosiddetta “Cisalpina”. Milano divenne capitale imperiale e tale rimase per molti secoli. Quando la Dacia fu romanizzata dopo la conquista di Traiano, con un’eredità plurisecolare che condusse secoli più tardi alla Romania (la terra dei Romani, appunto), la maggior parte dei coloni provennero proprio dalla pianura padana.
L’Italia intesa come definizione geografica si ritrova da ben prima della conquista romana, poiché si parlava prima anche della sua unificazione politica di Italia quale realtà geografica. Questo si ritrova, ad esempio, in Polibio di Megalopoli. Ma l’Italia intesa quale unità politica ed amministrativa compare già sotto Ottaviano Augusto e continuò ad esistere per tutta romanità imperiale, quindi per altri cinque secoli. Anche dopo il collasso dell’impero romano d’Occidente continuò ad esistere la convinzione dell’unità culturale ed etnica dell’Italia: sotto Odoacre, sotto i Goti, poi dopo il ritorno dell’Italia al di sotto dell’impero romano, questa volta d’Oriente. Il re longobardo, a fianco del titolo di "rex langobardorum", utilizzava anche quello di "rex Italiae" o addirittura "rex totius Italiae" e praticamente dal Regno di Liutprando in poi l'integrazione etnica, politica e linguistica (con l'adozione del volgare romanzo da parte dei secondi) tra italici e longobardi è un processo accettato e irreversibile. Si continuò a parlare di “regnum Italiae” anche dopo la caduta dei Longobardi e sino alle soglie del Rinascimento ed, almeno formalmente, esso continuò ad esistere. L’idea d’Italia esisteva comunque già nel pieno Medioevo. [Cfr. ad esempio ERNESTO SESTAN, Stato e nazione nell’Alto Medioevo, Napoli 1994, soprattutto il cap. II, pp. 45-105.]
È indiscutibile che tutta l’Italia postromana sia erede e continuatrice di Roma. Questo è già dimostrabile sul piano linguistico. Tranne le piccolissime minoranze alloglotte (francesi, austriache, slave, greche, albanesi, che tutte assieme arrivano al 4% del popolamento d’Italia), tutte le lingue locali italiane, i “dialetti”, derivano dal latino, sono quindi lingue neolatine o romanze. Inoltre, esse appartengono tutte ad una medesima famiglia linguistica, definita dai glottologi italo-romanza, che abbraccia tutte le lingue locali dalle Alpi alla Sicilia. Inoltre, esistono due lingue nazionali, italiano letterario e latino.
Si può dire che l'Italia come nazione in fieri esistesse già prima della stessa costruzione imperiale romana, che per così dire costruì il proprio edificio su fondamenta preesistenti. Roma quindi non negò e non soppresse le culture sue anteriori, bensì le condusse al loro naturale compimento nella piena realizzazione di un'unità anche politica, giuridica, linguistica e della coscienza nazionale. La nazione italiana quindi non solo esiste dall’Antichità, a differenza della quasi totalità delle altre nazioni europee oggigiorno esistenti, ma ha anzi costituisce un modello esemplare, paradigmatico, di nazione, proprio per i suoi caratteri particolarmente forti e spiccati. [Per un panorama bibliografico sull’imponente eredità romana, cfr., ad esempio SERGIO RODA, Roma antica e il mondo occidentale moderno. Criteri di interpretazione e ipotesi di continuità, Torino 1999.]
Non è possibile qui cercare di riassumere, anche solo in breve, l’immenso dibattito sul concetto di nazione, sulle origini dei popoli, sui diversi modi e forme in cui una nazione può manifestarsi (nazione culturale, territoriale, etnica ecc. ecc. ecc.), tanto più che esso ha coinvolto storici, antropologi, sociologi e persino psicologi.
L'idea di nazione quale formatasi nel secolo XIX, erede assieme della rivoluzione francese e del romanticismo, è abbastanza recente e non si può ritrovare nelle stesse sue identiche forme in epoche anteriori. Tuttavia, ciò non significa che in precedenza non esistessero modelli identitari comuni. Essi sono sempre esistiti, rispondendo all'esigenza d'espressione in forma culturale e politica del senso identitario innato nell'uomo quale "animale comunitario", soltanto sono stati e rimangono storicamente differenziati. Una società di cacciatori nomadi, una di allevatori, di agricoltori di villaggio, un regno, una repubblica, una città-stato, un impero multi-etnico, uno stato nazionale ecc. esprimono tutti un'identità, la quale però si manifesta in una molteplicità di varianti. [ad esempio, nell'amplissima letteratura esistente al riguardo, un breve ma denso studio in una prospettiva antropologica è quello di ROBERT CARNEIRO, A theory of the Origin of the State, in Science, 1970, n. 169, pp. 733-738]. Tutto questo per dire che non si può sostenere che prima dell'unificazione politica, anzi prima della rivoluzione francese e del romanticismo, non si desse una nazione italiana,
Ciò che preme sottolineare è che esistono forti argomenti a sostegno della teoria che vuole che le nazioni, almeno alcune, esistessero ben prima del secolo XIX, come è il caso dell’Italia. Questa posizione non può assolutamente essere liquidata in modo superficiale e sbrigativo come frutto di ridicoli «anacronismi da nazionalista del 19° e primo 20° secolo».


24. I TRIESTINI E GLI AUSTRIACI, OSSIA TRIESTE E LA PICCOLA MINORANZA DI LINGUA TEDESCA]
felicitamodna82, che sostiene che i modenesi non erano italiani (o non sono ancora adesso?), non esita ad asserire che i triestini siano stati austriaci: «Posso immaginare quanto sia poco gradito tutto ciò dai poveri triestini, che mi hanno gentilmente segnalato queste vicende, triestini per secoli austriaci (eh, già, a scuola in Italia non lo insegnano che Trieste si era offerta agli Asburgo alla fine del 1300…vero?) e negli ultimi decenni confusi con veneti, friulani, istriani, dalmati e vittime di continue falsificazioni della loro storia
Si possono dare due rapidi commenti a questo passo della signora.
Per prima cosa, felicitamodna82 parla di «triestini per secoli austriaci». In verità, Trieste è una città che è sempre stata a netta maggioranza italiana ed in cui gli austriaci non hanno mai rappresentato altro che un’esigua minoranza. Questa città d’altronde ha avuto (ha tutt’ora) un carattere etnicamente composito: accanto alla maggioranza italiana, sono esistiti sloveni, croati, serbi, greci, armeni… [C. BENUSSI, G. LANCELLOTTI, C. H. MARTELLI, P. VASCOTTO (a cura di), Dentro Trieste: ebrei, greci, sloveni, serbi, croati, protestanti armeni, Trieste 2006] Affermare che i triestini siano stati per secoli austriaci è davvero insostenibile sul piano storico.
Secondo il censimento ufficiale del 1910, Trieste aveva circa 230.000 abitanti, fra cui gli austriaci, ossia coloro che erano di lingua tedesca, erano 12.000 (dodicimila): il 5% circa del totale. Gli italiani erano 160.000 circa (centosessantamila): quasi il 70% del totale. Gli austriaci che vivevano a Trieste erano d’altronde quasi tutti amministratori, impiegati, militari ecc., vale a dire dipendenti dello stato imperiale che erano stati trasferiti in questa città da altra sede. [Due studi fondamentali sulle popolazioni della Venezia Giulia e della Dalmazia nel periodo in questione sono le seguenti: G. PERSELLI, I censimenti della popolazione dell‘Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia tra il 1850 e il 1936, Trieste-Rovigno 1993; O. MILETA MATTIUZ, Popolazioni dell‘Istria, Fiume, Zara e Dalmazia (1850-2002). Ipotesi di quantificazione demografica, Trieste 2005.]
felicitamodna82 condanna quelli che definisce «incresciosi episodi di dalmati di lingua veneta/italiana/romanza/come vi pare “trasformati” in croati sulla Wiki inglese, una falsificazione ed un anacronismo insieme. » Questo suo giudizio è, per una volta, condivisibile. Ma felicitamodna82 non si rende conto che nel suo articolo fa diventare austriaci tutti gli abitanti della Trieste asburgica, che appartenevano ad una molteplicità di nazionalità differenti ed in cui i veri austriaci erano una piccola minoranza? È davvero impossibile dire che i triestini sarebbero stati per secoli austriaci, quando in realtà erano in maggioranza italiani, poi sloveni, croati, serbi, armeni, greci, ungheresi ecc., oltre che, in una percentuale nettamente minoritaria, austriaci. Gli stessi censimenti ufficiali imperiali attestano questa condizione della città triestina.
In secondo luogo, l’asserzione di felicitamodna82 è per di più in patente contrasto con l’impostazione di metodo che ella ha adottato per la questione delle nazionalità. Costei nell’individuare e definire le nazionalità si contraddice impiegando criteri contrastanti fra loro.
Ella sostiene che i modenesi non erano italiani e che i triestini non possono essere confusi con «veneti, friulani, istriani, dalmati». Si noti che nel suo articolo di blog costei cerca il più possibile d’evitare d’adoperare il termine “italiani”, designante la nazionalità, preferendo parlare di veneti, friulani, istriani, dalmati, trentini, popolazioni romanze, persino Walsche ecc. Tuttavia, parlando del primo ministro Belcredi, scrive: «Sulla sua figura vorrei ricordare anche che proveniva da una famiglia nobile di origine italiana, pur essendo lui moravo di madrelingua tedesca.» Non è nemmeno il caso di ricordare che nell’aristocrazia europea i matrimoni fra casate di diverse nazionalità furono comunissimi praticamente per tutta la sua storia, cosicché l’origine italiana della famiglia Belcredi è del tutto insignificante riguardo agli orientamenti personali di questo politico nei confronti degli italiani. Il primo ministro Belcredi certamente non era italiano, ma aveva solo antenati che lo erano stati, il che è cosa ben diversa. Il punto è che felicitamodna82 non può contemporaneamente sostenere che sarebbe un anacronismo nazionalistico affermare l’esistenza d’italiani prima dell’unità politica, salvo poi sostenere che la famiglia di Belcredi era d’origine italiana! Gli italiani o esistevano o non esistevano. felicitamodna82 non può accorpare in toto i triestini alla nazione austriaca, far diventare il Muratori solo modenese negandone l’italianità, salvo poi rivendicare una qualche vaga italianità per il primo ministro Belcredi.
Ancora, questa signora che preferisce parlare di triestini, veneti, friulani, dalmati, trentini, modenesi, anziché di italiani, non ha però problemi a ricorrere ai concetti di “austriaci” ed “ungheresi”, invece di scrivere di viennesi, carinziani, tirolesi ecc., come avrebbe dovuto fare se avesse applicato anche per queste nazionalità i criteri di cui si è servita nei confronti della nazione italiana. Ella si serve veramente di due pesi e due misure nell’individuare e definire le categorie etniche: il concetto ottocentesco di nazionalità viene riconosciuto nella terminologia ad austriaci ed ungheresi, mentre invece viene negato agli italiani.
felicitamodna82 in cotale maniera cade in contraddizione sia con le fonti, sia con sé stessa: con le fonti, poiché esse parlano correttamente di italiener, italienischen Elementen ecc., riconoscendo l’esistenza di italiani ossia di membri della nazione italiana, che era considerato nell’Austria imperiale una Kulturnation (!); con sé stessa, perché non può adottare un dato criterio di definizione dell’etnia per austriaci ed ungheresi, ed un altro per gli italiani ed ancor meno far diventare i triestini tutti austriaci.


25. LA LINGUA IN USO NELLA MARINA IMPERIALE ASBURGICA]
felicitamodna82, per cercare di puntellare le proprie asserzioni, inserisce una breve osservazione dicendo che «nei libri di storia militare troverete che nella Marina Imperialregia l’italiano era una lingua molto comune;».
È vero che dal 1815 al 1848 la marina austriaca era stata composta in maggioranza da italiani, tuttavia, dopo che questi, nel '48, avevano quasi tutti disertato, essa fu ricostituita concedendo preferendo militari d'altre etnie. La stessa lingua ufficiale era divenuta il tedesco. Difatti, la lingua di servizio nell’esercito sin dai tempi di Maria Teresa era il tedesco. Dal 1848 questa disposizione fu estesa alla marina. Questo avvenne nonostante fosse necessario tradurre in questo idioma le numerosissime espressione tecniche marinaresche, che non avevano spesso sinonimi in lingua germanica, poiché l’Austria era privi all’epoca di tradizioni di marineria d’un qualche rilievo. Vi erano certo ancora alcuni italiani e s’adoperava ancora ufficiosamente l'italiano nell'inflessione veneta (lingua compresa anche da croati, serbi e bosniaci di Dalmazia, che erano numerosi nella flotta), ma la lingua ufficiale della marina imperiale asburgica era il tedesco, a partire dal 1848. [C. A. MACARTNEY, L’impero degli Asburgo. 1790-1918, Milano 1976.]


26. LE CONTRADDIZIONI DI FELICITAMODNA82 SU WIKIPEDIA]
In maniera incoerente, felicitamodna82 cita Wikipedia, dopo averla contestata: «le pagine di Wikipedia su Trieste, Dalmazia ecc…riportano spesso i falsi storici e lasciano visibile l’eventuale discussione sulle modifiche
felicitamodna82 dopo aver detto e ripetuto nel suo articolo che Wikipedia non sarebbe attendibile nella documentazione riguardante le misure contro gli italiani promosse a partire dal 1866 finisce poi col rimandare a Wikipedia stessa per la sua bibliografia: comportamento contraddittorio ed incoerente. Fra l’altro, se determinate affermazioni permangono su questa enciclopedia virtuale dopo essere state discusse al suo interno, è perché esse sono state ritenute dagli amministratori e dagli utenti wikipediani quali valide.
Sia ben chiaro che il sottoscritto preferisce citare altre fonti che Wikipedia e difatti sia in questa replica a felicitamodna82, sia nel filone di discussione non ha mai fatto ricorso a questa enciclopedia virtuale. Il comportamento di felicitamodna82 però è doppiamente contraddittorio: cita come fonte Wikipedia dopo aver detto che sarebbe inattendibile; la chiama in causa a conferma delle sue teorie quando in realtà cita ed accoglie in alcune sue pagine la nozione che le misure ordinate il 12 novembre del 1866 furono applicate.

CONCLUSIONI]
Il sottoscritto non ha certo la pretesa d’aver qui presentato un esame esaustivo delle persecuzioni imperiali contro gli italiani, poiché questo è un tema così ampio e complesso da non essere stato esaurito neppure dai molti saggi ad esso dedicati: sempre ammesso e non concesso che sia realmente possibile ritenere “esaurito” un qualche argomento storico, il è che assai discutibile.
Scrivendo queste righe l’intento, limitato e modesto, era quello di provare l’infondatezza dell’articolo del blog di felicitamodna82. Il lettore che abbia avuto la pazienza di leggere dal principio quanto qui riportato avrà già un’idea in proposito.

Si possono ora trarre alcune conclusioni sintetiche, facendo riferimento anche a quanto era stato precedentemente esposto in questo filone di discussione ed in generale ai contenuti delle fonti e della bibliografia qui citate:
I) l’ordine imperiale del 12 novembre 1866, con l’imposizione delle misure di “germanizzazione e slavizzazione”, è inoppugnabilmente vero ed autentico;
II) esso fu certamente applicato, secondo quanto provano sia le direttive riportate nei protocolli ministeriali, sia l’operato concreto dei funzionari imperiali nel Tirolo, Litorale, Dalmazia;
III) quest’azione di snazionalizzazione dello stato imperiale poté appoggiarsi e trovare sostegno sia su di una diffusa ostilità verso l’Italia presente nell’esercito e nella burocrazia, sia su associazioni e movimenti dei nazionalisti germanici e slavi;
IV) le misure contro gli italiani furono diversificate a seconda dei tempi e dei luoghi e si tradussero in un insieme articolato e flessibile d’iniziative in campo scolastico, che vide: casi di slavizzazione, totale o parziale, della lingua amministrativa, che divenne pressoché integrale in Dalmazia; modifica della toponomastica e dell’onomastica; il sostegno all’immigrazione slava; il favoritismo verso le assunzioni di slavi ed austriaci nei posti di lavoro e negli incarichi statali; le espulsioni d’italiani dalla Venezia Giulia; la nomina d’ecclesiastici slavi in diocesi italiane e l’appoggio dato al clero sloveno e croato; uno stretto controllo della stampa e delle associazioni culturali italiane, che giunse anche ad imporre la chiusura di giornali ed associazioni; l’appoggio ad associazioni e partiti di nazionalisti austriaci, sloveni, croati; la chiusura d’istituti scolastici italiani, la mancata apertura d’una università italiana, la disparità nei finanziamenti statali fra quelli destinati a scuole italiane ed a scuole slave, la censura imposta ai libri di testo italiani.
V) su tutto ciò esiste una folta bibliografia, opera d’autori italiani e stranieri, sia contemporanea agli eventi, sia posteriore, che ha esaminato le misure contro la popolazione italiana in una molteplicità di prospettive.

L’impero ha quindi cercato di germanizzare e slavizzare le popolazioni italiane del Trentino, della Venezia Giulia, della Dalmazia, ciò di cui già i contemporanei e testimoni diretti erano ben consapevoli e che è stato successivamente confermato da un’ampia messe di studi, fra cui recentemente quelli del professor Luciano Monzali. Si può in tutta serenità concludere che la snazionalizzazione, o genocidio culturale, od etnocidio a discapito degli italiani sudditi asburgici nel periodo 1866-1918 sia realmente avvenuto.



BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA]
Riporto ora qui l’elenco della bibliografia di cui mi sono servito per questa sola replica a felicitamodna82

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view post Posted on 20/4/2014, 10:52
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Esauriente e rigoroso come al solito. Grazie Rinascimento per le preziose informazioni
 
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view post Posted on 21/4/2014, 14:41
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Grande Rinascimento. Questo è un vero storico, tanto di cappello...
 
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Alessandro1973
view post Posted on 21/4/2014, 21:46




Mi associo ai complimenti.
 
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view post Posted on 23/4/2014, 12:33

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come al solito complimenti per l'esaustività ed il rigore sempre utilizzato, a differenza di altri.
Leggendo un po' dal blog e dal profilo mi pare di capire che Felicita sia una fervente europeista, di coloro che, forse inconsciamente, credono in un finalismo storico per il quale la storia europea deve convergere nell'unità politica. E tali persone spesso assumono l'impero Asburgico a modello sentimentale.
Credo quindi che, in altre circostanze, l'autrice sia una valida studiosa che con diligenza controlli prima di scrivere, ma che trovandosi di fronte ad un attacco contro l'IAU, mitico antesignano dell'UE, il sentimento abbia prevalso sulla ragione, ed abbia scritto senza riflettere troppo.
Questo è un problema comune quando "si crede". Si cerca solo ciò che conferma quanto già crediamo e si minimizza ciò che lo smentisce, qualora, casualmente, lo si incontri.
Nel suo lunghissimo intervento, come giustamente sottolinei, entra nel merito della questione solo dopo una lunghissima digressione, unicamente finalizzata a sminuire l'interlocutore indiretto ed a sottolineare la validità della propria posizione (gli insulti evidentemente non sono finalizzati ad offendere ma a screditare, come le allusioni sulla mancata conoscenza della lingua inglese o tedesca, a persone che non conosce affatto...).
Alla fine cade vittima proprio dei meccanismi che vorrebbe denunciare.
Denuncia il fatto che troppe persone antepongano la propria visione personale ai dati oggettivi, e poi è esattamente quanto purtroppo fa, pure con magre figure quali lo scambiare un goriziano per un trentino o non prendere la cantonata sul nome in uso per il Trentino...
Leggo che nei commenti è stata anche educatamente bastonata, ma non per questo accenna minimamente a chiedere scusa, perlomeno per le insinuazioni sull'ignoranza ed impreparazione altrui.
 
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view post Posted on 23/4/2014, 13:50
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Cavaliere Errante

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Concordo con quanto sopra.

Non ha rispetto per il punto di vista degli altri e nei suoi monologhi tende a sminuire chi la pensa in maniera opposta. E' anche una persona egocentrica, un po' narcisista e con il complesso di superiorita'. E' una mia impressione, ma questa tizia vive nel culto del proprio Io.

Per queste ragioni non posso ritenerla storica, ma terribilmente confusa e partigiana nelle sue risposte.

Un plauso a Rinascimento.
 
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view post Posted on 24/4/2014, 08:57
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patriota-doc

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Senza dubbio la signora che sale sul podio e si premia da sola prima ancora di avere gareggiato ha molto da imparare. Ha evitato gli argomenti scomodi, si e' attaccata a cose futili perdendo il vero obiettivo della discussione.
In una qualsiasi universita' non avrebbe preso il diciotto.
 
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Daniele Italico
view post Posted on 25/4/2014, 16:57




Ognuno di noi leggendo il suo testo giunge alle medesime conclusioni. Dell'argomento sa ben poco. Screditare gli studiosi seri e parlare per slogan non fa che aggravare la sua posizione.
 
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Rinascimento
view post Posted on 27/8/2014, 12:48




Un grazie sincero a tutti per l'apprezzamento!

Faccio solo presente che ciò che è stato qui riportato sul tale genocidio è una minima parte di quanto è realmente avvenuto ed è documentato.
Vi sarebbe materiale a sufficienza per scrivere un'opera in diversi volumi.
 
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view post Posted on 27/8/2014, 23:04
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Cavaliere Errante

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ma perche' esiste ancora tutto questo negazionismo? non riesco a spiegarmelo, d'altronde non parliamo dei rapporti tra politici e mafia, sui quali c'e' un segreto di stato, ma di eventi storici mondiali di un secolo fa!
 
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403 replies since 4/1/2011, 14:27   23858 views
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