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Sardegna colonia d'Italia

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Char08
view post Posted on 27/2/2011, 18:00




"Sardegna colonia d'Italia"




La Sardegna è una colonia italiana, come la Somalia o l'Eritrea di una volta. La parola "colonia" significa: "Comunità costruita per l'occupazione e lo sfruttamento di un territorio d'oltremare, per lo più fornita di una più o meno evidente autonomia rispetto alla patria di origine". E' la fotografia della Sardegna. Il neocolonialismo italiano ha distrutto il territorio con la cementificazione delle coste (il lavoro non è ancora terminato, Marcegaglia e Benetton sono impegnati nel paradiso della Costa Verde), la pastorizia con l'introduzione di pecore dall'Est Europa in seguito naturalizzate sarde, il suo bellissimo mare, circondandola di impianti petroliferi da nord (E.On) a sud (Saras di Moratti) e con lo sversamento di decine di migliaia di metri cubi di petrolio. Le ribellioni vengono stroncate sul nascere, come da tradizione nelle colonie. E' avvenuto a Cagliari e a Porto Torres con l'intervento delle forze occupanti. Gli indigeni, quando cercano ascolto nell'opinione pubblica del Continente, sono recintati come bestie e manganellati il giusto come a Civitavecchia. La Sardegna, alla stregua di ogni colonia o protettorato che si rispetti, ha un governatore indigeno collaborazionista, Cappellacci, che esegue gli ordini dell'occupante. La colonia è luogo di svago per i suoi padroni italiani, è consuetudine che vi costruiscano ville faraoniche in cui soggiornano con le loro favorite e invitino importanti ospiti stranieri. Il segreto del successo dell'occupazione italiana risiede nella negazione dell'occupazione stessa. L'Italia porta lavoro e in cambio non chiede nulla. Solo l'anima sarda e il futuro di questa straordinaria gemma del Mediterraneo. Forza Paris!

Intervista a Stefano Deliperi da Porto Torres, Sardegna
Sono Stefano Deliperi, responsabile dell’Associazione ecologista Gruppo Intervento Giuridico, una Onlus che si occupa di difendere l’ambiente utilizzando lo strumento del diritto. Utilizziamo leggi, norme per difendere i valori ambientali del territorio, operiamo ormai in tutta Italia. Abbiamo iniziato dalla Sardegna ma stiamo lavorando un po’ dappertutto.

Il disastro ambientale di Porto Torres
A noi si rivolgono soprattutto cittadini, comitati locali, altre associazioni ambientaliste, molte volte anche amministrazioni pubbliche che chiedono aiuto per affrontare i problemi ambientali.
La dinamica dell’incidente, per quello che è stato possibile capire, è stata di una banalità estrema.Il rifornimento degli impianti di produzione dell’energia elettrica della E-On avviene tramite il porto industriale di Porto Torres, arrivano le petroliere nel molo dove c’è il collegamento diretto tramite tubi con gli impianti petroliferi. Lì sversano il combustibile, conseguentemente c’è una serie di strutture di sicurezza per evitare che avvengano questi sversamenti in mare. Qualche cosa non è andato per il verso giusto, i pannelli galleggianti sono stati posti, ma sono stati posti male e lo sversamento del petrolio è avvenuto dal tubo di collegamento e nessuno sul momento se ne è accorto. Quando è scattato l’allarme la vicenda era già accaduta e purtroppo forse 50 mila, 60 mila, i dati precisi non sono stati forniti, metri cubi di petrolio erano finiti direttamente in mare. Qualcosa non ha funzionato nel momento del rifornimento.
Questo significa che i sistemi di sicurezza non erano ben calibrati, ma soprattutto quello che lascia profonda amarezza è il fatto che per tanto tempo, per molte ore dopo l’incidente non sia stato fatto assolutamente nulla, non è accaduto assolutamente niente. Il combustibile ha potuto essere portato in lungo e in largo per il Golfo dell’Asinara dalle correnti.
La vicenda che si è presentata davanti ai nostri occhi è stata veramente drammatica, uno sversamento di un quantitativo di combustibile molto ingente, ancora non siamo riusciti a distanza di oltre un mese e mezzo a sapere quanto è stato effettivamente il sversato in mare. È accaduto a Porto Torres sulla costa nord della Sardegna nel Golfo dell’Asinara, una delle zone più importanti sotto il profilo naturalistico in tutto il Mediterraneo, lo sversamento è accaduto durante il rifornimento degli impianti di produzione di energia elettrica della ditta E-On, una multinazionale dell’energia. È accaduto l’11 gennaio e con le correnti marine il combustibile è andato lungo le coste del Golfo dell’Asinara, da una parte è arrivato fino a Santa Teresa di Gallura, a Capo Testa, dall’altra fino a Stintino, fino alla famosa spiaggia de La Pelosa. Come associazione ecologista fin da subito ci siamo impegnati, anche raccogliendo le varie segnalazioni che arrivavano un po’ da tutte le parti del nord Sardegna, nel chiedere che cosa avevano fatto le amministrazioni pubbliche competenti, a iniziare dal Ministero dell’ambiente per arrivare ai Comuni territorialmente interessati (da Stintino, a Santa Teresa, Sorso, Porto Torres, Sassari, la Provincia di Sassari, la Regione Autonoma della Sardegna). Quali provvedimenti avevano preso per raggiungere da un lato il disinquinamento, ma dall’altro il ripristino ambientale e il risarcimento dei danni, anche perché l’immagine di una costa coperta di olio combustibile va in danno dell’economia turistica.

Il minimalismo della Prestigiacomo, ministro dell'Ambiente
Ora a distanza di settimane non abbiamo avuto una risposta definitiva, le azioni di ripristino previste dal Codice dell’ambiente e le azioni risarcitorie previste dal Codice dell’ambiente hanno competenze ben precise, dal Ministero dell’ambiente a tutti gli enti territoriali. Abbiamo invece visto tanti volontari impegnarsi per la raccolta, dove possibile, dei grumi di catrame, abbiamo visto anche le squadre, senza alcuna specializzazione però, inviate dalla multinazionale E-On e molta buona volontà, ma una grande disorganizzazione. È vero, da una parte il petrolio è stato in buona parte raccolto, portato via, portato via anche insieme alla sabbia nelle spiagge e quindi con un danno ambientale immediatamente percepibile, però da un altro canto noi non sappiamo quali sono gli effetti negativi sia sull’ambiente marino che su quello costiero. Ricordiamo che davanti alla costa oltraggiata dallo sversamento di combustibile c’è il Parco Nazionale dell’Asinara, una delle perle ambientali della Sardegna, dell’Italia e di tutto il Mediterraneo. Abbiamo effettuato una serie di richieste di informazioni, di interventi proprio per quanto riguarda le azioni ripristinatorie e le azioni di risarcimento danni però ancora risposte non ne sono arrivate, anzi il ministro dell’Ambiente, la Prestigiacomo, in Parlamento quando ha risposto a alcune interrogazioni orali sulla vicenda ha cercato un po’ di minimizzare, ha detto: “No, non si tratta di un vero e proprio danno ambientale, sì è stata una cosa certamente negativa ma dai dati che abbiamo non si tratta di un vero e proprio danno ambientale”. Peccato che questi dati non li abbia resi pubblici di fatto.
Ora noi continuiamo a insistere, se non ci saranno risposte provvederemo con l’interessamento della magistratura proprio perché queste cose non solo non devono capitare, ma quando purtroppo capitano i danni devono essere da un lato contenuti e da un altro lato compiutamente risarciti. L’ambiente non deve essere visto come al solito come una merce di scambio, in questo caso in balia di imprese che producono energia, che producono reddito. Le amministrazioni pubbliche devono difendere gli interessi della collettività e se non ci pensano allora dovranno essere i cittadini, in questo caso riuniti in comitati o in associazioni come la nostra, come Il Gruppo di Intervento Giuridico. Un aspetto importante da sottolineare che gli impianti della multinazionale E.On sono certificati sul piano ambientale, sono certificati con le norme Iso di sicurezza ambientale e questo ha dimostrato che invece sicurezza in realtà non ce ne erano, non era rispettata. Questi, tra virgolette difetti nei sistemi di sicurezza non ci sarebbero dovuti essere: quindi anche le certificazioni ambientali non ci danno assolutamente sicurezza.

www.beppegrillo.it/2011/02/sardegna...alia/index.html



Edited by Peppero - 27/2/2011, 19:44
 
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view post Posted on 27/2/2011, 19:45
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Curioso come si lamenti di Cappellacci ma non di Soru, direttore dell'Unità e sostenitore di Prodi, che contro il volere della popolazione fece arrivare nell'isola la monnezza di Napoli.
 
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Van Hanegem
view post Posted on 27/2/2011, 20:25




No, se c'era Soru non eravamo più colonia... :asd:
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 27/2/2011, 20:29




a parte che soru era fuori dai canoni del candidato classico del centro-sinsitra(un po come illy in friuli qialche anno fa)....comunque quello di cui si lamenta grillo sulla sardegna vale paro paro anch eper tutto il meridione d'italia....la colonizzazione è un 'altra cosa,cio non toglie che i problemi di cui parla sono reali.....peccato che ne parli grillo,invece che gli eletti sardi in parlamento ad esempio
 
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Van Hanegem
view post Posted on 27/2/2011, 20:54




In Sardegna c'era ancora il feudalesimo e non esistevano strade quando arrivarono i piemontesi.
Capisco che non piaccia, ma è così. Hanno commesso degli errori con la deforestazione ma si sono trovati di fronte una situazione di arretratezza quasi primordiale (grazie a 400 anni di malgoverno spagnolo).

Facciamo il confronto tra la Sardegna e la Corsica. Si sono fatte delle politiche industriali errate, ma si è tentato. Buttare tutto nell'immondezza mi pare ingeneroso. Vedremo cosa faranno questi geni, nei prossimi anni...
 
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eveline1
view post Posted on 27/2/2011, 21:01




Non si scrivono certe cose senza contraddittorio.
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 27/2/2011, 21:23




CITAZIONE (Van Hanegem @ 27/2/2011, 20:54) 
In Sardegna c'era ancora il feudalesimo e non esistevano strade quando arrivarono i piemontesi.
Capisco che non piaccia, ma è così. Hanno commesso degli errori con la deforestazione ma si sono trovati di fronte una situazione di arretratezza quasi primordiale (grazie a 400 anni di malgoverno spagnolo).

Facciamo il confronto tra la Sardegna e la Corsica. Si sono fatte delle politiche industriali errate, ma si è tentato. Buttare tutto nell'immondezza mi pare ingeneroso. Vedremo cosa faranno questi geni, nei prossimi anni...

il feudalesimo? forse vuoi dire il latifondo :huh:
 
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Van Hanegem
view post Posted on 27/2/2011, 21:34




No, carissimo...
Con il trattato col quale la Sardegna passava ai piemontesi veniva esplicitamente detto che rimanevano in vigore le vecchie consuetudini (feudali) locali. Di conseguenza alcune consolidazioni normative come le "Leggi e costituzioni di Sua maestà" emanate da Vittorio Amedeo II valevano per la terra ferma e non per la Sardegna.

Riporto un breve stralcio in proposito:

La situazione era inalterata quando la Sardegna passò alla Casa Savoia nel 1720; il regime feudale, introdotto male dagli aragonesi, affermatosi nell'epoca spagnola nei suoi aspetti più negativi, dovuti in parte alla mentalità retriva e al troppo potere dei feudatari, in parte alla debolezza della Corte di Madrid, timorosa di intaccare i privilegi del ceto feudale, che era uno dei maggiori esponenti dello Stato, rimase radicato per quasi tutto il periodo della dominazione sabauda. Per di più, in base al trattato che poneva la Sardegna con titolo regio alle dipendenze di Vittorio Amedeo II, i grandi feudatari spagnoli, che possedevano estesi territori nell'isola, continuavano a mantenere il possesso delle loro terre e gli antichi benefici e privilegi. Lo Stato sabaudo, che aveva perso la Sicilia e aveva ottenuto in cambio la Sardegna con un reddito inferiore, si trovò di colpo a dover affrontare una serie di problemi, le cui origini erano lontane nel tempo, e a risolvere una situazione economica veramente difficile, anche perché la Sardegna aveva risentito della crisi attraversata dalla Spagna un secolo dopo la scoperta dell'America e i mali dell'isola, a causa dei rimedi insufficienti, erano diventati a mano a mano più gravi.
La Corte di Torino non ebbe subito, né poteva averla, una visione organica dei vari problemi e per le finanze adoperò lo stesso atteggiamento della Corte di Madrid, una politica cioè di equilibrio, di pareggio, per quanto possibile, delle uscite del bilancio sardo con le entrate della stessa isola. I problemi sardi sfuggivano ai dirigenti sabaudi per vari motivi. Anzitutto le caratteristiche della pastorizia e dell'agricoltura dell'isola erano differenti da quelle del Piemonte, inoltre gli stessi dirigenti ignoravano le tradizioni, i costumi della Sardegna e, presi come erano dalle necessità di affermare il proprio dominio e da quella di trarne un utile, vedevano la società sarda in funzione di tale principio. Si ebbero tuttavia da parte del governo piemontese provvedimenti proficui a sanare determinati mali, ma furono provvedimenti parziali, che talvolta non raggiunsero in pieno gli effetti desiderati, come quello relativo al ripopolamento dell'isola, e che non toccarono il regime feudale. Il feudalesimo, infatti, seppur Carlo Emanuele III tentò di diminuire i privilegi feudali, si mantenne con le sue vecchie strutture.
Proprio all'epoca di Carlo Emanuele III, nel 1744, si ebbe un progetto per il riscatto dei feudi in possesso di nobili residenti in Spagna. Il progetto, suggerito principalmente dalla necessità di lasciare nell'isola l'utile dei feudi, molto elevato, che veniva goduto nella penisola iberica, avrebbe portato, se realizzato, notevoli vantaggi; infatti, i feudatari residenti in Spagna possedevano all'incirca la metà dell'Isola e i loro territori, estesissimi, si sarebbero potuti dividere tra molti signori con l'obbligo della residenza; i vassalli sarebbero stati sottratti alle angherie dei podatari, avrebbero raggiunto migliori condizioni di vita e la Corte con le nuove infeudazioni avrebbe potuto disciplinare i rapporti fra feudatari e vassalli. Ma il progetto fu causa di contrasti tra le due Corti di Torino e di Madrid e fu abbandonato sul nascere. I vassalli, intanto, continuarono a vivere nella stessa situazione dell'epoca precedente, anzi talvolta in condizione peggiore. Notava un conoscitore della Sardegna e dei suoi abitanti, il Mimaut, che “non vi erano infelici e persone da compiangere pari ai vassalli delle campagne, che gemevano curvi sotto il peso di corvèes, imposte e mali di ogni genere, ma erano nati per servire e nessuno si occupava della loro sorte”.
Sotto i Savoia gli abusi feudali talvolta si allargarono; molti feudatari, approfittando del fatto che i diplomi di concessione non stabilivano i diritti signorili oppure, se li stabilivano, gli stessi diplomi restavano segreti, imposero prestazioni non dovute ai vassalli; altri pretesero dai loro sottoposti versamenti che nessun diploma, nessuna concessione avrebbe potuto prevedere; così, ad esempio, i vassalli di Montemaggiore furono obbligati a versare al loro signore, il Duca dell'Asinara, inutilmente richiamato dalla Corte per i suoi soprusi, un contributo di grano in più per compensare quello che i topi gli mangiavano nel magazzino. D'altra parte il governo piemontese, che aveva una delle sue basi nell'elemento feudale, non poteva agire a fondo; poteva stendere sì un progetto come quello del 1744, che andava a favore di nuovi feudatari, poteva tentare di arginare con le dovute cautele gli abusi feudali tributari e giurisdizionali, ma si trovava di fronte a un ceto nobiliare troppo potente e talvolta la sua attività si esprimeva in disposizioni o richiami di poco significato.
Frattanto il malanimo si sviluppava maggiormente; nelle masse, ignoranti, prive purtroppo di coscienza politica, l'astio si trasformava in odio nei confronti dei feudatari e del regime feudale; i vassalli, gravati, impoveriti, sottoposti ad ingiustizie, supini ad ogni prepotenza, privi di espressione, vedevano soltanto nel feudatario l'unica causa dei loro mali e non la intravedevano nel sistema. E dal malanimo, dall'odio represso, sull'esempio della Rivoluzione Francese e delle nuove correnti, scaturivano in Sardegni i noti moti del 1793-1796 contro i Piemontesi e la tirannide feudale, che, proprio per la mancanza di una coscienza politica, cadevano nel nulla. Il moto contro i feudatari, capeggiato da un giudice della Real Udienza, Giovanni Maria Angioi, percorse tutta l'isola e parve per un momento che la fine del feudalesimo fosse giunta. L'odio dei vassalli che, insorti contro il fiscalismo feudale e contro l'amministrazione della giustizia nei feudi, saccheggiavano e abbattevano i palazzi dei loro signori, mantenendo inalterata la loro fedeltà al sovrano, si esprimeva anche in un canto popolare, composto dal Mannu. Ma la rivolta si spegneva con il volontario esilio dell'Angioi e altri moti antifeudali a Thiesi e a Santulussurgiu nel 1800, in Gallura nel 1802, venivano repressi.
I moti segnavano però una svolta nella politica della monarchia sabauda che, data la situazione, attuava una serie di riforme a vantaggio dei vassalli; e si rafforzavano in questo modo la fedeltà degli stessi vassalli alla monarchia e il concetto di un sovrano inteso paternalisticamente. Nell'aprile del 1799 veniva emanato un editto contro gli abusi dell'amministrazione della giustizia; attraverso l'editto la procedura giudiziaria veniva riordinata e la scelta degli ufficiali di giustizia, che fino ad allora venivano nominati nei feudi dei vari signori, veniva sottoposta al potere centrale; l'operato degli ufficiali, succubi dei feudatari, passava inoltre sotto il controllo del governo e ai feudatari veniva tolta la possibilità di commettere arbitrii attraverso persone di loro fiducia. L'editto fu seguito da una serie di riforme, quali quella della creazione delle Prefetture, utili a una più spedita attività giudiziaria e a un controllo della condotta degli ufficiali di giustizia. Nel settembre del 1799 veniva poi emanato un altro editto al fine di limitare gli abusi tributari; per la prima volta si istituiva una Regia Delegazione con il compito di esaminare le contestazioni sui tributi feudali, le controversie sorte fra feudatari e vassalli circa il pagamento dei diritti. La Reale Udienza, che fino ad allora avocava a sé tali controversie, le lasciava alla nuova speciale Delegazione, il cui operato doveva essere sottoposto all'approvazione del sovrano.
Infine un terzo editto, emanato nell'agosto del 1800, stabiliva nuove norme sui comandamenti dominicali e imponeva ai vassalli la prestazione della loro opera al servizio del signore per una sola giornata e soltanto dentro il feudo con diritto a un compenso o agli alimenti. L'editto aboliva anche le prestazioni richieste in sostituzione dell'incarica o degli stessi comandamenti e garantiva l'uso degli ademprivi a tutti i vassalli. Le riforme contenevano alcuni rimedi abbastanza concreti, ma il peso dei tributi, che non era stato diminuito, veniva reso grave da una serie di carestie che colpivano l'isola nel primo ventennio dell'Ottocento. I mali del passato dovuti all'arretratezza dell'agricoltura e della pastorizia erano sempre vivi. E spesso i feudatari preferivano sviluppare la pastorizia, dedicarsi al facile allevamento, anziché rischiare grossi capitali nelle colture. La classe feudale fu così contraria all'editto delle chiudende, emanato nel dicembre del 1820, con l'intento di stabilire i confini delle proprietà, i diritti immobiliari di ciascuno e di incrementare la produzione delle terre. L'editto, applicato male perché nell'isola non esisteva un catasto, né esistevano documenti relativi agli immobili, fu causa di molti abusi; appezzamenti da rispettare, corsi d'acqua, strade, sentieri, fonti riservate a tutti, finirono con l'essere recintati, pur essendo tutto ciò vietato.
I pastori si trovarono senza pascoli e insorsero, soprattutto nel nuorese, demolendo le chiusure e dando adito ad una lotta sanguinosa tra loro e gli agricoltori. I terreni del demanio feudale non erano stati contemplati dall'editto e, mentre i vassalli poveri furono danneggiati e i ricchi, i più forti, poterono esercitare la prepotenza e compiere abusi a loro vantaggio, la posizione dei feudatari rimase immutata.
Le riforme di Carlo Felice, che culminarono con la codificazione del 1827, non portarono un contributo decisivo alla soluzione del problema, che presentava ancora molti lati negativi e che fu affrontato da Carlo Alberto; l'abolizione del feudalesimo, da lui attuata, non scaturì dalla volontà popolare, ma avvenne attraverso leggi dello Stato che i tempi consentivano.
Il feudalesimo cadeva così in Sardegna, dopo cinque secoli di vita, per concessione sovrana. Tra il 1835 e il 1838 venivano emanati i vari provvedimenti utili alla scomparsa del regime feudale; da prima, nel dicembre del 1835, veniva istituita una Regia Delegazione con il compito di raccogliere per ciascun feudo, in base alla denuncia dei vari feudatari, l'insieme dei dati relativi ai diritti, ai redditi e alla consistenza di ogni territorio; poi, nel maggio del 1836, lo Stato, mediante un indennizzo ai feudatari, sottraeva loro la giurisdizione e l'avocava a sé; inoltre, nel giugno del 1837, venivano abolite tutte le prestazioni e veniva nominata una nuova Regia Delegazione con l'incarico di stabilire il corrispettivo dei diritti dovuti ai feudatari; infine, venivano emanate norme che regolavano il riscatto a favore dei privati e dei comuni e la procedura da seguire per gli eventuali ricorsi contro le Regie Delegazioni. I compensi assegnati ai feudatari per il riscatto, spesso più elevato del valore del loro feudo, furono corrisposti in cartelle di rendita al 5% del debito pubblico e talvolta con la cessione di immobili. Ma la liquidazione gravò soprattutto sugli abitanti dei comuni, e dal riscatto trassero vantaggio in modo particolare i feudatari spagnoli, che erano i maggiori dell'isola e che in sette possedevano diciotto feudi con centottanta villaggi.
Si pensava allora che l'abolizione del feudalesimo avrebbe fatto risorgere la Sardegna; era un primo passo, il quale non poteva sanare di colpo le tristi condizioni che si erano formate nei secoli, ma era senza dubbio l'inizio di una grande trasformazione sociale. La soppressione del regime feudale, oppressivo e basato sugli arbitrii, impostato male da dominatori intenti ad affermare il loro potere politico prima e il loro predominio economico poi, rivolti a sfruttare l'isola più che a sollevarne le sorti, apriva – è vero – nuovi problemi da risolvere accanto a quelli già esistenti, relativi all'agricoltura e alla pastorizia e al regime delle terre, ma avviava la popolazione dell'Isola, che per secoli era stata passiva e supina, verso nuove, migliori condizioni.


IL FEUDALESIMO IN SARDEGNA
 
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Italoromano
view post Posted on 27/2/2011, 21:52




La parificazione legislativa e giuridica tra la Sardegna ed il Piemonte si ebbe con Carlo Alberto, alla fine del 1847 (Rosario Romeo, "Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale")...
 
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Van Hanegem
view post Posted on 27/2/2011, 22:01




CITAZIONE (eveline1 @ 27/2/2011, 21:01) 
Non si scrivono certe cose senza contraddittorio.

Vabbè, non è che siamo su Porta a Porta...
Chi ha dei dati diversi, li porti.
 
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view post Posted on 28/2/2011, 08:51
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CITAZIONE (GIUSEPPE MAZZINI @ 27/2/2011, 20:29) 
a parte che soru era fuori dai canoni del candidato classico del centro-sinsitra (un po come illy in friuli qialche anno fa)....comunque quello di cui si lamenta grillo sulla sardegna vale paro paro anch eper tutto il meridione d'italia....la colonizzazione è un 'altra cosa,cio non toglie che i problemi di cui parla sono reali.....peccato che ne parli grillo,invece che gli eletti sardi in parlamento ad esempio

In che senso come Illy o fuori dai canoni del candidato classico del centro-sinistra? Nel senso che era un ricco imprenditore e apparteneva ad una sinistra borghese? Lui comunque correva con partiti come DS, Margherita, PRC, Di Pietro-Occhetto, PdCI etc e si definiva governatore di centro-sinistra della Sardegna.
 
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Van Hanegem
view post Posted on 28/2/2011, 12:11




La ratio del mio discorso è che si capovolgono strumentalmente le cose.
La Sardegna è stata una colonia sì, ma della Spagna. E per ben 400 anni. I danni di quella dominazione sono ancora ben visibili.
Dall'unità in poi la Sardegna ha avuto un miglioramento delle condizioni di vita innegabile nonostante tutti i difetti di una politica spesso distante (a partire dai rappresentanti sardi, anche celebri). La Sardegna fa parte dell'Italia, non ne è una colonia. Non lo era nemmeno al tempo del fascismo, quando le colonie erano altre.
E poi, ripeto, basta fare un confronto con la Corsica per rendersi conto che è meglio essere più misurati nei giudizi.
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 28/2/2011, 12:52




sul fatto che la sardegna non si possa definire una colonia sono d'accordissimo....
peppo quando ti ho parlato fi illy e soru volevo dire che i due signori di cui parliamo sono stati presi dalla societa civile,non perche avessero una storia o dei connotati da progressisti(non parliamo propio di socialismo )ma perche potevano raccogliere ANCHE consensi moderati....e infatti hanno vinto in regioni che tradizionalemnte non sono mai state di sinistra(democristiane forse,ma non certo social -comuniste)
 
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Pandrea
view post Posted on 10/3/2011, 21:54




Oggi va di moda puntare il dito contro l'Italia, fa tanto branco con altri cani leghisti e neoborbonici e si sa che il branco rende forti. Ma lo sport insegna che se una squadra perde accusarsi a vicenda non aiuta a vincere.
 
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Alessandro1973
view post Posted on 28/3/2014, 01:10




Ma quale colonia! Un po' di rispetto per chi ha davvero dovuto lottare contro il colonialismo. La Sardegna, e lo scrivo da sardo, è una terra che è uscita dalla sua atavica miseria con l'Italia repubblicana. E' una regione a statuto speciale: può tutelare le proprie tradizioni, la propria cultura, la propria lingua. Gode di una notevole autonomia e c'è anche qualcuno che parla di "colonizzazione". Semplicemente ridicoli!
 
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17 replies since 27/2/2011, 18:00   930 views
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