Forum Patriottismo - Patria, Nazione, Irredentismo, Italia, Tradizione, Storia, Geografia, Cultura, Politica, Attualità, Società

Quando la piadina è troppo romagnola

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 29/6/2019, 22:53
Avatar

Amministratore bannerino

Group:
Amministratori
Posts:
19,121
Location:
*'*ITALIA*'*

Status:
Anonymous


Invece che tutelare il prodotto, creano burocrazia per fare cassa. Roba da non credere...

Quando la piadina è troppo romagnola

L'ottenimento del marchio IGP ha fissato dosi e ingredienti non sempre rispondenti alle “vere” ricette dei chioschetti e dei produttori artigianali tra Rimini e Imola. E così chi usa prodotti locali rischia multe salate, mentre invece si salvano quelli industriali

Puntuale come ogni estate in riviera che si rispetti, riesplode la guerra della piadina romagnola. Tutta colpa di quel maledetto marchio IGP, che oltre a creare polemiche tra la riviera – dove la piadina è più sottile – e l’interno dove è più alta, ora rischia di provocare conseguenze paradossali. A maggio, infatti, un piadinaio di Bagnacavallo (Ravenna) si è visto recapitare una multa di 4mila euro dalla Guardia forestale (ma non dovrebbero occuparsi di boschi e, appunto, foreste?). Il motivo? Nel suo furgone, nel centro di Ravenna, aveva osato esporre la scritta “piadina romagnola”. E dov’è il problema, direte voi? Semplice. Pur essendo prodotta in Romagna, a mano e perfino con prodotti locali (dal prosciutto allo squacquerone, e addirittura con farina da grano di produzione propria), la ricetta del signor Sauro Rossini non risponderebbe al rigido disciplinare riconosciuto a livello europeo che occorre seguire per esporre l’insegna “Piadina romagnola”. Soprattutto perché il piadinaio non avrebbe chiesto l’autorizzazione per utilizzare il marchio IGP. Che delle materie prime locali se nei infischia e consente di marchiare piadine industriali lasciando fuori, e anzi reprimendo, le piadine quelle vere, artigianali, veraci.
Disciplinare sì, disciplinare no

A differenza di altri prodotti tipici per i quali il marchio IGP è un sogno, un obiettivo per cui lottare con le unghie e con i denti, per la piadina romagnola la questione è diversa. Ognuno, infatti, ha la sua ricetta, difficile da inquadrare e da istituzionalizzare. Il marchio, ottenuto nel 2013 dopo 11 anni di dibattiti, ha identificando una zona di produzione ben precisa, corrispondente alle province di Rimini, Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna fino a Imola. Il disciplinare indica pochissimi ingredienti obbligatori: farina di grano tenero, acqua, sale (pari o inferiore a 25 grammi ogni kg di farina). Quanto ai grassi, scelta libera (o combinazione) tra strutto e olio extravergine d’oliva, purché non si superino i 250 grammi ogni kg di farina. Gli agenti lievitanti sono invece classificati tra gli ingredienti facoltativi: carbonato acido di sodio, difosfato disodico e amido di mais o frumento, in una quantità non superiore ai 20 grammi al kg. E se si superano le dosi indicate, magari ricorrendo alla ricetta della nonna e della zia? Non è piadina romagnola. Multa. Aggiungi un goccio di latte, usanza diffusa a Faenza e Imola (come peraltro ammesso nel profilo storico inserito nel disciplinare!)? Multa. La fai troppo salata? Multa. Mentre i prodotti industriali – buoni, per carità, ma le piadine dei chioschetti sono un’altra cosa – possono esibire tranquillamente l’IGP.
Appennino contro riviera

Il disciplinare sembra invece aver alzato bandiera bianca sulla disfida dallo spessore. Che divide Rimini e la riviera da una parte, con la sua piadina molto sottile e a cui si aggiunge la variante sfogliata, con un maggiore contenuto di strutto; e, dall’altra, Cesena e la fascia appenninica, dove viceversa la piadina è più alta e rigida. Dopo anni di polemiche, accuse e rivendicazioni sull’essenza della “vera” piadina romagnola, il disciplinare si è arreso. Stabilendo che la piadina romagnola deve presentare, rigorosamente: “Macchie ambrate di cottura di piccole dimensioni sulla superficie con una distribuzione omogenee”; deve essere “compatta, rigida e friabile”, con un “diametro da 15 a 25 centimetri” e soprattutto uno “spessore da 4 a 8 millimetri”. Caratteristiche che corrispondono perfettamente alla variante cesenate-appenninica. Ma, subito dopo, si legge che esiste anche una piadina romagnola “alla riminese” che presenta “vesciche di cottura di grandi dimensioni sulla superficie, con una distribuzione non omogenea”, che a differenza di quella appenninica è “morbida e flessibile”, con un diametro maggiore “da 23 a 30 centimetri” e soprattutto sottilissima, al massimo 3 millimetri. Insomma, sono piadine tutte e due.
Il termine? Lo inventò Giovanni Pascoli

L’esistenza delle piadina, povero sostituto del pane di origine antichissima, è attestato fin dal XIV secolo. Il termine “piada” è invece più recente: lo coniò Giovanni Pascoli che italianizzò la parola dialettale romagnola “piè”. In un suo famoso poemetto il poeta tesse un elogio della piadina, alimento antico “quasi quanto l’uomo”, e la definisce “il pane nazionale dei Romagnoli”. Accanto alle piadine “povere” di farina di mais o di grano e mais esistevano quelle “ricche” di frumento con strutto, che si convertiranno prima in cibo da strada di successo, e poi conquisteranno le tavole di tutta Italia. La piada (o piadina) veniva cucinata esclusivamente su lastre di pietra o teglie di argilla prodotte unicamente nella zona di Montetiffi, piccola località della montagna romagnola dove quest’attività è viva ancora oggi.
Varianti e vicini

Quanto al territorio d’elezione della piadina, secondo lo scrittore Piero Meldini «l’unica cosa certa è che Ravenna ha scoperto la piadina molto tardi, nel Novecento», circoscrivendo quindi a Forlì, Cesena e Rimini il vero “epicentro” della piadina. Il gastronomo e sommelier Giancarlo Mondini parla anche di una piadina «morbida con l’aggiunta di miele a Cervia; croccante e più friabile con più olio a Forli-Cesena; più saporita con l’aiuto di solo strutto nel Ravennate; più grossa e spessa nell’Imolese con l’aggiunta di latte». E le regioni vicine? La Romagna Toscana e i comuni di confine marchigiani, di fatto, fanno anch’essi parte del regno della piadina romagnola. Ma non oltre: in Toscana, più a sud, si comincia già a parlare di schiacciata e di pizze al taglio in genere; mentre, nelle Marche, inizia a dominare la crescia (più alta e preparata con le uova), per sfociare poi nel regno della torta al testo umbra.


Fonte:
https://www.lacucinaitaliana.it/news/in-pr...p-disciplinare/

eventi-emilia-romagna
 
Web Web  Top
0 replies since 29/6/2019, 22:53   96 views
  Share