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Gli italiani del Titanic

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view post Posted on 1/12/2019, 12:07
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Ho creato un topic sulle vittime italiane del Titanic...

Titanic, un libro sul sopravvissuto comasco. E l’autore scopre due italiani a bordo finora mai segnalati
Di Lorenzo Morandotti

Uno dei tre italiani sopravvissuti alla tragedia del Titanic era comasco. Nell’elenco degli scampati – circa 700, mentre le vittime furono circa 1.500 – c’è anche Emilio Ilario Giuseppe Portaluppi. Era nato nel 1881 ad Arcisate, ora in provincia di Varese ma all’epoca località lariana. Figlio di Carlo e Giuseppa Perlatti, scultore, era partito per Barre, Vermont, capitale mondiale del granito, nel 1903. Si fece strada alla Tonella & Sons Granite and Manufacturing Company, azienda specializzata in monumenti funerari e in pavimentazioni e opere in pietra.
Negli Usa Portaluppi si sposò con la concittadina Caterina Pelegatta, dalla quale ebbe una figlia, Ines; poi si separò nel 1910. Madre e figlia tornarono in Italia.
Nell’autunno 1911, Portaluppi fece un viaggio in Italia allo scopo di rivedere la famiglia. Nella primavera del 1912, decise di tornare in America. Sul Titanic.
Quella sera sulla nave – pare abbia riferito poi – si coricò presto. Fu destato da un tremendo scossone, cioè lo scontro con l’iceberg. Salì in coperta dove non notò niente di strano. Ma ebbe la sensazione che dovesse essere successo qualcosa. Rientrò in cabina, si rivestì e ritornò in coperta. Portaluppi asserì di essere caduto accidentalmente in mare e di avere nuotato per almeno due ore prima di essere ripescato da una scialuppa, la numero 14.
La figlia Ines, quando nel 1998 uscì il film con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, riferì al “Corriere di Como” – in una intervista in cui rievocò quelle ore drammatiche così come gliele aveva riportate il padre – che il babbo si era salvato aggrappandosi a un pezzo di ghiaccio.
Di sicuro, Portaluppi fu salvato dalla nave Carpathia. E non riportò stress da naufragio permanenti: nel 1914 riprese il mare per tornare in Italia, dove combatté nella prima guerra mondiale nell’esercito italiano. Per 15 anni passò sei mesi l’anno ad Alassio, dove tutti lo riconoscevano perché era l’ultimo italiano in vita tra i superstiti del Titanic. Anzi ogni 15 aprile Portaluppi celebrava, al ristorante, il suo «secondo compleanno», con una pasta ai frutti di mare piuttosto ricca, intitolata “Spaghetti alla Titanic”.
La pubblicistica su Portaluppi prese a pullulare di aneddoti. Ad esempio, chi era la donna che si trovava sulla scialuppa a cui Portaluppi si avvicinò e intercesse per lui tirandolo a bordo mentre i marinai lo allontanavano con i remi? Intanto lui aveva una pistola di madreperla in bocca, raccolta prima di buttarsi dalla nave, tra i flutti gelidi. Gliela strapparono di dosso. La signora in questione pare fosse la mitica Lady Astor. E con la celebre miliardaria americana Portaluppi avrebbe avuto una storia. Pare dicesse di essersi lasciato convincere a imbarcarsi sulla nave maledetta disdicendo una precedente prenotazione sull’Oceanic proprio dai coniugi Astor, lui l’uomo più ricco del pianeta e lei 18enne affascinante, oltre che in stato interessante. Ci fu del tenero fra lui e Madeleine Force, sposata Astor? Pare che lo stesso Portaluppi alimentasse la leggenda. E abbia domandato alla White Star Line come risarcimento per il naufragio anche 3mila dollari per la perdita di una foto di Giuseppe Garibaldi che, si leggerebbe nella richiesta, «era firmata dallo stesso ed era stata donata, al nonno dell’assicurato, dall’Eroe dei Due Mondi».
Portaluppi morì ultranovantenne, nel 1974, portando con sé i suoi misteri. Ora la sua storia – che leggenda vuole abbia ispirato, lui artista e lei giovane in prima classe, la vicenda di Jack e Rose in Titanic di James Cameron – si appresta a diventare un libro. Ci lavora lo storico del Titanic Claudio Bossi, varesino che nei suoi libri ha dato ampio spazio agli italiani a bordo. Comaschi compresi. Come Giuseppe Peduzzi, che aveva lasciato Schignano a 12 anni per cercare fortuna prima in Inghilterra e poi, 24enne, si era imbarcato sul Titanic. Inseguiva il sogno americano. Ma non ne resta nemmeno il ritratto sulla tomba nel cimitero della località intelvese. Anni fa, la foto è stata rubata e la famiglia non ha più alcuna immagine originale dell’antenato.

Claudio Bossi aveva già certificato la presenza sul Titanic di 38 connazionali. Si trattava in prevalenza di personale del ristorante, e in piccola parte, solo 8 persone, passeggeri. «Non sapremo mai con esattezza quanti fossero gli italiani imbarcati – ammette Bossi – E nemmeno quante persone fossero imbarcate in totale e quante siano state le vittime. Ma siamo, con Svizzera e Francia, tra i Paesi con il maggior numero di scomparsi».
«Gli italiani erano considerati il personale di ristorazione più affidabile – prosegue – Quindi potrebbero esserci stati altri italiani in terza classe dove si imbarcavano gli emigranti, ma non sempre le registrazioni dei passeggeri di terza erano corrette e complete, e poi spesso gli italiani erano mescolati con i francesi.»
Ed ecco che dall’oblio ora emergono altri nomi. Si tratta di un romagnolo, Sante Righini (classe 1883) di Pisignano di Cervia, e di un piemontese, Carlo Fey (classe 1893), di Vestignè, provincia di Torino.
Il primo era emigrato in America già nel 1903 e si trovava sul transatlantico al servizio di una benestante vedova americana, che ovviamente viaggiava in prima classe. Quindi un passeggero. Il secondo era un umile ragazzo che partito, con il padre, dalle colline del Canavese per l’Inghilterra, qui aveva trovato un lavoro e il 6 aprile di quel 1912 aveva firmato il contratto, in qualità di sguattero, per l’esclusivo Ristorante A’ la Carte della prestigiosa nave. Ristorante che, è bene ricordarlo, era in gestione dell’italiano di Montalto Pavese Luigi Gatti. «Il Gatti fu tra le vittime italiane senza dubbio il personaggio di maggior spicco», precisa Bossi. «Morì pure il capo cameriere, un tale Nannini, della provincia di Firenze. Tengo a precisare che gli altri camerieri, cuochi e aiuti di sala o di cucina, erano quasi tutti molto giovani: poco più, e in qualche caso poco meno, che ventenni.»


Lorenzo Morandotti

https://www.corrieredicomo.it/titanic-un-l...-mai-segnalati/


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view post Posted on 1/12/2019, 17:57
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Le vittime in realtà furono molte di più, perchè alcuni si erano trasferiti per lavoro in altre zone d'Europa e si erano imbarcati da quelle località, pertanto vengono indicati come "stranieri"...

Ecco chi erano gli italiani sul Titanic
20/03/2017 A Torino la mostra sulla nave che affondò nel 1912. Si imbarcarono in 37 e la maggior parte di loro lavorava come personale del ristorante sul lussuoso transatlantico. Si salvarono solo in tre. Il ricordo resta vivo grazie ai discendenti
di Orsola Vetri

Erano 37 gli italiani a bordo del Titanic. Solo 8 erano viaggiatori, gli altri erano dipendenti, lavoravano come personale di bordo per quello che doveva essere un gioiello tra i transatlantici e che tra i suoi fiori all’occhiello aveva un ristorante ricco di personale italiano. Tre soli di loro si salvarono la notte tra il 14 e il 15 aprile. Tra questi Argene Genovese di Altopascio (Lucca), che allora aveva solo 24 anni. Era la giovane fresca sposa di Sebastiano Del Carlo, impiegato statale in California, che invece perì, a 29 anni, nel disastro e il cui corpo giace nel cimitero del suo paese natale. Era il suo quarto viaggio tra l’America e l’Europa. Argene era incinta di due mesi ed essendo una passeggera di seconda classe poté salire su una scialuppa ma separandosi dal marito, che non vide mai più.

«La mia mamma mi parlò per la prima volta di questa tragedia quando avevo 12 o 13 anni durante un bombardamento della Seconda guerra mondiale. Disse improvvisamente che le luci dei bengala le ricordavano la notte del naufragio quando lanciavano i razzi come Sos», racconta Neva Casara, 87 anni, nata da un secondo matrimonio di Argene. «Mi raccontò, poi, che non capì subito cosa stava succedendo poiché era in cabina per la nausea della gravidanza. Pensava a dei festeggiamenti. Il marito la raggiunse e riuscì a farla salire su una scialuppa, la n. 11. Lui si buttò in mare quando capì che non aveva altra scelta».

Argene rimase a New York, ospite di un convitto di suore, in attesa di riconoscere la salma di Sebastiano, il cui corpo era stato ricuperato. Lo portò in Italia dove nacque la loro bambina che fu chiamata Maria Salvata.

Ne parlava mal volentieri» continua Neva, «ricordava le urla delle donne, il pianto dei bambini e l’orchestra che suonava e suonò sino alla fine. Soprattutto, ricordava con dolore i poveretti in mare che tentavano di resistere e i marinai che impedivano loro di aggrapparsi alle scialuppe. Li allontanavano con i remi».

Anche a Sebastiano trovarono sulle mani numerose fratture, probabilmente causate dal tentativo di aggrapparsi. «Mi ha raccontato che dovevano partire con un altro bastimento ma non c’era più posto. Quando acquistarono i biglietti sul Titanic era esaurita la prima classe ma per fortuna c’era posto in seconda. Se fosse stata in terza classe non si sarebbe salvata neanche lei», conclude amaramente.

Neva e la sua famiglia hanno poi visto il film con DiCaprio nel 1997, di cui ricorrono i 20 anni. Ha ritrovato molti particolari dei racconti della madre, «il lusso, nei locali comuni e nelle cabine, e soprattutto la musica che accompagnò la tragedia fino all’ultimo. Per me è stata una grande emozione. Ho comprato il Dvd e il libro con le immagini». Non fu sua madre ma sua sorella Maria Salvata, seppellita ad Altopascio con il padre, che non ha mai conosciuto, a ricevere un bell’assegno di risarcimento. «Quando venne accompagnata a depositarlo in banca, il direttore disse: “Ma questa signorina è proprio ricca”. In realtà mia sorella fu molto sfortunata: perse tutto con il crac del ’29». Neva, che è mamma, nonna e bisnonna, ha parlato spesso della vicenda del Titanic a figli e nipoti: «Come ho sempre fatto anche della guerra, perché non bisogna mai dimenticare e raccontare sempre tutte le storie, belle e brutte che siano».

Si era invece imbarcato per lavorare Alfonso Perotti. Non sappiamo perché fece questa scelta. Forse gli andava stretta la sartoria di famiglia a Borgomanero o forse semplicemente era un giovane di vent’anni che voleva vedere il mondo e cercare fortuna.

Poco prima di imbarcarsi ha inviato una cartolina con l’immagine del Titanic alla sua mamma, un prezioso reperto storico ma soprattutto un ricordo custodito gelosamente. Diceva: «Cara madre e fratelli. Da 2 giorni mi trovo qui per potermi imbarcare sul bastimento per andare in America. Sarò di ritorno per la fine del mese….», e aggiunge fiducioso l’indirizzo di Southampton dove ricevere posta dalla famiglia. Di lui non è tornato a casa nulla. Se non un misero risarcimento. Tengono vivo il suo ricordo tre nipoti, figlie dei suoi due fratelli minori, Emilia, Renata e Carmen Perotti, che hanno un’età che va dai 77 ai 93 anni. Parla Emilia, la più giovane: «Non lo abbiamo conosciuto di persona ma abbiamo sempre sentito parlare di lui in famiglia. C’è sempre stata una lapide nel cimitero in suo ricordo perché non è mai stato ritrovato il corpo. Ma nessuno sapeva come era scomparso. In occasione del centenario del naufragio, cinque anni fa, abbiamo voluto aggiungere una targa con la sua foto in cui spieghiamo al paese di Borgomanero chi era mio zio e che è morto nel naufragio del Titanic. Per noi era importante raccontarlo».

Alfonso, come tutti i camerieri, era stato reclutato a Londra da Luigi Gatti, gestore del ristorante à la carte del Titanic e incaricato da RSMC Titanic di trovare i camerieri, che dovevano essere tutti rigorosamente italiani. Una garanzia di qualità per i ricchi ospiti del transatlantico. Prima di morire affidò il prezioso elenco degli italiani a bordo a una passeggera su una scialuppa. È grazie a lui che abbiamo potuto identificarli.

Le tre cugine non vedono l’ora di visitare, tutte insieme, la mostra allestita a Torino (Titanic - The Artifact Exhibition): andranno per rendere omaggio allo zio Alfonso e per vedere da vicino dove e come visse gli ultimi giorni della sua giovane vita.

www.famigliacristiana.it/articolo/...ul-titanic.aspx

Gli Italiani a bordo del Titanic
accadde il 15 Aprile 1912 Storia
di Filippa Marinetti

Erano 37 gli italiani a bordo del Titanic. Solo 8 erano viaggiatori, gli altri erano dipendenti, lavoravano come personale di bordo per quello che doveva essere un gioiello tra i transatlantici e che tra i suoi ?fiori all’occhiello aveva un ristorante ricco di personale italiano. Tre soli di loro si salvarono la notte tra il 14 e il 15 aprile.

Pochi sanno che erano 37 e ancora meno sanno che la maggior parte di loro erano camerieri (33); i camerieri erano stati personalmente scelti da Luigi Gatti il gestore del ristorante "A la carte" la sala da pranzo piú "in" della nave.

Gatti infatti era un italiano che ce l'aveva fatta: emigrato a Londra gestiva 3 ristoranti e godeva di un'ottima reputazione e notorietà nel settore, tanto da essere scelto dalla compagnia White Star Line per la gestione del ristorante piu' raffinato sul Titanic. Gatti aveva scelto rigorosamente uno ad uno i suoi collaboratori: camerieri, macellai, addetti ai bicchieri e sommelier tutti di origine Italiana.
Questa eccellenza venne purtroppo penalizzata nel disastro dove perse la vita anche lo stesso Gatti.

È emblematica la foto di gruppo scattata prima di salpare dal porto di Southampton; Gatti e altri 33 nostri connazionali posano con orgoglio, ritratti nel salone di prima classe del transatlantico. Sono professionisti tra i 17 e i 43 anni e coronano il sogno di servire ai tavoli del più prestigioso ristorante che si potesse trovare.
Articolo di: Filippa Marinetti

www.ilmemoriale.it/storia/2019/07/...el-titanic.html

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