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“Patriota”, l’inganno in uno slogan

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view post Posted on 25/12/2021, 11:30
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L'autore dello scritto, come la Meloni, ha una sua visione delle cose...

Editoriali
“Patriota”, l’inganno in uno slogan
Di Vincenzo Santo*

Roma. È da un bel po’ che rifletto su questo spunto “politico” lanciato dall’On. Giorgia Meloni: “il Patriota”.
Di slogan, purtroppo, soprattutto da quando sono emersi i grillini, la nostra politica si è ammalata, io credo che sia ormai in terapia intensiva.
Noi cittadini ne siamo stati contagiati non avendo fatto in tempo a vaccinarci.
Ma è una politica che, osservo, alla gran parte degli italiani sembra piacere tantissimo, con la complicità dei “like”. Uno stato febbrile inebriante.
Persino il prossimo Presidente della Repubblica, dice la Meloni, deve essere un Patriota.
E la cosa non è passata inosservata, ovviamente. Ma forse anche il Natale deve essere patriottico, ho sentito dire tra le altre affermazioni. E la cosa inizia a risultarmi stucchevole.
Ad ogni modo, chi sono esattamente questi patrioti?
La parola fa riferimento al termine “Patria”, per molti assimilabile a “nazione”, almeno fin dai tempi di Rousseau.
E il “Canto degli Italiani” è tutto sommato la sintesi di quel sentire univoco di Nazione e Patria.
Tuttavia, mentre nazione dovrebbe suggerire la comunanza di sangue, stirpe, razza e di territorio persino, cioè qualcosa di “fisico”, Patria è in realtà un sentimento che si acquisisce via via grazie alla comune cultura, alla prosperità, al senso di sicurezza e alla certezza di non essere discriminati.
Abbraccia indistintamente tutti, anche per via dell’assimilazione. E in questo sta la forza della politica in un paese democratico e liberale.
A prescindere dal sangue o dalla provenienza, che sostanzierebbero la nazione o, se si preferisce, il popolo.
Pertanto, Patria è qualcosa di ormai più ampio, inevitabilmente! E quel sentimento di amore è proprio “l’amor di Patria”.
Quante volte lo si è sentito. Declinato magari in senso dello stato o in senso del dovere. Fate voi. Accomuna se sincero
Ma su patriota occorre fare attenzione. È un concetto pericoloso se viene strumentalizzato, come a me pare sia.
Molte cose sono accadute dal Risorgimento a oggi.
E l’Italia è ormai fatta, e cambiata da un bel pezzo, persino nel corso degli ultimi decenni.
Pertanto, il significato di patriota deve essere considerato e riconsiderato, alla luce di questi cambiamenti, globali e no.
Patriota è certamente colui che ama la Patria e mostra il suo amore lottando o combattendo per essa (vedasi Treccani).
Tuttavia, in questo mondo abbiamo ben imparato a mistificare l’amore e a scambiarlo con altre sensibilità meno profonde: il solo fascino, l’apparente simpatia o l’irrefrenabile attrazione sessuale.
E i risultati li conosciamo sulla tenuta dei matrimoni e delle famiglie nella nostra società.
E non sarebbe davvero difficile dimostrare quanto “amor di Patria” si avverte per la propria comunità e verso il proprio paese.
Basterebbe osservare come ciascuno di noi si pone dinanzi al proprio lavoro, al proprio ruolo e a come rispetta le proprie responsabilità, soprattutto quelle che la comunità gli ha assegnato.
A iniziare dai parlamentari. Ma non è, di fatto, così semplice e scontato.
Soprattutto nel “pubblico”, un ambito in cui troppo spesso il rifugio nel burocratismo e gli interessi di bottega tormentano il necessario e dovuto spirito di iniziativa e la libertà di pensiero, facendo sì che gli alibi diventino ragioni, come ha cantato Francesco De Gregori.
Ora, proprio perché l’amor di Patria è cosa impegnativa, non è corretto, anzi disdicevole, avvalersene per imporre un’ideologia strumentale, giocando con le parole per impressionare e richiamare spunti nostalgici.
Peraltro, lo capisco, ognuno è libero di vantarsene, ma fino a prova contraria.
È una condizione anche soggettiva, infatti. A chi si può impedire di dirsi animato da un altissimo amor di Patria? A nessuno, in linea di principio, ma risulterà vero?
Perciò io ho difficoltà nel riconoscere questo sentimento in qualcuno che mi appare mosso da una sorta di euforia politica nell’arrogare a sé e ai propri seguaci la patente di patriota, per la sola ragione di godere del privilegio di poter confrontarsi in Parlamento dallo scranno dell’opposizione o perché a quella persona torna utile lanciare slogan controcorrente, a forte impatto epidermico ed emozionale.
Come ha scritto Russell da qualche parte, secondo una sorta di culto della “sensibilità”, per cui un’azione o un’affermazione viene ammirata per le emozioni che suscita, non per le conseguenze o per il suo conformarsi a un codice morale.
Un’attitudine che rischia di trascinare in molti nel pericoloso “culto dell’eroe” e della passione violenta.
Un pericoloso ritorno al passato. Dal patriota a quel culto il passo è breve, con il rischio di abituarsi a giudicare le persone non come membri della comunità ma come oggetti “esteticamente gradevoli”, approccio che ha portato male all’umanità.
Patriota non può e non deve essere qualcosa che divide o che, peggio, categorizza.
Ma poi, davvero basta lavorare bene, rispettare il proprio ruolo e quello degli altri, essere leali, incarnare legittimamente un’ideologia oppure essere a capo di un partito per etichettarsi come patriota? No, non lo è.
Il farlo è “semplicemente” compiere ciò che compete. É giusto che ognuno esprima le proprie idee, ci mancherebbe.
Ma ha la responsabilità di stare attento a quello che dice e a come lo dice. Parole e immagini sono strumenti di guerra. Possono dividere.
Se si trattasse solo di svolgere bene il proprio dovere tutti si sentirebbero in diritto di alzare la voce e pretendere di essere patriota.
E infatti, già qualcuno ha menzionato i partigiani, quali veri patrioti. E che gioco sarebbe? Solo un’inutile e dannosa partita divisiva.
Riprendendo Voltaire “… E’ fatto gravissimo che per dirsi buoni patrioti si diventi nemici del resto degli uomini …”.
Proprio perché se strumentalizzato in questo modo può risultare pericolosamente divisivo, patriota mai può costituire un titolo da attribuirsi “a priori” o con cui battezzare solo i propri adepti e coloro che condividono le proprie convinzioni. Non può essere così.
Perché Patriota è una condizione di privilegio riconosciuta dalla comunità, è un fatto solamente oggettivo.
Solo dinanzi a una scelta terribile, compiuta contro il proprio tornaconto personale, contro la propria persona e la propria vita, che ci induce a decidere di rimanere, per esempio, “da soli a difendere le Termopili”, conoscendone le miserevoli conseguenze per se stessi e per i propri affetti, è lì proprio in quel momento che viene fuori l’animo del patriota.
È il “redde rationem”. Quando non si è voluto tornare indietro, pur potendolo fare.
E non parlo necessariamente di un eroe. Questi, per me, è colui che sacrificandosi lo fa a beneficio immediato di altri assieme a lui.
Salvo d’Acquisto è un eroe. Pietro Micca lo è.
Molti eventi bellici riportano atti eroici compiuti dai nostri soldati, molti dei quali sono divenuti anche partigiani, con o senza il fazzoletto rosso al collo.
E così via. Ecco, io credo che si possa essere riconosciuti patrioti senza essere eroi.
Allo stesso tempo, non è detto che un eroe sia necessariamente un patriota.
Eroe è un termine che è stato inflazionato e, conseguentemente, svuotato di significato. Non si faccia la stessa cosa con “patriota”.
Detto questo, occorre puntualizzare che la nostra “Patria” già impone ad alcuni dei suoi cittadini di diventare patrioti, “per contratto”.
Basterebbe scorrere le varie formule del giuramento per chi si appresta a servire lo Stato per capire chi siano.
Per noi Soldati, infatti, si parla di “… adempiere con disciplina e Onore …” e “… per la Difesa della Patria …”, due pilastri spirituali che, basandosi sull’inevitabile presupposto della lealtà, prevista questa per la formula di chi giura per esempio come ministro, postulano qualcosa in più, cioè quell’essere consapevole che ci si potrà trovare dinanzi a quel “redde rationem”, a quelle “Termopili”.
Non è retorica, è un fatto! Lo spirito anima il coraggio, che viene da cuore, e fare il Soldato è solo e sempre una questione di cuore.
Il coraggio spinge all’azione, e questa compiuta senza pensarci, perché subentra la pratica giornaliera della virtù. Perché c’è quel contratto nella mente.
Ecco, se proprio vogliamo parlare di patrioti, naturalmente solo “in pectore”, dove c’è il cuore appunto, ma su un gradino più in su rispetto agli altri, eccoli qua, sono gli uomini “in armi”, giovani e veterani. Vanno riconosciuti e rispettati!
Nel normale corso della vita, intanto, ci si accontenti di essere “solo” persone per bene, bravi servitori dello Stato e buoni cittadini. Non cadiamo nell’inganno della vanagloria, per diventare patriota c’è tempo. Soprattutto, aspettiamo di guadagnarcelo.

*Generale di Corpo d’Armata Esercito (ris)


www.reportdifesa.it/patriota-linganno-in-uno-slogan/

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