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Posts written by juvaborg

view post Posted: 27/11/2016, 01:47 Il genocidio asburgico. 1866-1918 - »Segnalazioni Anti-Italianismo
Sempre un piacere leggere i tuoi articoli, Rinascimento. Duole notare come prevalga ancora una narrazione storica totalmente errata di quegli accaddimenti.
view post Posted: 25/11/2016, 00:17 Juncker arriva a Bolzano. E l'inno italiano viene messo a tacere - »Segnalazioni Anti-Italianismo
Posso assicurarvi che gente come Junker ha come piano B la dissoluzione degli Stati nazionali se questi non obbediranno alle direttive provenienti dai grandi gruppi di potere finanziari del Nord Europa.

Altro che Europa unita, se persone sveglie come Prodi - d'altra parte basta vederlo in faccia per capirne il livello d'intelligenza - avessero capito che il leit motiv delle storia europea e' la contrapposizione tra il Mondo nordico-carolingio e quello mediterraneo- latino, ci avrebbe pensato 2 volte prima di imbarcarsi nell' euro fregatura.

Questi ci vogliono fottere fin dalla battaglia di Teutobutgo, figurarsi se si sono voluti unire a noi per un supposto bene comune.

Sicuramente Junkerino avra' preso accordi col crucco impennacchiato per pianificare la secessione dell'Alto Adige, se risultera' necessario.
view post Posted: 23/11/2016, 11:06 Juncker arriva a Bolzano. E l'inno italiano viene messo a tacere - »Segnalazioni Anti-Italianismo
Peccato che non abito a Bolzano......

Juncker arriva a Bolzano. E l'inno italiano viene messo a tacere
Juncker in visita a Bolzano. Polemica per il tipico rituale in lingua tedesca. In piazza suonati l'inno europeo e quello tirolese

Sergio Rame - Mer, 23/11/2016 - 10:35


Jean-Claude Juncker arriva a Bolzano, in Italia, e l'Inno di Mameli viene messo a tacere. È successo venerdì scorso quando, come racconta ItaliaOggi, il presidente della Commissione europea ha partecipato a un convegno sull'autonomia dell'Alto Adige su invito del presidente della Provincia autonoma, Arno Kompatscher. Un insulto all'Italia unita che ha ferito molti abitanti di Bolzano.

Ad accogliere Juncker davanti al palazzo della Provincia di Bolzano sono stati gli Schützen, i bersaglieri tirolesi che un tempo difendevano il territorio come milizia volontaria asburgica. Poi, come racconta Filippo Merli su ItaliaOggi, un ufficiale ha presentato la compagnia e ha fatto sparare alcuni colpi a salve con i tradizionali archibugi. Una sorta di omaggio all'euroburocrate di Bruxelles. Quindi, sono stati suonati l'inno europeo e quello tirolese, mentre l'inno di Mameli è stato messo a tacere. Il rituale si è concluso con un brindisi a base di grappa e una fetta di torta (con scritte solo in tedesco) per celebrare i settant'anni dell'accordo di Parigi che ha sancito l'autonomia del Trentino Alto Adige. "Il brindisi con la grappa in piazza col presidente della Commissione europea vanifica le campagne contro l'uso improprio dell'alcol degli ultimi anni - tuona il consigliere Alessandro Urzì, della lista Alto Adige nel cuore - torta monolingue per i 70 anni dello Statuto, lingua italiana dimenticata, fucili della Wehrmacht in mano agli Schützen invece del canto dell'inno d'Europa e alla gioia da parte di bambini bilingui".

"Perché la Provincia appalta a organizzazioni divisive le proprie iniziative istituzionali? Queste sono le cause del disagio degli italiani". Urzì ha voluto sapere da Kompatscher per quale motivo la Provincia di Bolzano abbia affidato la cerimonia di accoglienza agli Schützen e non si sia, al contrario, ritenuto di prevedere "una cornice forse più sobria, ma più inclusiva, nei riguardi di tutti i gruppi linguistici dell'Alto Adige". "È un equivoco - ha replicato Kompatscher . ad accogliere Juncker avrebbero dovuto esserci tutte le autorità che prendevano parte al convegno sui 70 anni dell'autonomia, ma uno spostamento dell'orario d'arrivo di Junker ci ha costretti a sdoppiare le cose. Siamo fieri del fatto di vivere in una regione multilingue e siamo altrettanto fieri della nostra convivenza pacifica e della varietà delle nostre tradizioni".


www.ilgiornale.it/news/politica/jun...re-1334994.html

Non dimenticatevi titolo e autore ;)


Edited by Peppero - 26/11/2016, 16:27
view post Posted: 24/9/2016, 12:31 L'euro è il problema dell'Europa - »Economia
Molto interessante, Peppero. A questo aggiungerei la visione di questo video illuminante:



Anche questo:

view post Posted: 6/8/2016, 22:39 Istria tornerà nostra - »Presentazioni Utenti
Non esistono politici italiani capaci di cio' al momento, vecchivalori. Difficilmente i potenti del Pianeta ci permetterebbero di rivendicare qualcosa in quei luoghi, sanno bene che Balcani e vicinanze sono storicamente una polveriera geopolitica.
view post Posted: 6/8/2016, 22:35 La Dalmazia: Storia - »Patria e Irredentismo
Salve Tricolore. Qui e' inverno, di solito piovoso ma non freddissimo - a meno che non si viva al sud dell'isola del sud -. Non esistono comunita' italiane storiche paragonabili a quelle australiane o americane, solo qualche discendente di pescatori siciliani a Wellington.
view post Posted: 5/8/2016, 22:35 La Dalmazia: Storia - »Patria e Irredentismo
Al momento sto in NZ, forse questo e' il motivo. Comunque la qualita' della traduzione in inglese e' eccezionale. Credo che sia, dunque, una persona di madre lingua inglese con origini italiane/dalmate/istriane. Suggerisco di utilizzare gli articoli nel blog per confrontarvi su internet con i mentitori della Storia che usano la lingua di Shakespeare.
view post Posted: 4/8/2016, 08:10 La Dalmazia: Storia - »Patria e Irredentismo
Per coloro che ancora chiamano Croazia, quando vanno in vacanza, quella Regione che mai e' stata Croazia nella Storia. Buona lettura (in inglese)


Italian Dalmatia

(Written by Arundel del Re, taken from the review “The New Age: A Weekly Review of Politics, Literature and Art”, 1915.)

Sir, — It was, I believe, an English diplomat who once said, "First comes a fib, then a lie, and lastly Austrian statistics." The Imperial Royal Government has, however, set great store by this branch of statesmanship, and has used it to blind its anti-national policy in Bosnia, as also in Trieste and Dalmatia.

As I have said in this paper on another occasion, Dalmatia is Italian historically as well as racially and culturally. So late as Campoformio, Napoleon, while robbing Venice of her liberty, for strategic and political reasons incorporated Istria and Dalmatia into the newly formed kingdom of Italy. The tradition is clear and unassailable, from whatever point of view one may look at it.

Dalmatia was first conquered by Rome in the second century B.C., so as to free the Adriatic from the Illyrian pirates who occupied it, and were called respectively Dalmatians in the north and Liburnians in the south. These Illyrians had nothing whatsoever to do with the Slavs, and had been completely absorbed by Latinity when the Slavs broke into Dalmatia in the seventh century A.D. This invasion pushed the native population to the coast and the islands, where they definitely settled as Latin municipia under the nominal suzerainty of Byzantium, the successor of Rome in the Adriatic, until its place was later taken by the Republic of Venice. About the eleventh century, Doge Pietro Orseolo II conquered the whole of the coast-line as far as Le Bocche di Cattaro, with the exception of the territory of the Republic of Ragusa, to protect the Adriatic from the pirates of the Narenta. In 1409 Venice acquired all the rights that Ladislaus of Naples and King of Hungary claimed over Dalmatia.

During the whole of the Middle Ages and the Renaissance the dealings between Hungary and Serbia and Dalmatia were of a friendly nature, the cities of the latter being considered as equals and sovereign States. The collection of statutes and ordinances were either written in Latin or translated into Italian, and were essentially Roman in character. These covered a period of 500 years (until 1808). One case alone has been found of a statute translated into the Serbian language and bearing traces of Serbian law. This is that of the little mountain Republic of Poglizza, where many Serbs and Croatians fled during the Turkish invasion. Each and every detail of the life, the language, the customs, the place-names, the religion, and the arts of Dalmatia, as well as its people, prove it to be Latin and Italian, just as are the cities and the people on the other side of the Adriatic. There are many, however, who will question this statement as not being true at the present, though it may have been in the past. Dalmatia, they say, is Serbian; the Italians are in a great minority. Furthermore, Serbia and Croatia need an outlet. As to the latter argument, Italy does not make any objection. It is a case for mutual understanding and goodwill. (...)

Since the defeat of Sadowa and other unfortunate Western ventures, Austria determined at all costs to force her way eastward towards Salonika. An immediate result of this Drang nach Osten policy was the Croatisation and the Slavicisation of Dalmatia. It commenced by attempting to awake a national spirit among the Croatians and Slavs at the expense of the Italians, and in order to accomplish this it started, among other things, to prove the Slavic character and origin of Dalmatia by misreading and even deliberately misinterpreting the documents and remains in the archives. It attempted further to Slavicise Italian culture by assuming that Dalmatian poets and writers of the Renaissance, such as Flora Zuzzeri (Zuzzerich), Giovanni Gondola (Gundulich), who happened to have translated several Italian classics into Croatian, were ipso facto not Italian but Croatians, and accordingly modified their names. Had they lived to-day, they would doubtlessly have been counted as Croatians in the census of Dalmatia. I know personally of cases in which families who are wholly Italian even in name, and violently anti-Austrian to wit, but who happen to occupy important Government posts, are put down as Croatians or Serbs. It is frequent in Dalmatia to find families of Italian parents whose children are put down as Croatians or Serbs.

The official statistics of 1910, duly tampered with by the Croatian communes of Dalmatia, gave only 20,000 Italian inhabitants, while the Italians in reality amount at least to 60,000. In support of this statement Prof. Dudan points out that during the last general election (1911) with universal suffrage, the Italian candidates in the eleven electoral districts received 6,000 votes. The percentage of voters was 50 per cent., so that the voters may roughly be taken to be 12,000. As in Austria each voter under universal suffrage is calculated as representing five inhabitants (women, children, and men up to 24 years of age), the total of Italian inhabitants would amount to 60,000. Another striking instance of Austrian malpractice is given by the Island of Lesina. In 1880 it had 314 Italian inhabitants per 1,000. Ten years later the whole island had only 27 Italians left, and this without any epidemic or sudden emigration. Now as to actual figures. The total population of Dalmatia is 600,000 inhabitants. Of these, 400,000 are totally uncivilised, and live in the Carsus and the Dinaric Alps, and take no part in the life of the country; 100,000 are mixed Slav and Italian in equal degree. As regards the remainder, 60,000 are pure Italian and 40,000 pure Slavs and Croatians. So much for the validity of this argument.

There is, however, another and directer way of ousting the Italians from Dalmatia: the forced importation of Serbs and Croatians from the countryside. In connection with this, it may be interesting to observe that until 50 years ago the Italian coast-dwellers and the inland agricultural Slav population were very friendly, neither infringing the other's domains. Austrian domination, however, has modified these conditions. It has sought by every means to sow dissension and to awaken racial antagonism. This policy is in itself one of the best proofs of the purely Italian character of Dalmatia. As in Bosnia-Herzegovina since Austrian annexation, so here the Catholic Church, subsidised by the Government, has been a powerful ally in the work of denationalisation. But whereas in Bosnia it tried to destroy the Orthodox Church and so strike at the heart of the Serbian race, in Dalmatia it has been used to create a schism in the Church. Until very recently the parish priests and the bishops were Italians; few of the Slav population were sufficiently cultured to enter the priesthood, hence in some parishes the Latin language was replaced by special dispensation by the native dialect (Glagolitic). At present, wherever a vacancy occurs, it is filled by Slavs and Croatians who are anti-Italian and have gone so far as to refuse baptism and burial in consecrated ground to Italian Catholics. They have also disregarded the papal decrees limiting the use of Glagolitic to those churches where the custom has prevailed for over ten years.

The same policy has been adopted with regard to the administrative side of Dalmatian life. Until 1883 the whole local government was managed by Italians. Intellectually and economically superior — the agricultural population around the towns and inland had no culture to speak of, and what they had, as in the case of Bosnia, was Latin and Italian — Italian civilisation absorbed any element that came into contact with it; Italian money endowed schools and commercial enterprises; Italian, too, were the ideals and aspirations of the people to whom the Adriatic was, and is, not a barrier but a link. The life of the coast towns of the peninsula and Venice is in constant and immediate touch with those on the coast of Dalmatia. The boundaries of Italy lie across this, that might be compared to an Italian lake, in the Dinaric Alps and the Carsus. Nor is it a physical and technical frontier, but a natural one. Without Dalmatia, the whole coast-line from the Po to the Cape Sta Maria di Leuca lies open to the Power that happens to control the Adriatic.

Since 1883 the Slav invasion, stimulated and aided by Austria, has slowly been making headway. In that year the comune of Spalato, the largest town in Dalmatia, through incredible electioneering fraud and actual violence — during the elections the city was placed under martial law, Italian voters were arrested so as to prevent them voting, or their votes annulled — fell into Croatian hands. The same thing occurred in other important towns. Not only according to law, the official language was Italian, Serb or Croatian being only allowed for external purposes, but any foreigner wishing to settle in the Dalmatian towns had to learn it in order to be admitted into polite society or to trade with the Italians. In 1912 this law was revoked by a ministerial decree (sic)! This work of forced Croatisation has been further helped through the establishment of numerous Croatian schools in which the Italian language is not taught or spoken, while, on the other hand, the Government has suppressed and as far as possible prohibited Italian schools, even though self-supporting. Thus on all sides Austria is carrying on her intensive campaign of denationalisation in Dalmatia, imposing violently a new, forced, and unnatural Slav civilisation. Italy has no desire to prevent or to hinder the natural expansion of the Croatians or the Serbs, but can no longer stand by and watch a part of her people being strangled inch by inch by an artificial force which under the cloak of nationalism violates the elementary principles of the rights of nationality.

http://istria-fiume-dalmatia.blogspot.co.n...n-dalmatia.html
view post Posted: 15/5/2016, 09:35 Politica estera: la Turchia protagonista e l'Italia addormentata. - »Italia nel Mondo
Ottimo articolo sulla nostra folle auto-estromissione dagli scenari internazionali dove ancora contavamo, e qualcuno ci sta sostituendo.....


MAMMA LI TURCHI !

di Gianandrea Gaiani



Secondo l’Annual Defence Budgets Report di IHS Jane’s Ankara ha speso per la Difesa 16 miliardi di dollari nel 2015, meno dell’Italia, ma molto di più (il 2,2 per cento contro l’1 scarso) in termini di percentuale del Prodotto Interno Lordo, quello turco è meno della metà di quello italiano.
Con quel denaro Ankara sostiene forze militari di quasi mezzo milione di effettivi e programmi di riarmo e potenziamento con cui punta ad essere autosufficiente nella produzione di sistemi d’arma entro il 2023 mentre la sua flotta (24 navi da combattimento maggiori, 20 minori e 13 sottomarini) supera già oggi per tonnellaggio quella italiana e presto disporrà di una portaelicotteri da assalto anfibio.
La Turchia di Recep Tayyp Erdogan costituisce oggi la più evidente dimostrazione che per ricoprire un ruolo di potenza regionale e sostenere ed espandere i propri interessi nazionali non è necessario disporre di un’economia d’acciaio né di una moneta forte.
Conta soprattutto avere una classe politica preparata, idee chiare, la disponibilità a investire sulla propria industria hi-tech e della Difesa oltre che sulle forze armate.
Conta dotarsi di una dettagliata programmazione politica e strategica e avere la spregiudicatezza di giocare su più tavoli col coraggio di esporsi a successi e sconfitte senza nascondersi dietro il paravento della “comunità internazionale”.
Dopo aver preteso dalla Ue 6 miliardi di euro (quasi il doppio degli ultimi tagli al welfare che Bruxelles e Berlino hanno imposto ai nostri “fratelli” greci) per fermare i flussi migratori originati nella stessa Turchia, Erdogan ha mandato al diavolo l’Europa che vorrebbe una revisione della legge antiterrorismo turca che oggi consente di incarcerare chiunque contesti il governo.
Certo europei e soprattutto tedeschi sono apparsi poco incisivi nei confronti di Ankara, specie tenendo conto che sarebbe bastato applicare ai turchi la metà delle sanzioni economiche che applichiamo assurdamente a Mosca per costringere Ankara a scegliere tra il tracollo monetario e finanziario o lo stop ai flussi migratori.
Questa valutazione nulla toglie però allo status conseguito dalla potenza turca, considerato che la storia è piena di circostanze in cui egemonie nazionali si sono affermate anche a causa delle negligenze dei rivali.
L’ascesa della Turchia come potenza di riferimento in una vasta area che va dal Mediterraneo all’Asia Centrale, dal Golfo Persico alla Somalia superando i confini che furono dell’Impero Ottomano, rappresenta un’umiliante lezione per l’Italia.
Non solo perché i turchi stanno occupando anche aree d’influenza che un tempo erano italiane e che potrebbero ancora esserlo se qualcuno a Roma avesse la più pallida idea di come fare politica estera (per una volta senza limitarsi a lasciarla fare all’ENI e senza attendere le discutibili iniziative dell’ONU, della NATO o della UE, come se questi organismi perseguissero gli interessi nazionali dell’Italia) ma anche perché Ankara sta dimostrando che capacità di leadership, chiarezza degli obiettivi da perseguire e coraggio di esporsi pagano in termini di influenza anche nei confronti di Stati economicamente più ricchi, forti e stabili.
In Libia il governo “targato” ONU di Fayez al-Sarraj (nella foto a sinistra) è riuscito a prendere piede nella base tripolina di Abu Sittah solo dopo un vertice tenutosi a Istanbul e le milizie islamiste che lo sostengono hanno come punto di riferimento Turchia e Qatar, non certo l’Italia. Ankara del resto, insieme a Doha, era già sponsor del precedente governo islamista di Tripoli, guidato da Khalifa Ghweil, a conferma di come i turchi stiano ritagliandosi un ruolo guida almeno in una regione (la Tripolitania) di quel territorio libico che l’Italia strappò loro oltre un secolo or sono.
Grazie all’oculata politica turca e al supporto di Washington oggi gli islamisti di Tripoli (Salafiti e Fratelli Musulmani) non sono più parte di un governo non riconosciuto ma dell’esecutivo ufficiale voluto dall’ONU.
Un risultato che costituisce un grande successo per Ankara e risulta indigeribile per l’Egitto e i suoi alleati (sauditi, emiratini e francesi) che appoggiano il governo laico di Tobruk e le milizie del generale Khalifa Haftar.
Oggi il peso di Ankara in Libia è decisivo per le difficili sorti del Paese, molto di più di quanto possa esserlo quello dell’Italia, riuscita a “bruciarsi” con tutti i contendenti.
L’anno scorso Roma si giocò le simpatie delle forze islamiste di Tripoli, che infatti non ci hanno certo aiutato nella vicenda dei 4 ostaggi italiani catturati vicino a Melitha, per il suo sostegno a Tobruk.
Negli ultimi mesi Roma è riuscita poi a compromettere anche i rapporti con Haftar rifiutandogli aiuti militari (che invece Parigi ha concesso senza troppa pubblicità) e appoggiando l’esecutivo al-Sarraj che sarà pure sostenuto dalla comunità internazionale ma presso il quale l’influenza italiana sembra essere del tutto marginale (ENI a parte) col risultato che in Cirenaica (per la gioia di Parigi) va di moda bruciare le bandiere italiane.
Del resto, a differenza dell’Italia, la Turchia conduce una politica di elevata visibilità per ritagliarsi influenza e presenza nelle aree d’interesse strategico.
In Somalia, altra ex colonia italiana dove Roma guida una missione militare addestrativa della Ue (Eutm Somalia), i turchi sono sbarcati in forze. Prima con programmi di sviluppo che hanno visto la ricostruzione del porto nuovo di Mogadiscio (ora a gestione turca), la realizzazione del nuovo terminal dell’aeroporto, di un ospedale, di strade a doppia corsia illuminate grazie a pannelli solari e persino la fornitura dei mezzi per il servizio di raccolta dei rifiuti.
Poi con un definito programma di presenza e assistenza militare che vede la costruzione cdi una base militare che sarà ultimata a settembre e in grado di accogliere forse 2 mila militari.
Si dice che inizialmente i militari turchi saranno alcune centinaia con compiti di presidio e addestramento dei battaglioni somali destinati a combattere le milizie qaediste Shabab e quello dello Stato Islamico che hanno da poco preso piede anche in Somalia.
Mentre i turchi in pochi mesi realizzano una grande base a Mogadiscio, in Italia si discute da tre anni di aprire una missione militare nazionale di assistenza all’esercito somalo, svincolata dalla missione Ue Eutm-Somalia, ma finora nessuno ha preso decisioni in proposito.
In compenso abbiamo aperto da anni una base logistica a Gibuti dove l’influenza italiana è destinata a restare del tutto simbolica, schiacciata dalla massiccia presenza francese, statunitense e presto anche cinese.
Sul fronte siriano i turchi restano in contrasto con la Russia e combattono oggi lo Stato Islamico (che fino a ieri avevano tollerato e sostenuto contro curdi e Bashar Assad) con un crescente impegno militare mentre in Iraq condizionano il governo scita di Baghdad mantenendo un battaglione meccanizzato a nord di Mosul, nel settore curdo.
Ma il vero capolavoro che suggella il ruolo di “grande potenza” della Turchia è rappresentato dalla realizzazione di una vasta base militare in Qatar che ospiterà 3 mila militari, forze terrestri, speciali, aeree e navali. Realizzata con fondi dell’emirato, la base sarà pronta nel 2018 e verrà guidata da un generale di brigata turco con compiti di consulenza e addestramento alle truppe di Doha e forse anche a milizie panarabe legate alla Fratellanza Musulmana.
Con la base nell’emirato (che già ospita la base aerea st atunitense di al-Udeid che è anche il quartier generale delle forze aeree del Central Command e gestisce le operazioni in Iraq, Siria e Afghanistan) la Turchia entra nel club ristretto delle potenze che dispongono di basi militari nel Golfo Persico con Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna.
Certo la politica di Erdogan non è priva di difficoltà e oggi Ankara ha seri problemi con quasi tutti i suoi vicini (Siria, Russia, Ue….) ma al di là di questa considerazione (e tenendo conto dei tentativi di ricomporre la crisi con Mosca e con Israele) oggi i turchi sono interlocutori con i quali tutti devono fare i conti per gestire le crisi in atto nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Difficile poter dire altrettanto dell’Italia.


www.analisidifesa.it/2016/05/mamma-li-turchi/
view post Posted: 2/11/2015, 18:15 la Sardegna è italiana? - »Geografia
Caro Hiknusa, non nascondo di avere una certa diffidenza per gli indipendentisti. Definirsi indipendentista significa affermare di essere diversi e forse migliori rispetto a coloro con cui si condivide la cittadinanza, cosa non biasimabile, ma che oggi risulta anacronistico e forzato, esattamente come forzata era la visione mussoliniana di trattare tutti gli italiani come un blocco monolitico ed indifferenziato.

Di solito gli indipendentisti amano fare le vittime sottolinenando di subire la deriva nazionalista dello Stato in cui sarebbero inglobati, tranne poi esibirsi in ragionamenti e discettazioni sulle origini della propria lingua o sulla specificita' genetica della propria supposta razza, che farebbero impallidire anche Goebbels o il dottor Mengele.

Contraporre un nazionalismo regionale ad uno nazionale non significa essere necessariamente dalla parte del giusto: Davide puo' essere anche piu' violento, intollerante e pericoloso di Golia. Inoltre, non siamo cosi' ingenui da non essere consapevoli che i vari movimenti indipendentisti sono sempre stati connotati da precise posizioni ideologiche. Cosi', in Italia, i compagnucci hanno sempre simpatizzato per i baschi o per la Palestina, i primi quali eredi di coloro che hanno combattuto il franchismo ed i secondi come gli antagonisti degli ebrei ed americani, cioe' i pupari dell'attuale imperialismo capitalista. Chissenefrega se in Tibet schiere di monaci buddisti passavano a miglior vita dandosi fuoco: nelle scuole di formazione dei centri sociali non era in programma la causa tibetana.

Anche il movimento indipendentista sardo ha sempre goduto di simpatie a sinistra, soprattutto per le sue origini filoanarchiche ed antigovernative. Non per nulla hai ricordato quel sondaggio dove gli indipendentisti avrebbero raggiunto il risultato del 40 %, chissaperche' ottenuto nell'istituzione piu' ideologizzata a livello planetario: l'Universita'.

Infine, bisogna chiarirsi, se la cosi' detta autodeterminazione e' un valore universale
chi dice dove fermarla ? In una futura Sardegna indipendente cosa faresti se la Gallura decidesse a sua volta diventare uno Stato autonomo, mandi i carri armati ?

Spero che i miei figli e nipoti progrediscano a livello europeo e non regrediscano a quello regionale, ed e' questo il punto. I movimenti indipendentisti non sono altro che la dimostrazione della spocchia con cui noi europei guardiamo il resto del Mondo.
L'Europa e' e diventera' sempre piu' irrilevante e trastullarsi con tali amenita' non puo' che definitivamente sancirne la morte.

Se voi sardi vi considerate speciali da meritare l'indipendenza perche' non potrei averla anche io ? Declina tutto cio' a livello europeo ed otterrai 100-120 nuovi Staterelli, ognuno di questi con il proprio dialetto diventato lingua, magari con una nuova moneta, alcuni dei quali ancora facenti parti dell'UE, altri no. Pensa che papocchio uscirebbe, letteralmente un inferno. Un'Europa cosi' verrebbe mangiata in un sol boccone da cinesi ed indiani.

Ti auguro di ampliare le tue vedute, qualcuno lo fece 150 anni fa e gliene sono grato. L'unita' d'Italia (Sardegna inclusa) con tutti i suoi difetti me la tengo stretta.
view post Posted: 21/10/2015, 13:29 Gli italiani tra i migliori conducenti al mondo - »Patria e Tradizione
Alla faccia dei luoghi comuni.......

Quali sono i Paesi dove si guida meglio e peggio: sorpresa Italia

Una app di navigazione stradale ha studiato la guida di 50 milioni di utenti di 32 nazioni e ha stilato la hit degli automobilisti


Nonostante il traffico che congestiona quotidianamente molte strade delle nostre città e lo stato dissestato di diverse carreggiate, gli automobilisti italiani sono promossi alla guida e sono considerati tra i migliori conducenti al mondo. Lo rivela il "Driver Satisfaction Index" (indice di soddisfazione dell'automobilista) formulato da Waze, una delle app di navigazione stradale più usate al mondo. Studiando le esperienze di guida di 50 milioni di utenti di 32 nazioni che vivono in 167 città e rifacendosi ad alcuni parametri tra cui condizioni del traffico nelle strade, qualità delle infrastrutture, incidenti e numero dei feriti, i gestori dell'app hanno stilato la classifica dei migliori e peggiori paesi dove guidare.

I migliori
L'app premia con il voto otto all'ipotetica nazione perfetta dove guidare mentre assegna 2 a quella pessima. L'Italia ottiene una valutazione media di 6,8 e si piazza all'ottavo posto della classifica dei migliori paesi dove guidare. In vetta alla lista si posizionano l'Olanda che raggiunge quasi la perfezione (7,9) seguita dalla Lituania(7,3), Stati Uniti (7,2), Repubblica ceca (7,1), Belgio (7) e Francia (6,9). Chiude la top ten l'Ungheria (6,8) e la Slovacchia (6,7): «Nonostante l'Olanda sia uno dei paesi più densamente popolati al mondo - si legge sul blog di Waze - il paese europeo ottiene le migliori performance e può vantare il minor traffico al mondo».



I peggiori
Se invece guardiamo la classifica dei peggiori paesi dove guidare notiamo che ben 7 delle 10 nazioni presenti nella lista appartengono all'America latina. Nelle principali metropoli dell'America del Sud - spiega il blog di Waze - solo il 40% delle strade si può definire in buone condizioni. La peggiore in assoluto è El Salvador che ottiene una valutazione complessiva di 2,1, seguita dal Guatemala (3), Venezuela (3,1), Colombia (3,3), Ecuador (3,7), Romania (3,7), Indonesia (3,7). Riescono a fare un po' meglio Panama (3,8), Filippine (3,9) e Costa Rica (4,5).
.

http://www.corriere.it/esteri/15_ottobre_2...53fd0c1e2.shtml

Ho corretto il link, mi dava pagina insesistente.


Edited by Peppero - 28/10/2015, 15:12
view post Posted: 13/9/2015, 21:12 L'enigma del Monte Bianco - »Geografia
Dividere la vetta esattamente a meta' e' ragionevole, ogni altra soluzione una provocazione. I francesi hanno semplicemente rosicato della nuova e modernissima funivia aperta sul versante italiano.
view post Posted: 13/9/2015, 21:06 La disinformazione di Repubblica - »Libera Discussione
Hanno ridotto l'Europa in stato vegetativo, ora giustamente vogliono dargli il colpo di grazia: la missione va completeta !!
381 replies since 14/4/2010