La storia della Dalmazia: premessa
La Dalmazia è quel territorio che dalla Porta Liburnica e dal Vallone di Buccari si estende verso sud-est comprendendo la fascia costiera (con isole annesse) delimitata dalle Alpi Dinariche e Bebie, fino alla foce del fiume Bojana, attuale confine tra Montenegro e Albania. Questo confine naturale è solidamente racchiuso dalle Dinaridi (con l’eccezione del fiume Narenta che si estende quasi interamente nel territorio erzegovese ed entra in Dalmazia solamente per l’ultimo breve tratto), tanto da farne una regione totalmente eterogenea con la Balcania interna. Taluni geografi, a mio parere forzatamente, hanno voluto vedere la catena delle Dinaridi come una continuazione delle Alpi, considerando quindi la Dalmazia come parte della Regione italiana. In realtà, forse per la sua posizione “di là dall’acqua”, spesso non è stata sentita dagli italiani della Penisola come parte integrante di essa; ma la sua storia, la sua cultura e fino ad un po’ di anni fa parte della sua etnia sono state italiane.
Non si può capire l’intera essenza di questa meravigliosa regione se non si conoscono i suoi segreti ed il suo passato. L’analisi seguente ha due fonti principali: la tesi di laurea di Marzio Scaglioni “La presenza italiana in Dalmazia 1866-1943” e “La Dalmazia e il Risorgimento italiano” di Corrado Cavizzi.
La Dalmazia dalle origini fino al dominio di Venezia
La Dalmazia, in origine abitata da popolazioni indigene, fu colonizzata dai Romani che ne fecero una provincia senatoriale. Come tutte le altre d’Italia, la regione fu romanizzata e – cessata la potenza di Roma – avvenne anche per essa il graduale passaggio tra romanità ed italianità.
Nel 600 la Dalmazia fu soggetta alle invasioni barbariche; dall’oriente vennero soprattutto slavi che si stabilirono nella balcania; una piccola parte di essi giungerà in Dalmazia. Nel 1000 d.C. il doge di Venezia Pietro Orseolo, sconfitti i pirati narentani che infestavano la regione, ottenne la sua tutela. Cominciò così il plurisecolare rapporto tra Venezia e la Dalmazia.
La Serenissima, a cui i porti dalmati erano indispensabili per la rotta verso l’oriente, apportò la sua cultura nella regione, sapendo riunire individui e popolazioni molto diverse tra loro.
Il dialetto veneziano era uniformemente conosciuto ed usato da tutti i dalmati, relegando gli altri idiomi (lo slavo e il dalmatico – vedi la pagina dedicata all’isola di Veglia) all’uso domestico. Inoltre anche qui come in ogni altra parte di Italia la cultura si esprimeva unicamente in lingua italiana, mentre il latino veniva usato nelle chiese. Si ritiene comunque erroneo associare come unica causa dell’italianità della Dalmazia il dominio di Venezia. Erano italianissime anche Fiume, Gorizia, Trento, Pisino, Ragusa e Trieste, tutte città al di fuori del dominio della Serenissima. Venezia raggiunse la sua massima espansione in Dalmazia in seguito alla pace di Carlowitz e di Passarovitz fino al solido confine delle Alpi Dinariche.
La Repubblica di Ragusa
In Dalmazia fiorì e si sviluppò la quinta repubblica marinara: la Repubblica di Ragusa. Il territorio della Repubblica comprendeva una sottile striscia di terra che andava da Stagno Grande a Castelnuovo di Cattaro, e comprendeva la penisola di Sabbioncello e le isole di Lagosta e Melena. Ragusa (indicata talora “Ragusa di Dalmazia” per distinguerla da Ragusa di Sicilia) sviluppò una intensa attività commerciale che a volte metteva in difficoltà la stessa Venezia. Il motto della Repubblica adriatica fu nei secoli: “Non bene pro toto libertas vendicatur auro”. Inoltre lo sviluppo della cultura italiana qui raggiunse livelli altissimi (famose le copie della Divina Commedia stampate nel 1488 dal lagostino Bonino de’ Boninis). La decadenza di Ragusa di Dalmazia avvenne in seguito al terremoto del 1667 che distrusse la città In seguito si accrebbe l’afflusso di slavi dalla Balcania interna (detti “Dubroni”) nella città i quali se in un primo momento si assimilarono all’italianità della città, in seguito apportarono ad essa una massiccia slavizzazione.
La fine della Repubblica di Venezia
La Repubblica di Venezia cessò di esistere (e con essa anche il suo dominio in Dalmazia) nel 1797, in seguito al Trattato di Campoformio. Quell’evento fu considerato un vero e proprio lutto nelle varie città dalmate. Ciò è evidenziato dal giuramento di Perasto del 23 agosto del 1797, celebrato in lacrime dal conte Giuseppe Viscovich, podestà cittadino, in dialetto veneziano, col quale i dalmati tutti piansero la caduta della Repubblica seppellendone il gonfalone sotto l'altare della cattedrale cittadina; esso ricorda l'orgoglio dell'appartenenza alla Repubblica vista come portatrice di civiltà e di incrollabile fede cristiana.
"In sto amaro momento, ke làcera el nostro kor, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al Veneto Serenìsimo Domìnio, al Gonfalon de la Serenìsima Republika, ne sia de konfòrto, o citadini, ke la nostra kondota pasada e de sti ultimi tenpi, rende no solo pì justo sto ato fatal, ma virtuoxo, ma doveroxo par nù. Savarà da nù i nostri fiuli, e la stòria del xorno farà saver a tuta l'Europa, ke Perasto ga denhamente sostenudo fin a l'ultimo l'onor de 'l Veneto Gonfalon, onorandolo ko sto ato solene, e deponendolo banhà del nostro universal amarìsimo pianto. Sfogémose, citadini, sfogémose pur, e in sti nostri ultimi sentimenti ko i kuali sijilemo la nostra glorioxa kariera koresta soto a 'l Serenìsimo Veneto Varno, rivoljemose vèrso sta Insenha ke lo raprexenta, e su de ela sfogemo el nostro dolor. Par trècentosetantasete ani le nostre sostanthe, el nostro sàngue, le nostre vite le xe sta'e senpre par Ti, o San Marko; e fedelìsimi senpre se gavemo reputà TI KO NU, NU KO TI; e senpre ko Ti su 'l mar nù semo sta'i ilustri e vitorioxi. Nisun ko Ti ne ga visto skanpar, nisun ko Ti ne ga visto vinti e spauroxi! E se i tenpi prexenti, infelicìsimi par inprevidensa, par disension, par arbìtrii ilegali, par vìcii ofendenti la natura e el jius de le jenti, no Te gavese tolto da l'Italja, par Ti in perpetuo sarave le nostre sostanse, el nostro sàngue, la vita nostra e, pitosto ke véderTe vinto e dexonorà da i tui, el korajo nostro, la nostra fede se gavarave sepelio soto de Ti! Ma xà ke altro no ne resta da far par Ti, el nostro kor sia l'onoratìsima to tonba, e el pì puro e el pì grando to elojo le nostre làgreme!"
Le cronache dell'epoca ricordano come quel giorno si pianse ovunque e che a Traù la gente era assai più abbattuta di quando, dieci anni prima, fosse giunta in città la peste.
La Dalmazia nella prima metà dell'Ottocento
Dopo la parentesi napoleonica, il Congresso di Viennanon restaurò la vecchia Repubblica di Venezia, per cui i territori ad essa appartenenti (tranne le isole Ionie, v.) vennero incluse nell’Impero Austroungarico.
La Dalmazia sotto l’Austria venne elevata a regno con capoluogo Zara; essa fu divisa in 4 circoli (Zara, Spalato, Ragusa e Cattaro) i quali a loro volta si dividevano in capitanati (14) e in distretti giudiziari.
I 14 capitanati austriaci (con i relativi distretti giuridici indicati tra parentesi) erano:
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Bencovazzo (Bencovazzo, Chistagne ed Obbrovazzo),
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Cattaro (Cattaro, Budua, Castelnuovo di Cattaro e Perasto),
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Curzola (Curzola, Blatta, Sabbioncello),
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Imoschi (Imoschi),
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Lesina (Lesina, Lissa, Cittavecchia di Lesina),
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Macarsca (Macarsca e Vergoraz),
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Metcovich (Metcovich),
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Ragusa di Dalmazia (Ragusa, Ragusavecchia e Stagno Grande),
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San Pietro della Brazza (San Pietro della Brazza),
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Sebenico (Sebenico, Scardona e Stretto),
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Signo (Signo e Verlicca),
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Spalato (Spalato, Almissa e Traù),
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Tenin (Tenin e Dernis),
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Zara (Zara, Zaravecchia, Pago ed Arbe).
Gli Austriaci, per frammentare la Dalmazia, ne avevano scorporato le isole più settentrionali (Veglia, Lussino, Cherso ed alcune minori come Plauno ed Unie) e le avevano aggregate alla provincia del Kustenland. Pertanto i confini amministrativi avevano come estremo settentrionale l’isola Gregorio a nord di Arbe e come punta meridionale il paesino di Spizza, a 6 km a nord di Antivari: erano escluse quindi anche le cittadine di Cirquenizza, Novi, Segna e Carlopago; inoltre la fascia costiera era spezzata in due nella zona di Klek-Neum per 9 km di territorio appartenente all’erzegovina.
La Dalmazia era una regione prevalentemente agricola e poco produttiva. L’interno era soprattutto a carattere pastorale, mentre sulla costa erano diffuse le colture d’olivo e della vite. Da Zara a Selenico si produceva la marasca e la visciola, famosi erano i fichi di Almissa, le mandorle e l’uva da tavola.
La viabilità era quasi nulla, essendovi solo una strada tra Zara e Obbrovazzo e una (detta “litoranea”) tra Zara e Vrana, costruite sotto Venezia, a cui si aggiungeva la “mediterranea”, una recente strada che collegava Tenin, Verlicca, Signo, Vergoraz, Metcovich e Ragusa di Dalmazia. Solo nel 1853 l’Austria realizzerà una strada interna che collegherò Obbrovazzo alla Lika. Le comunicazioni della Dalmazia erano soprattutto marittime, favorite dai numerosi porti naturali e il commercio avveniva maggiormente con le città della penisola italiana, mentre quasi nullo era con l’interno della Balcania. Questo a sottolineare il carattere di isolamento della Dalmazia rispetto all’interno della regione balcanica.
Fino alla seconda metà dell’Ottocento non furono effettuati censimenti etnici, anche perché i dalmati, slavofoni e italofoni, si sentivano semplicemente “dalmati”. Si può comunque affermare che l’italiano era la lingua usata soprattutto nei contesti pubblici e conosciuta da ogni dalmata. I contadini, specialmente nelle campagne e nei piccoli centri dell’interno, parlavano il croato (o il serbo nella Dalmazia meridionale e a Tenin). La popolazione di origine slava era la stragrande maggioranza (più dell’85 %), ma essa era culturalmente soggetta alla minoranza italiana (che – non si dimentichi – erano gli autoctoni della regione). La lingua ufficiale era l’italiano.
La prima metà dell’Ottocento vede una diffusione degli ideali risorgimentali nella popolazione che in un secondo momento diventano a carattere patriottico e nazionale. Spuntarono varie logge massoniche, che si tenevano in contatto con quelle della penisola. L’Austria guardava con diffidenza i sentimenti patriottici dei Dalmati italiani e cominciò a favorire l’elemento slavo che era ritenuto il meno pericoloso. Va però detto che in questo periodo nacque la prima grammatica croata, e con essa si sviluppò il fenomeno dell’Illirismo e il sentimento etnico croato.
In questa situazione si arrivò al 1866, anno della battaglia di Lissa (v.), dove vennero a coincidere due fattori estremamente dannosi per la componente italiana in Dalmazia, da un lato i croati stavano maturando una certa collocazione culturale, dall’altro l’Austria temendo la nascente potenza italiana, iniziò una dura repressione dell’elemento italiano favorendo i croati stessi. I dalmati con sentimenti italiani persero nei propri mari a largo di Lissa nel 1866 la speranza di essere uniti all’Italia e dovettero subire la vendetta austriaca.
La Dalmazia dopo il 1866
Dopo i fatti di Lissa, in Dalmazia come nel Trentino e nella Venezia Giulia tutto ciò che era italiano venne avversato dagli austriaci. Non potendo tedeschizzare quelle terre perché troppo lontane dall’Austria, venne favorita la cultura slava a danno di quella italiana. Nelle varie città dalmate a mano a mano l’amministrazione da italiana passava a croata. Nel 1861 gli 84 comuni dalmati erano amministrati da italiani. Nel 1875 risultava che 39 di essi avevano amministrazione croata, 19 italiana ed i restanti bilingue. I comuni con amministrazione italiana erano: Blatta, Brazza, Cittavecchia di Lesina, Clissa, Comisa, Lissa, Meleda, Mezzo, Milnà, Pago, Ragusa, Sabbioncello, Selve, Slarino, Spalato, Solta, Traù, Verbosa e Zara. Nel 1873 Sebenico passò all'amministrazione croata, così come nel 1882 Spalato, nel 1886 Traù, nel 1904 Arbe e nel 1910 Slarino che lasciava sola Zara.
Inoltre dal 1866 al 1914 - ad eccezione di Zara - vennero chiuse le scuole italiane e aperte quelle croate. Il tracollo della componente italiana in Dalmazia è dovuto soprattutto a questo fatto, non avendo più essi libertà di espressione culturale. La trasformazione delle scuole italiane in croate fu accompagnata da numerose proteste, persino nella remota Tenin in cui numerose famiglie chiedevano il mantenimento della lingua italiana. A Lissa una petizione fu portata addirittura all'imperatore. Fu così fondata negli anni Novanta la Lega Nazionale, la cui sezione dalmata gestiva a proprie spese scuole private italiane. Esse erano presenti a: Cattaro, Ragusa, Curzola, Cittavecchia di Lesina, Spalato, Imoschi, Traù, Sebenico, Scardona, Tenin, Ceraria, Borgo Erizzo, Zara ed Arbe (oltre a Veglia, Cherso, Unie e Lussino).
Tutto questo avveniva in un clima di continue vessazioni da parte degli slavi che a mano a mano conquistavano il potere. Antonio Baiamonti fu podestà di Spalato prima che essa cadde nelle mani dell'amministrazione croata. Egli spese tutta la vita e le proprie sostanze per la sua città, sostanze che mai vennero rimborsate dagli austriaci nonostante le ripetute promesse. Morirà a 69 anni indebitato fino al collo. Diceva spesso: "A noi italiani di Dalmazia non resta che un solo diritto: quello di soffrire!".
La politica austriaca inoltre cercò di dimostrare che la minoranza italiana in Dalmazia fosse molto piccola e sempre più in diminuzione. Il primo censimento austriaco contava circa 60 mila italiani su 300 mila abitanti (il 20 % circa). Dal 1865 in poi tale percentuale era destinata, secondo i censimenti effettuati, a tracollare: nel 1865 gli italiani sono il 12,5 %, nel 1880 il 5,8 % e nel 1900 il 2,6 %. Non vi sono state in quel periodo emigrazioni massicce né catastrofi naturali che decimassero la popolazione (tant'è vero che il numero degli slavi aumentava in maniera "naturale" come nel resto d'Europa). Tali censimenti in realtà erano stati arbitrariamente manipolati; solo questo fatto potrebbe spiegare una diminuzione degli italiani del 94 % a Cittavecchia di Lesina e del 96 % a Comisa nell'arco di soli 10 anni. Vari studi furono effettuati ad opera di storici e dialettologi italiani. Lo storico fiorentino Giotto Dainelli quantificò gli italiani in Dalmazia (basandosi sul censimento austriaco del 1900) nel seguente modo: a Cherso erano presenti 12 nuclei di italiani, a Lussino 5, Unie 1, Veglia 9, Arbe 2, Pago 4, Selve 1, Ugliano 3, Lunga 1, Morter 1, Slarino 1, Brazza 11, Lesina 6, Lissa 3, Curzola 5, Sabbioncello 8, Meleda 2, Giuppona 1 (isole e penisole), Ragusa 12, Fiume 3, Sebenico 6, Spalato 7, Macarsca 1 (aree attorno alla città), bocche di Cattaro 16, foci della Narenta 2, valle della Cettina 6, valle della Cicola 3, valle della Cherca 2 valle della Zermagna 1, Contado (di Zara) 7, costa di Liburnia 3; da sottolineare che alcuni "nuclei" di persone che si erano definite italiane erano composti da pochi gruppi familiari. Non compaiono Lagosta (dove c'erano diverse famiglie italiane), Sussak (con i suoi 1500 italiani) e i pochi italiani nella Liburnia orientale (da Sussak a Novi) e di Carlopago. In molti paesi e isole tra il 1880 e il 1890 scomparvero ufficialmente gli italiani (Pago, Meleda, Sestrugno, Isto, Zirona Grande, Bua, ecc.), ciononostante i vari nomi nella toponomastica ufficiale continuavano a essere italiani. I censimenti mostravano comunque che la presenza italiana in Dalmazia era un po' ovunque nell'intero territorio, persino a Spizza (il paese più a sud della Dalmazia), a Tenin (circa 100 italiani), a Imoschi, Obbrovazzo, Signo, Verlicca, Vergoraz e Metcovich.
Alla fine dell'Ottocento Isaia Graziadio Ascoli pubblicò un opuscolo nel quale erano classificate le cittadine in cui era parlato abitudinariamente la lingua italiana (campagne e sobborghi però esclusi): Fiume, Veglia, Arbe, Cherso, Ossero, Lussinpiccolo, Zara, Spalato, Almissa, Lesina, Curzola, Cattaro; erano mistilingui: Lussingrande, Pago, Nona, Sebenico, Scardona, Traù, Cittavecchia di Lesina, Stagno Grande, Ragusa, Perasto, Castelnuovo di Cattaro, Budua; erano di lingua serbo-croata: Buccari, Segna, Carlopago, Antivari. Lo studio dell'Ascoli omette le minoranze inferiori ad un quarto sul totale della popolazione, mentre parla solamente di lingua normalmente "in uso" in città (è infatti noto che anche i Croati in città parlavano l'italiano senza alcun problema), senza però analizzare i contadi slavi.
Un po' di anni più tardi il Bartoli fece un'interessante suddivisione delle città dalmate in tre gruppi, in base alla loro italianità:
I gruppo (totale italianità): Veglia, Ossero, Arbe, Lussinpiccolo, Lesina, Zara;
II gruppo (presenze slave): Cherso, Pago, Lussingrande, Cittavecchia di Lesina, Curzola, Sebenico, Traù, Spalato, Almissa, Cattaro;
III gruppo (Italiani in minoranza): Nona, Scardona, Macarsca, Stagno Grande, Ragusa, Castelnuovo di Cattaro, Perasto, Budua.
La prima guerra mondiale - il Patto di Londra - il Trattato di Versailles
La prima guerra mondiale travolse tutti i precedenti equilibri europei. Il trattato di Versailles, cui seguirono quelli di Rapallo e di Roma (lasciando Venezia Giulia e Dalmazia in una situazione di instabilità fino al 27 gennaio del 1924, data dell’annessione di Fiume all’Italia), consegnava quasi tutta la Dalmazia al Regno Serbo-croato-sloveno che dal 1929 si chiamerà Jugoslavia. Questa nazione era stata ideata a Londra tra il 1915 ed il 1918 da un gruppo di intellettuali serbi, sloveni e croati i quali seppero accattivarsi i governi di Londra, Parigi e Washington a dispetto del patto stipulato nella capitale inglese il 26 aprile 1915 tramite il quale una grande parte della Dalmazia avrebbe dovuto essere assegnata all'Italia in caso di vittoria.
L’articolo 5 del Patto di Londra afferma: "L'Italia riceverà la provincia di Dalmazia nella sua attuale estensione, includendo a nord Lissarizza e Tribagno ed a sud tutti i territori fino alla linea partente dal mare presso Punta Planca, e seguente la spartiaque verso est, in modo da porre in territorio italiano tutte le valli i cui fiumi sboccano in mare presso Sebenico, cioè la Cherca, il Cicola, e il Bustinizza coi loro affluenti. All'Italia anche appartengono tutte le isole a nord ed ad ovest della costa cominciando da Premuda, Selve, Ulbo, Maon, Scherda, Pago, Puntadura a nord, ed arrivando a Mèleda a sud con l'aggiunta di Busi, Lissa, Sant'Andrea, Spalmadori, Tòrcola, Lèsina, Cùrzola, Cazza e Làgosta, senza però le isole di Zirona Piccola, Zirona Grande, Bua, Solta e Brazza". Il Patto di Londra non includeva Fiume e Spalato, previsti come futuri porti marittimi dell’impero Austriaco, del quale ancora non si ipotizzava ancora una dissoluzione.
L'inesperienza della diplomazia italiana emerse in seguito, alla pace di Parigi, dove il governo italiano pretendeva il legittimo riconoscimento del precedente patto di Londra (stipulato con Inglesi, Francesi e Russi, ma non con gli Stati Uniti di Wilson) in base al principio di legittimità avanzando inoltre pretese su Fiume basandosi sul principio etnico dell'auto-determinazione dei popoli. L’applicazione di tali diversi principi tolse peso alle richieste italiane. Fu respinta comunque anche la restrittiva richiesta del presidente americano Wilson che concedeva all’Italia metà Venezia Giulia e solo l’isola di Lissa in Dalmazia.
Il trattato di Versailles assegnò all’Italia della Dalmazia solamente le isole di Làgosta, Pelagosa (italiana di diritto dal 1860 ma “dimenticata” dalla marina piemontese), Cazza, alcuni scogli minori e la città di Zara, rivoluzionando in modo filoslavo gli accordi precedenti. Zara, capoluogo della Dalmazia e cristallinamente italiana ancora nel 1918 quando proclamò la propria annessione al Regno d'Italia (30 ottobre), non riuscì ad essere annessa alla Jugoslavia anche per il fatto che era l'unico Comune della Dalmazia che aveva visto la componente italiana crescere in valore assoluto. Zara, col suo territorio di 7x8 kmq, risultò però privata del suo naturale e vitale entroterra.
Il Trattato di Versailles e la mancata cessione della Dalmazia all'Italia causò lo sconforto degli Italiani dalmati che emigrarono a migliaia. L'esodo dei dalmati - che nessuno ricorda - ebbe una portata non indifferente: secondo lo storico Federzoni emigrarono in 50.000, secondo lo studioso Battara 35.000, secondo lo storico Talpo furono di difficile quantificazione ma comunque in numero di poco minore. Di questi esuli solo alcuni trovarono posto a Zara, mentre una cinquantina di famiglie delle isole curzolane (Lissa, Lesina, Curzola) si trasferirono a Lagosta. Altri esuli da Veglia ed Arbe scelsero le familiari Cherso o Lussino. Altri ancora si fermarono preferibilmente nelle città costiere dove giungevano come Ancona, Bari, (allora anche Pola e, dopo il gennaio del 1924, Fiume), Pescara e Venezia, nonché a Padova, Milano, Genova, Napoli, Torino e Roma. Altri ancora lasciarono anche l'Italia andandosene per il mondo (Canada ed Australia soprattutto). Si parlò in Italia di esuli dalmati in seguito alla così detta "vittoria mutilata", propagandisticamente ripresa da Mussolini a Milano dopo la fondazione dei Fasci. La italianità della Dalmazia era ormai legata quasi esclusivamente a Zara.
http://www.irredentismo.it/Pagine%20web/dalmaziastoria.htm