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De vita Caesareum

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Daniele Italico
view post Posted on 17/6/2008, 13:21




DE· VITA· CAESARVM
L'· ASSASSINIO· DI· GIVLIO· CESARE
Sulla morte di Giulio Cesare sono stati scritti vari testi, vi proponiamo qualche passo del De Vita Caesarum di Svetonio.

[...] Eppure molti evidenti prodigi preannunziarono a Cesare la sua prossima uccisione.
Pochi mesi prima i coloni inviati a Capua in forza della legge Giulia stavano demolendo, per costruire le loro case, alcuni sepolcreti antichissimi, e lo facevano con tanta maggior cura in quanto, stando attenti, riuscivano a trovare qualche vaso di antico lavoro. Ebbene, nel monumento in cui si diceva che fosse sepolto Capi, il fondatore di Capua, fu rinvenuta una lastra di bronzo su cui erano incise in caratteri greci queste parole: "Quando saranno scoperte le ossa di Capi un discendente di Iulo verrà assassinato per mano di suoi consanguinei, e subito dopo sarà vendicato con grandi stragi e lutti per l'Italia". Questo fatto, affinché nessuno creda che sia favoloso o inventato, è riferito da Cornelio Balbo, grande amico di Cesare. Nei giorni precedenti la sua morte venne a sapere che le mandrie di cavalli da lui consacrate al tempo del passaggio del Rubicone, e lasciate libere e senza custode, avevano smesso di pascolare e piangevano dirottamente. E l'aruspice Spurinna, mentre stava sacrificando, lo avvertì di guardarsi da un pericolo che gli si sarebbe presentato non oltre le idi di marzo. La vigilia di quelle stesse idi uno scricciolo, che è anche detto "uccellino regale", entrò nella Curia di Pompeo portando nel becco un ramoscello di alloro: immediatamente parecchi uccelli usciti da un boschetto vicino gli si avventarono addosso e lo uccisero in quello stesso luogo. E Cesare stesso poi, durante la notte che precedette l'alba del giorno in cui venne assassinato, sognò di sentirsi librare nell'etere, ora volando al disopra delle nubi e ora stringendo la mano a Giove. Sua moglie Calpurnia sognò che il tetto della loro casa crollava e che il marito le veniva assassinato in grembo. E subito le porte della camera da letto si spalancarono da sole, all'imporvviso. A causa di questi segni, e anche perché non si sentiva bene, stette a lungo dubbioso, pensando di rimanere a casa e di differire quanto si era proposto di decidere in Senato; finalmente, poiché Decimo Bruto lo esortava a non assentarsi dato che molti Senatori lo stavano già da tempo aspettando, verso l'ora quinta si mise in cammino; e quando un tale, venutogli incontro, gli porse un foglietto in cui si denunciava la congiura, lo unì alle carte che teneva nella sinistra, come se avesse voluto leggerlo di lì a poco. Finalmente, dopo avere sacrificato numerose vittime senza trovarne nessuna propizia, entrò nella Curia in dispregio alla religione, prendendo in giro Spurinna e tacciandolo di falso profeta perché le idi di marzo erano arrivate e non aveva sofferto alcun danno, sebbene questi gli rispondesse: "Sono arrivate, ma non sono ancora passate!". Quando si fu messo a sedere, i congiurati gli si fecero attorno come per rendergli onore, e immediatamente Cimbro Tillio, che si era assunto il compito di dare il segnale, gli si avvicinò come per chiedergli qualcosa, e poiché Cesare gli opponeva un rifiuto e col gesto mostrava di voler rinviare quella faccenda a un altro momento, lo afferrò per la toga su ambedue le spalle; e mentre egli gridava: "Ma questa è violenza!" uno dei due Casca lo colpì di fronte, ferendolo poco sotto la gola. Cesare, afferrato il braccio di Casca, lo trapassò con lo stilo, e tentò di balzare in piedi ma venne fermato da un'altra ferita. Quando si accorse che da ogni parte gli venivano addosso coi pugnali levati, si avvolse il capo nella toga, e con la sinistra ne tirò giù il lembo fino ai piedi per cadere più decorosamente, con anche la parte inferiore del corpo coperta. In questo atteggiamento venne trafitto da ventitré ferite, avendo emesso un solo gemito, senza articolare parola, dopo che gli era stato inferto il primo colpo. Qualcuno però ha tramandato che, rivolto a Marco Bruto mentre questi gli si avventava addosso, abbia esclamato: "Anche tu, figlio?". Giacque a terra esanime per qualche tempo, mentre tutti fuggivano, fino a quando tre schiavi, depostolo su una lettiga con un braccio penzoloni, lo riportarono a casa. Fra tante ferite, come riferisce il medico Antistio, non se ne trovò nemmeno una che fosse mortale, eccetto la seconda, ricevuta in pieno petto. I congiurati avevano in animo di gettare nel Tevere il corpo dell'ucciso, di mettere all'asta i suoi beni e di annullare i suoi atti, ma vi rinunciarono per timore del console Marco Antonio e di Lepido, comandante della cavalleria [...].

 
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