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colla battaglia di Agnadello e la sconfitta veneziana, cessò di fatto l'ultimo, serio tentativo espansionistico d'uno stato regionale italiano volto ad acquisire il predominio ad un livello quantomeno interregionale, spezzato appunto da una coalizione degli altri principi - papa Giulio II in testa -, supportati dalla Francia.
Giustissimo.
Mi sembra che, tuttavia, Venezia se la sia un po' cercata: Giulio II e Massimiliano I le avevano pur sempre proposto un'alleanza in funzione anti-Francese.
Effettivamente le condizioni non erano particolarmente favorevoli(cessione di territori chiave, come Romagna, Gorizia, Trieste, Fiume, porti Pugliesi), ma a pesare fu, credo, il legame fra una parte consistente della nobiltà veneziana e la corte di Francia e la linea diplomatica aggressiva, adatta(forse) cinquant'anni prima, non in un primo Cinquecento segnato dalla pericolosa concorrenza commerciale delle Fiandre e dalla difficoltà a gestire e proteggere una terraferma molto estesa(basti come esempio l'impreparazione dimostrata nel caso delle incursioni turche in Friuli, nel 1472-1499).
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Proprio allora le maggiori potenze europee si definirono come Stati nazionali, mentre noi andavamo incontro semmai ad un lungo periodo di ulteriore frammentazione
Banalmente: stato più grande e centralizzato = più soldi per pagare le truppe(ancora per buona parte mercenarie, sulla tradizione dei capitani di ventura. Non a caso il buon Machiavelli consigliava di dotarsi di un esercito nazionale, di un popolo in armi, molto più convinto e meno farfallone. E More ce l'aveva a morte con i mercenari svizzeri
). E le armi, sempre più evolute e costose.
Potresti spiegarmi cosa intendi con "ulteriore frammentazione"? A cosa pensi, in particolare?
La questione del rapporto con gli altri "stati" mi sembra se non altro problematico, per una questione di prospettiva: a quanto ricordo nel Rinascimento non vigeva una concezione "nazionale" degli Stati, come sarebbe poi accaduto con il Romanticismo, e le stesse casate regnanti erano tutte legate (da qui la turbolenza degli interregni). Allo stesso tempo, vigeva ancora il sistema feudale, ostile a ogni tentativo di centralizzazione.
Vero è che l'ultimo capitolo del "Principe" chiama in causa l'utopia (redatto proprio in quegli anni, fra l'altro
) di un'Italia unificata, e nei diari di Griselli (segretario dell'ambasciatore e umanista fiorentino G. Manetti) si fa riferimento a un tentativo Veneto-Fiorentino di estromettere il re "straniero" Alfonso d'Aragona da Napoli, MA non mi spingerei a interpretare queste fonti come sintomo di un preciso e generalizzato tentativo di egemonia in Italia.
Lo stesso sentimento di appartenenza non era rivoluto alla medesima realtà, comune a tutti gli staterelli della penisola. Penso, ad esempio, alla nobiltà Friulana, esclusa dal governo della dominante e rivolta a Vienna e Graz, a quella Siciliana, ansiosa di riguadagnare l'indipendenza da Napoli, ai guelfi milanesi che nel 1447-1450 si batterono strenuamente per garantire la libertà della Repubblica Ambrosiana.
I precedenti erano universalistici, fossero la Chiesa, l'Impero o le Lettere, nonostante il declino del latino possa essere interpretato come l'indizio di una contro-tendenza.
Presumo che l'espansione stessa si rivolgesse semplicemente alle aree più deboli, e fosse indirizzata non solo da motivi economico-militari (come il creare zone-cuscinetto), ma dal "potere contrattuale" che tali conquiste avrebbero garantito sul piano internazionale.