QUOTE
A mio avviso tale continuità non è cosi' evidente, nel rinascimento l'uomo si emancipa dall'asservimento alla religione, intesa come ostacolo psicologico a quell' auto-realizzazione creativa che si sarebbe manifestata in tutti i campi del sapere.
L'uomo medievale è prigioniero di una dimensione escatologica che lo riduce ad essere soggetto passivo. Esso vive eternamente alla periferia ponendo al centro Dio con la sua potenziale, implacabile e sempre minacciosa spada del giudizio. L'uomo del medioevo vive e pensa solo in funzione dell'aldilà, l'uomo rinascimentale no.
Proprio su questa affermazione non concordo. Spiego perché:
1.L'uomo rinascimentale non può identificarsi
tout court con l'Umanista, così come gli Umanisti non si possono ritenere un gruppo compatto e internamente omogeneo. Pensa soltanto alle differenze regionali, generazionali o personali che oppongono, ad esempio, un Manetti a un Erasmo da Rotterdam, a un Machiavelli, a un Bracciolini, a un Ficino o a un Cusano.
2.Il Medioevo dura un millennio, ritengo sia un errore ritenerlo omogeneo, ignorando le enormi differenze intercorse fra le diverse fasi e le diverse zone.
3.La religione "medievale" è ben lungi da costituire un blocco intellettuale. Anzi, è un motore ineludibile per la filosofia, le arti, la scienza, la guerra e ogni attività dell'intelletto umano. Il "lume naturale" della Ragione è esaltato dai Teologi in opposizione ai mistici, giacché teologia significa fiducia nella possibilità umana di raggiungere il divino con la Ragione, disciplinata e indirizzata dalle opere della filosofia classica, Platone e Aristotele in primis. Mi sembra utile ricordare, a questo proposito, come sia Lutero che Savonarola accusino la Scolastica proprio di empietà e arroganza, per questo loro tentativo.
4. L'ossessione per l'escatologia appartiene non a tutto il Medioevo, bensì alla fase tarda che segue la peste del '300 e avvia la serie irreversibile di mutamenti che costituiscono la nascita dell'Età Moderna. Questa sensibilità, unita all'angoscia per l'instabilità dei tempi, si ritrova vivissima nel Cinquecento, come testimoniano i fogli volanti della propaganda Luterana, soprattutto se messi in rapporto con i sermoni di Savonarola e con i testi di intellettuali come Machiavelli, Guicciardini, More e Erasmo da Rotterdam. Questi ultimi non batteranno sul tasto dell'escatologia (comunque data per scontata), ma manifestano parimenti quel connubio di pessimismo antropologico e fatalismo che si rispecchia non da ultimo nell'ossessione rinascimentale per l'ordine (opposto al caos imperante), per l'eroismo degli antichi e per il Fato. L'eroe antico si oppone al principe contemporaneo perché è in grado di essere l'autentico artefice del proprio destino, mentre i contemporanei - l'esempio è fornito da più di un protagonista delle Guerre d'Italia, sia esso Cesare Borgia, Ludovico il Moro, Ferrandino d'Aragona, Carlo VIII... - ne sono per buona parte dominati.
Poi la vivacità Rinascimentale non deriva da un abbandono della religione, bensì da una sua radicale riforma, che la stacca progressivamente da un clero cattolico sempre più politicizzato e nazionalizzato per ricondurla alla sfera della sensibilità individuale.