| Sentenza della Corte Costituzionale 74/1958
La Corte ha ravvisato l'opportunità della riunione delle tre cause per la loro decisione con un'unica sentenza, trattandosi sostanzialmente di una stessa questione di legittimità costituzionale.
La norma, della cui legittimità si discute, é infatti in tutte quella contenuta nell'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645, anche se nella ordinanza del Pretore di Como la incostituzionalità é prospettata solo con riferimento all'art. 21, primo comma, della Costituzione, mentre nelle due ordinanze del Pretore di Forlì si aggiunge che detta norma é in contrasto con la XII disposizione transitoria della Costituzione e si fa inoltre richiamo, seppure non esattamente, alla sentenza 16 gennaio 1957, n. 1, di questa Corte.
In tale sentenza, nella quale, contrariamente a quanto é affermato nell'ordinanza del Pretore di Forlì, fu dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, si osserva che: "Come risulta dal contesto stesso della legge 1952... l'apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da poter condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione".
Questa disposizione pone sì un divieto, ma ciò non deve indurre nell'errore di farla considerare quasi come un divieto penale, costretto, nella interpretazione, entro i limiti della sua formulazione espressa. Le norme penali sono venute successivamente, con le leggi del 1947 e del 1952, sia nella parte sanzionatoria sia in quella precettiva. La XII disposizione transitoria va pertanto interpretata per quella che é, cioè quale norma costituzionale che enuncia un principio o indirizzo generale, la cui portata non può stabilirsi se non nel quadro integrale delle esigenze politiche e sociali da cui fu ispirata.
Riconosciuta, in quel particolare momento storico, la necessità di impedire, nell'interesse del regime democratico che si andava ricostituendo, che si riorganizzasse in qualsiasi forma il partito fascista, era evidente che la tutela di una siffatta esigenza non potesse limitarsi a considerare soltanto gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione, del tutto avulsi da ogni loro antecedente causale; ma dovesse necessariamente riferirsi ad ogni comportamento che, pur non rivestendo i caratteri di un vero e proprio atto di riorganizzazione, fosse tuttavia tale da contenere in sé sufficiente idoneità a produrre gli atti stessi. Non é infatti concepibile che, mirando al fine di impedire la riorganizzazione, il legislatore costituente intendesse consentire atti che costituissero un apprezzabile pericolo del prodursi di un tale evento. Ciò risulta non soltanto dalla logica interpretazione dei motivi, e quindi dei limiti, della norma, ma dal testo medesimo della XII disposizione. Nel primo comma l'inciso "in qualsiasi forma" sta appunto a significare la preoccupazione del costituente di non irrigidire il precetto entro limiti formali e di mirare al di là degli atti di riorganizzazione strettamente intesi. Ciò si desume anche dal secondo comma della disposizione, il quale, conferendo al legislatore ordinario la potestà di fissare, per i capi responsabili del regime fascista, limitazioni temporanee al diritto di voto ed alla eleggibilità, mostrava di dare piena rilevanza ad una situazione che era appunto di mero pericolo. Ne deriva che il legislatore ordinario, nel dare con le sue norme concreta attuazione ai criteri espressi dalla norma costituzionale, era autorizzato a spingere i suoi divieti al di là degli atti veri e propri di riorganizzazione strettamente intesi, comprendendovi anche quelli idonei a creare un effettivo pericolo. Posto un tale principio é irrilevante che trattisi di delitto o di contravvenzione, perché, richiedendosi la obbiettività degli atti, può essere legittimamente oggetto di divieto penale ogni atto nel quale, sia pure in diverse proporzioni, quella idoneità si manifesti. Per le ipotesi previste dalla impugnata norma dell'art. 5 della legge del 1952, é noto che, trattandosi di fatti contravvenzionali, basta la volontarietà dell'azione, e - ben si intende - non dell'azione soltanto materialmente intesa, ma dell'azione in quanto costituisca manifestazione usuale del disciolto partito fascista. Sulla base dei limiti della volontarietà così intesa, non é escluso che anche siffatte minori manifestazioni possano in taluni casi essere tali da costituire, obbiettivamente, quel pericolo che, secondo lo spirito della norma costituzionale, si é inteso prevenire.
Chi esamini il testo dell'art. 5 della legge isolatamente dalle altre disposizioni, e si limiti a darne una interpretazione letterale, può essere indotto, come é accaduto alle autorità giudiziarie che hanno proposto la questione di legittimità costituzionale, a supporre che la norma denunziata preveda come fatto punibile qualunque parola o gesto, anche il più innocuo, che ricordi comunque il regime fascista e gli uomini che lo impersonarono ed esprima semplicemente il pensiero o il sentimento, eventualmente occasionale o transeunte, di un individuo, il quale indossi una camicia nera o intoni un canto o lanci un grido. Ma una simile interpretazione della norma non si può ritenere conforme alla intenzione del legislatore, il quale, dichiarando espressamente di voler impedire la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero, tutelata dall'art. 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si é detto prima, possono determinare il pericolo che si é voluto evitare.
La denominazione di "manifestazioni fasciste" adottata dalla legge del 1952 e l'uso dell'avverbio "pubblicamente" fanno chiaramente intendere che, seppure il fatto può essere commesso da una sola persona, esso deve trovare nel momento e nell'ambiente in cui é compiuto circostanze tali, da renderlo idoneo a provocare adesioni e consensi ed a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.
La ratio della norma non é concepibile altrimenti, nel sistema di una legge dichiaratamente diretta ad attuare la disposizione XII della Costituzione. Il legislatore ha compreso che la riorganizzazione del partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni pubbliche capaci di impressionare le folle; ed ha voluto colpire le manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il pericolo di tale ricostituzione.
Con questa interpretazione, coerente a quella che la Corte costituzionale ha dato nella ricordata sentenza all'art. 4 della stessa legge, la norma denunziata si inquadra perfettamente nel sistema delle sanzioni dirette a garantire il divieto posto dalla XII disposizione transitoria, né contravviene al principio dell'art. 21, primo comma, della Costituzione.
In tal senso la norma dell'art. 5 é stata interpretata anche dalla Corte di cassazione, che in una recente decisione (Sez. III, 16 gennaio 1958), in applicazione del principio fissato dalla Corte costituzionale, ha testualmente detto: "Si comprende che una volta dichiarata dalla Corte costituzionale la legittimità costituzionale di una legge, il giudice dovrà applicarla secondo lo spirito della Costituzione per una adeguata applicazione al caso concreto. Non crede questo Supremo Collegio che il criterio interpretativo di così ampia portata adottato dalla Corte costituzionale sia suscettibile di modificazioni e che esso non conservi la sua validità anche quando non trattasi di atti che integrino vera e propria apologia del fascismo ma si esauriscono in manifestazioni come il canto degli inni fascisti, poiché si ha ragione di ritenere anche che queste manifestazioni di carattere apologetico debbano essere sostenute, per ciò che concerne il rapporto di causalità fisica e psichica, dai due elementi della idoneità ed efficacia dei mezzi rispetto al pericolo della ricostituzione del partito fascista e che, quando questi requisiti sussistono, l'ipotesi di cui all'art. 5 legge citata é costituzionalmente legittima. Questo principio é fondato sulla stessa ratio legis, che é quella di evitare, attraverso l'apologia e le manifestazioni proprie del disciolto partito, il ritorno a qualsiasi forma di regime in contrasto con i principi e l'assetto dello Stato: esso non può non investire ogni singola disposizione di cui si compone la legge 20 giugno 1952".
Buona lettura giuridica.
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