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Garibaldi e i sardi.

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Van Hanegem
view post Posted on 29/4/2010, 19:02




Questo è un 3D dedicato a Garibaldi, alla Sardegna e ai sardi misconosciuti che furono suoi amici e lo affiancarono in battaglia.

Garibaldi in Sardegna

Giuseppe Garibaldi giunse per la prima volta a Caprera il 25 settembre 1849. Arrestato dopo la fuga da Roma si era deciso di mandarlo esule a Tunisi, ma il Bey non volle accoglierlo e la nave che lo trasportava, comandata dal maddalenino Francesco Millelire, ebbe ordine di sbarcarlo a La Maddalena in attesa di determinazioni. Gli era compagno il fido "Leggero", il maddalenino Giovanni Battista Culiolo, che lo aveva seguito in tutte le sue peregrinazioni e che aveva avuto la sorte di assisterlo nel momento di maggior sconforto: la morte di Anita nella pineta di Ravenna.

Ad accogliere gli esuli c'era a Cala Gavetta della Maddalena tutta la popolazione; Leggero rimetteva piede nel suo paese dopo tanti anni e tutti volevano conoscere l'uomo di cui era giunta nell'isola l'eco di tante gesta. Numerosi altri maddalenini gli erano stati vicini: Giacomo Fiorentino era stato il primo caduto della prima battaglia di Garibaldi in difesa della Repubblica di Rio Grande do Sul e Antonio Susini, eroe della battaglia del Salto, era stato da lui lasciato al comando della Legione Italiana di Montevideo.

Durante quel primo soggiorno Garibaldi volle conoscere i parenti dei suoi fidi ed in particolare i Susini ai quali rimarrà poi legato da indissolubili vincoli di amicizia. Si recò a trovarli nella casa di Barabò, nella frazione Moneta, Dove i Susini si apprestavano alla vendemmia. Partecipò con loro al lavoro dei campi, alle soste gioiose, ai pranzi alle partite di caccia e di pesca. Proprio in quei giorni fu protagonista di un ardimentoso intervento ancora oggi ricordato da una lapide posta sulla facciata della casetta di Barabò. Durante una battuta di pesca salvò da sicura morte tre uomini e un bambino rovesciatisi con la barca. Uno di questi tale Tarentini, era forse il padre dell'unico maddalenino che partecipò all'impresa dei mille.

A La Maddalena, dopo tante peripezie, Garibaldi conobbe finalmente una pausa di tranquillità in mezzo a gente nella quale poteva identificarsi: gente ardimentosa, fiera, ma semplice e schietta. Il suo primo soggiorno durò appena un mese, ma forse fu determinante per tutta la sua vita futura. Prima di lasciare l'isola e partire verso l'esilio di Tangeri, indirizzò al sindaco Nicolò Susini una lettera, oggi riprodotta nell'atrio del palazzo comunale della Maddalena, nella quale esprime gratitudine all'intera popolazione per l'accoglienza ricevuta.

Al ritorno dalla sua seconda avventura americana, deciso a mettere su casa e a dedicarsi alla famiglia, Garibaldi inizia il cabotaggio nel Mediterraneo. I frequenti viaggi lo riportano in Sardegna e a La Maddalena. Innamoratosi della terra sarda decise di acquistarvi un terreno e stabilirvisi definitivamente. Le sue attenzioni caddero dapprima sulla penisola di Capo Testa che contrattò con i fratelli Pes, detti "frati Pilosi", successivamente gli fu proposto l'acquisto dell'isola di Coluccia, nei pressi di Porto Pozzo, ma furono i Susini a dissuaderlo consigliandogli di stabilirsi nell'isola di Santo Stefano. Garibaldi, infine, prescelse Caprera e con l'aiuto dei suoi amici riuscì a comprare alcuni appezzamenti di terreno dapprima da tale Ferracciolo e poi dagli inglesi Collins.

Nel 1856, dopo aver riattato a Caprera la vecchia casa di un pastore ormai ridotta a pochi ruderi, aiutato nei lavori dal figlio Menotti, si reca a Londra col duplice scopo di acquistare un imbarcazione e convincere la fidanzata inglese Emma Roberts a venire a vivere con lui nell'isola. Ma Emma per l'opposizione dei figli, non potè seguirlo e Garibaldi fece ritorno col suo sospirato "cutter" che in ricordo del fallito fidanzamento volle battezzarlo con il nome di "Emma". Ritornato a Caprera iniziò i suoi commerci tra Nizza, Genova e la Sardegna trsportando anche materiali per la costruzione della sua casa. Trasportò per prima cosa una casa di legno smontata che installò accanto alla prima casetta e così, nell'estate del 1856 potè essere raggiunto dai figli accompagnati da Battistina Ravello che egli aveva assunto per accudirli. Ma il destino doveva ancor più legarlo alla sua isola. Il 7 gennaio 1857, al ritorno da un viaggio da Genova, l'"Emma", carica di calce, pozzolana, ferro e legnami, naufragò nei pressi di Caprera; fu una svolta decisiva nella sua vita, da quel momento egli decise di abbandonare il mare e di dedicarsi definitivamente all'agricoltura.

Inizialmente Garibaldi possedeva solo metà dell’isola di Caprera, l’altra metà era di un inglese, gia' citato, di nome Collins col quale talvolta litigava. Pare che il Signor Collins trascurasse i suoi maiali che sconfinavano nella terra dell’eroe dei due mondi danneggiando vigne e orti. Menotti, figlio di Giuseppe, uccise a fucilate un maiale provocando le rimostranze di Collins. Garibaldi gli propose di risolvere la questione con un duello….Collins si acquietò e divenne ottimo amico del barbuto vicino. Alla morte del Signor Collins, la vedova propose all’eroe di acquistare la sua metà dell’isola, ma Garibaldi non aveva il denaro per farlo. La faccenda fu risolta dal quotidiano Times di Londra, che aprì una sottoscrizione tra i numerosi ammiratori di Garibaldi, raccogliendo così la somma di denaro necessaria per l’acquisto della quota di Collins e per il rimpatrio in Inghilterra della vedova Collins

Ben presto Garibaldi creò a Caprera una piccola comunità di pastori, mezzadri, fattori e amici; la casa venne ingrandita e vennero via via aggiunte tutte le strutture necessarie: il forno, il mulino a vento, il magazzino per gli attrezzi, la stalla e la dispensa. Circondato dall'affetto dei maddalenini e dei pastori galluresi presso i quali si recava sovente, Garibaldi, da avventuriero qual'era stato, divenne finalmente uomo, padre di famiglia, patriarca di una comunità che il pensatore rivoluzionario russo Bakunin che si recò a visitare nel 1864, e definì "una vera repubblica democratica e sociale".

E a Caprera maturò il suo sogno di unità d'Italia con Roma Capitale. Gli avvenimenti successivi appartengono alla grande storia, ma pochi sanno che dopo lo storico incontro di Teano, dopo aver consegnato a Vittorio Emanuele un regno di nove milioni di abitanti, Garibaldi fece ritorno a Caprera con un sacco di sementi, tre cavalli e una balla di stoccafisso. Lo seguivano alcuni amici fedeli e per pagarsi le spese di viaggio gli fu necessario prendere a prestito 3.000 lire.

A Caprera, però, Garibaldi non fu solo agricoltore, come la storia ci ha ormai abituato a pensare. Colui che aveva posto le basi dell'Unità d'Italia, divenne"il vate di Caprera" e Caprera fu meta di migliaia di persone, di misteriosi emissari, di influenti personaggi. Andavano a trovarlo rappresentanti di tutti i movimenti indipendentisti o rivoluzionari europei, dai russi ai greci, agli ungheresi, ai polacchi agli spagnoli e per tutti egli aveva parole di esortazione, consigli e preziose direttive. Nel settembre del 1861, si reca a trovarlo il Ministro degli Stati Uniti per conoscere la sua decisione all'offerta fattagli dal presidente Lincoln di porsi al comando delle truppe confederate.

Il resto, come abbiamo detto, appartiene alla grande storia. Nel suo anelito verso Roma Garibaldi fu inseguito e ferito da armi italiane, più volte arrestato conobbe l'ingiuria del carcere. Quella che è invece è poco nota è la sua vita a Caprera, specie negli ultimi anni, quando le conseguenze della ferita di Aspromonte, l'artrite e la malaria contratta in SudAmerica ne minavano il corpo, ma non l'indomato spirito. Schivo di onori e di ricompense, visse gli ultimi anni della sua vita in assoluta povertà. Gli fu compagna devota e fedele Francesca Armosino, una popolana piemontese che gli aveva dato tre figli e che egli riuscì a sposare due anni prima della morte dopo avere ottenuto l'annullamento del matrimonio con la contessina Raimondi.

Il "Leone di Caprera" si spense alle 6 del pomeriggio del 2 giugno 1882 e nella Casa Bianca di Caprera l'orologio fu fermato ed i fogli di un grande calendario non furono più staccati: segnano ancora oggi l'ora e il giorno della morte dell'eroe. Il suo corpo, come egli aveva desiderato, non fu cremato: non potevano essere bruciate e disperse le spoglie dell'eroe. E di quelle spoglie i maddalenini si proclamarono subito gelosi custodi mutando lo stemma comunale in quello attuale che raffigura il "Leone di Caprera", che simboleggia Garibaldi, irto su uno scoglio che rappresenta l'isola a lui tanto cara. Da quello scoglio le spoglie dell'eroe, come dice il motto latino che contorna lo stemma araldico del comune di La Maddalena,vigilano e proteggono le coste d'Italia:

" HEROIS CINERES ORAS TUTORQUE LATINAS "

www.lamaddalena.it/garibaldi.htm

Edited by Peppero - 14/1/2013, 01:21
 
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eveline1
view post Posted on 29/4/2010, 19:26




Guarda non penso ad altro....da quando hai inserito la storia del cinquantaduenne Garibaldi che si era innamorato della ragazzetta incinta di un altro,e stava anche per sposarla,non so piu' cosa pensare.Mi sento disorientata.
(
 
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Van Hanegem
view post Posted on 29/4/2010, 19:48




Il cagliaritano eroe in Sud America

Angelo Pigurina con Garibaldi a Montevideo e poi in Italia

I l suo nome non figura tra quelli entrati nella leggenda del Risorgimento. Ed è persino sconosciuto nella sua terra natale, la Sardegna. Eppure il colonnello Angelo Pigurina, originario di Cagliari dove era nato nel 1815, fu un valoroso garibaldino della prima ora. Amico personale e ufficiale fidatissimo del Generale, gli fu a fianco in Sud America e poi in Italia. Trascorse una vita avventurosa tra campi di battaglia e scontri navali, tra guerre d'Indipendenza e rivoluzioni, ferito nella presa di Roma del 1850 ed emigrato definitivamente a Montevideo dove morì nel 1878. Aveva 63 anni. A Cagliari non c'è ricordo di questo eroico personaggio, degno di un romanzo di Alexander Dumas. La storia di Pigurina, pazientemente ricostruita da alcuni studiosi, emerge dall'epistolario di Garibaldi e dal suo Memoriale in lingua spagnola. E compare anche nel Diccionario Biogràfico de Los Italianos en El Uruguay, un volume con le biografie di mille emigrati. I cagliaritani citati sono solo due: il garibaldino Pigurina e Giovanni Battista Fà, medico generoso che si dedicò a curare gli emigrati e i poveri della periferia di Montevideo. Di Pigurina ne parlerà oggi al convegno organizzato a Villacidro sulle emigrazioni insulari del Mediterraneo in Sud America, la ricercatrice Rita Marras che sta setacciando i documenti dell'epoca per approfondire la biografia di un personaggio davvero eccezionale, ancorchè poco noto, se non addirittura ignorato. Oltre alle due pagine in italiano e spagnolo del Diccionario (pubblicato nel 1920 a Parigi) esiste un saggio di Salvatore Candido uscito sul Bollettino Bibliografico della Sardegna del 1992. Candido (scomparso due anni fa e a lungo addetto culturale dell'ambasciata italiana nella capitale argentina) ripercorre la vita del garibaldino cagliaritano attraverso l'Epistolario del Generale con 322 lettere, la maggior parte inedite, rintracciate negli archivi di Montevideo e di Buenos Aires. Altre notizie compaiono nelle Memorie del Generale e poi nel Memoriale scritto dallo stesso Pigurina e lasciato in eredità ai figli. Ne ebbe quattro: il maggiore lo chiamò Efisio, in onore del santo della sua città a cui rimase sempre legato.
Il nome di Pigurina - ricorda Candido - compare per la prima volta in una lettera del 1843 che Garibaldi inviò al ministro della Guerra del governo di Montevideo. Il Generale all'epoca era a capo della Escuadrilla nacional, la flottiglia da guerra impegnata nella difesa della capitale uruguayana. Nella lettera Garibaldi proponeva la promozione al grado di capitano del tenente di Marina Angelo Pigurina proponendo per lui il comando di una delle navi. Proposta evidentemente accolta visto che in una successiva lettera si parla del valoroso comportamento dell'ufficiale cagliaritano in uno scontro navale.
L'amicizia con Garibaldi risaliva a dieci anni prima, quando nel 1834 l'appena diciannovenne Pigurina si era arruolato nella Marina militare sarda e aveva partecipato al tentativo rivoluzionario di Genova e della Savoia. In quella circostanza fu catturato e finì in prigione. Liberato nel 1836 si trasferì a Montevideo e ritrovò Garibaldi che nel frattempo era diventato comandante della Marina uruguayana. Garibaldi lo volle con sè a bordo di una delle sue navi e poi gli offrì di comandare una delle compagnie della Legione italiana che nel 1846 andava costituendo con l'obiettivo di rientrare a combattere per l'unità del Regno sardo.
Anche Pigurina si preparò a tornare in patria. Prima di seguire le sue imprese in Italia, è interessante aprire una parentesi che mostra il lato umano del giovane ufficiale. L'episodio, citato nel Diccionario, racconta il matrimonio di Angelo con una tredicenne uruguayana, Maria Dadana, nel 1845 (da cui ebbe i quattro figli). Era in corso la Guerra Grande sul Rio della Plata e Pigurina ebbe da Garibaldi l'incarico di portare un messaggio al comandante dell'Esercito sull'altra riva del fiume. Il compito era arduo e rischioso, il ritorno incerto. Così Pigurina chiese al Generale di poter celebrare senza riti il matrimonio per non lasciare 'compromessa' la giovanissima compagna. Poco prima di imbarcarsi potè impalmare la sua amata con una semplice funzione officiata da un sacerdore sulla spiaggia. La spedizione andò a buon fine e Angelo tornò sano e salvo.
Siamo nel 1848 e Garibaldi parte per l'Italia con Pigurina e altri 65 legionari. Durante la prima guerra d'Indipendenza il giovane cagliaritano ebbe il comando di una compagnia composta interamente da studenti dell'Università di Pavia. «A me toccò l'onore di comandare questo battaglione di volontari tanto intelligenti che valorosi» scrisse Pigurina nel suo Memoriale. E Garibaldi conferma nelle Memorie l'eroico comportamento dei pavesi che assalirono gli austriaci con la baionetta durante lo scontro della Beccaccia nei pressi di Luino. Era il 14 agosto, quattro giorni dopo l'armistizio di Salasco che in seguito alla sconfitta di Custoza aveva posto fine alla prima fase della guerra. In quella occasione i volontari garibaldini, tra legionari e studenti, opposero una strenua resistenza agli austriaci imbaldanziti dalla fresca vittoria.
Nell'ottobre del 1848 Garibaldi decise che era giunto il momento di riprendere le armi. Così si diresse a Roma per difendere la città eterna che lo aveva chiamato in soccorso. Con lui c'era il fedelissimo Pigurina che il 3 giugno combattè sul bastione San Pancrazio per respingere l'attacco dei francesi. Durante i furibondi scontri il cagliaritano fu ferito gravemente da una fucilata. E quindi non potè seguire Garibaldi nella sua leggendaria fuga che portò alla dispersione di quattromila garibaldini e alla morte di Anita nelle valli di Comacchio.
Nel suo saggio Salvatore Candido riprende il memoriale dell'ufficiale sardo, di cui ebbe modo di leggerne una copia della traduzione in spagnolo. Con le ferite ancora aperte Pigurina riuscì a fuggire da Roma e a rifugiarsi «in Cagliari, il mio paese natìo». «Non rividi Garibaldi- scrisse l'ufficiale - se non tre mesi dopo quando giunse in Sardegna a bordo della nave Amalfitano (in realtà si chiamava Malfitano). Da lui ricevetti una lettera che diceva: amico Angelo, per disposizione del Governo Sardo sono condotto in esilio nell'isola di La Maddalena e poichè tu sei stato compagno nelle mie glorie e nei miei pericoli, spero che lo sia anche nell'esilio». Così Pigurina potè riabbracciare il Generale a bordo della nave e insieme alla moglie e ai figli lo accompagnò a La Maddalena. Ma qui avvenne un fatto inaspettato. Arrivato nell'arcipelago il comandante dell'isola gli impedì di sbarcare, ordinandogli di continuare per Genova. Così voleva il Governo di Torino. «Allora Garibaldi mi consigliò di tornare in America, nostra seconda Patria». «Non è lontano il giorno - gli disse - in cui la nostra Patria avrà bisogno di noi e, allora, mio buon amico torneremo a riunirci». Era il 1858. Pigurina a Montevideo assunse il comando della Legione italiana e rimase nell'Esercito ancora a lungo. Nel 1860 ricevette da Garibaldi un'ultima lettera con la quale lo invitava a raggiungerlo in Italia per una nuova campagna risorgimentale. Ma il sardo, a malincuore, gli rispose di esser invalido per la vecchia ferita e soprattutto di non poter lasciare la moglie e quattro figli piccoli senza sostentamento. Dismessa la divisa si dedicò all'allevamento e alla campagna, circondato dall'affetto dei familiari e dei tanti amici ex legionari. Morì in Uruguay senza più aver rivisto il Generale e la sua amata Sardegna.

http://giornaleonline.unionesarda.ilsole24...rticolo=2039011
 
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Daniele Italico
view post Posted on 30/4/2010, 09:25




Grazie per il post, anch'io non conoscevo l'esistenza di Angelo Pigurina. :irredentismo:
 
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Van Hanegem
view post Posted on 30/4/2010, 18:48




Gli uomini sardi di Garibaldi

I riflettori della storia sul maddalenino Cogliolo


Chi erano i sardi di fiducia nelle fila di Giuseppe Garibaldi? Se n’è parlato in un convegno organizzato a Piacenza dal gremio sardo “Enrico Tola”, il cui presidente Antonio Vargiu ha una grande passione per la storia: soprattutto per quella che ha visto protagonista la sua “isola nell’isola”, La Maddalena.
Il convegno, incentrato sulla figura di Garibaldi, ha consentito una rivalutazione di personaggi sardi che hanno occupato un posto nelle vicende del Risorgimento italiano. Interessanti particolari sono emersi su alcuni sardi che affiancarono l’Eroe dei due Mondi nelle sue imprese mondiali. «L’attualità del pensiero di Garibaldi è impressionante», sostiene Vargiu, «perché anticipò di fatto l’Unione europea e l’Onu». A questa idea di unità e alle conseguenti battaglie parteciparono molti maddalenini, «uno per tutti Giovanni Battista Cogliolo, che veniva chiamato “il Maggior leggero” per la prontezza e l’audacia con cui affrontava le imprese più temerarie e che divenne stretto collaboratore di Garibaldi».
Anche Giovanni Battista Cogliolo era un sardo emigrato nel mondo: da giovane servì la Marina sarda, combattè con Garibaldi in America e lo affiancò in tutte battaglie condotte in Italia. «Fu sempre vicino all’eroe, e ne fu anche il confortatore nei dolorosi momenti in cui Anita moriva», ha spiegato Antonio Vargiu nel convegno. «Rimase poi vicino a Garibaldi, esule a Caprera, fino alla morte». È sepolto al “Cimitero vecchio” della Maddalena (sorto nel 1790), tra le spoglie dei primi abitanti dell’isola e di quanti rappresentano le origini e le radici della comunità maddalenina.
Sono intervenuti lo storico Tito Orrù (docente nella facoltà di Scienze politiche dell’Università di Cagliar), Cesare Zilocchi segretario dell’Istituto di Storia del Risorgimento italiano (comitato di Piacenza), la scrittrice Anna Tola e lo stiudioso di storia risorgimentale Mauro Ghelli, direttore del Museo civico di Bergamo. Interessante il riferimento di Vargiu sull’arrivo di Garibaldi la prima volta alla Maddalena: «Ci arrivò quasi per caso, il 26 settembre del 1849, quando dopo la caduta della Repubblica Romana venne arrestato ed esiliato a Tunisi. Poiché gli venne impedito lo sbarco, la nave si fermò alla Maddalena. Qui venne fatto sbarcare, in attesa di disposizioni da Torino, assieme ai suoi compagni di ventura più fidati, tra i quali appunto Cogliolo. Garibaldi tornò alla Maddalena nel 1584, nella ricerca di un posto tranquillo dove fermarsi dopo tanto vagare, scegliendo Caprera come sua ultima dimora, dove morì nel 1882».
Ll’idea di unità d’Italia - è emerso dal convegno - era strettamente connessa a quella di indipendenza, che nasceva come specificazione del più universale principio di libertà dei popoli. Principio cui molti sardi hanno sempre aspirato.

www.cronacheisolane.it/alt.not.087.htm

Angelo Tarantini:

Un maddalenino tra i Mille di Garibaldi



Si hanno notizie documentate sulla presenza della famiglia Tarantini nell'arcipelago già dal 1811. All'epoca La Maddalena era una piccola comunità, indipendente dalla madrepatria corsa da più di quarant'anni e ormai inserita nel Regno di Sardegna; una delle sue attività economiche più importanti era, ovviamente la pesca. La storia era già entrata in rapporto con le acque dell'Arcipelago: Un giovane tenente d'artiglieria, Napoleone Bonaparte, aveva guidato un tentativo di conquista francese dell'isola, nel febbraio del 1793, fallito per la resistenza dei locali e per il coraggio in particolare di un nocchiere della Regia Marina Sarda, il maddalenino Domenico Millelire, al quale per tale azione fu concessa al prima medaglia d'oro al valor militare del piccolo Regno sabaudo.

Dalla fine del Settecento, poi, l'Arcipelago era divenuto sede della Regia Marina Sarda, riparatasi nelle sue acque per fuggire alle conquiste napoleoniche. Infine, tra il 1803 e il 1804, L'ammiraglio della Marina Britannica Horatio Nelson soggiorno nella rada prospiciente la costa maddalenina, da dove, poteva meglio seguire gli spostamenti dei nemici francesi.

In questo quadro storico, a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento, la famiglia Tarantini, di origine procidana, si mosse, come molte altre famiglie di pescatori e corallari provenienti dall'area campana, alla ricerca di migliori condizioni lavorative lungo le coste sardo-corse. Dai documenti in possesso dell'archivio parrocchiale di La Maddalena si trova come capostipite un certo Angelo Tarantini, sposato a Maria Teresa Jannò (Jannone) e dal matrimonio nacquero cinque figli: Clara, nata attorno al 1793, Salvatore, nato nel 1795, Antonio e Giuseppe, nati nel 1798 e Maria nata presumibilmente all'inizio del nuovo secolo.

Mentre per la prima figlia si trovano precisi riferimenti sulla provenienza dall'isola di Procida, per gli altri è attestata la provenienza dalla città corsa di Bastia. si può quindi ritenere che tutta la famiglia Tarantini, lasciata Procida, si sia diretta da prima a Bastia, dove rimase per lo meno una decina d'anni e solo in un secondo momento si stabilì a La Maddalena, nel primo decennio dell'Ottocento.

Il nostro Angelo Tarantini nacque a La Maddalena, in regione Carone n. 5 in località Moneta, il 13 dicembre 1836 da Giuseppe e Maria Scotto, Il padre Giuseppe di professione era marittimo, imbarcato su un bovo, tipica imbarcazione da traffico molto comune in Liguria, impegnato nei traffici nel Mediterraneo, è probabile che egli visse a lungo lontano dall'arcipelago come testimonia il fatto che Angelo, suo unico figlio, nacque quando lui aveva già trentotto anni, in un periodo nel quale ogni famiglia, comprese quelle dei fratelli e delle sorelle, era composta da numerosi figli.

I Tarantini, sicuramente, erano tutti legati ad attività marittime e il loro livello economico era basso: ciò è confermato dal fatto che "nessuno dei Tarantini risulta proprietario, al contrario degli altri isolani, né di casa né di vigna (1). Angelo Tarantini, giovanissimo, rimase orfano di padre, infatti il padre Giuseppe morì all'età di soli quarantacinque anni nel 1843. Il registro parrocchiale, a conferma dello stato di indigenza della famiglia, riporta nell'atto di morte del padre la seguente frase: testamentum non fecit quia pauper".

E' importante rilevare un fatto: sempre dai registri parrocchiali appare che, come le famiglie Tarantini improvvisamente apparvero nella nostra isola, così altrettanto improvvisamente scomparvero, in particolare dalla metà dell'ottocento, dopo la morte di Giuseppe (1843), Antonio (1853) e Salvatore (1854), non risultano più decessi e nascite della nuova generazione, tanto da farne supporre un progressivo distacco dall'isola, quanto meno nella discendenza maschile.

Nella loro permanenza a La Maddalena vi è solo un episodio che lega queste famiglie alla figura del Generale Garibaldi. Siamo nel 1849, nel periodo della breve presenza coatta di Garibaldi nell'arcipelago, dopo la caduta della Repubblica Romana, la fuga verso Venezia, la morte di Anita e l'arresto che egli subì a Chiavari il 6 settembre dello stesso anno.

Era il 12 ottobre 1949 e Garibaldi si trovava nella vigna della famiglia maddalenina Susini Millelire, con i quali era legato da consolidati rapporti di amicizia. Si possono seguire i fatti, dalla narrazione del dr. Angelo Falconi, pubblicata in un suo opuscolo. "Adunque, tutti gli uomini della comitiva, mentre le donne accudivano nella casetta ai preparativi del pranzo, con a capo il Generale, si recarono all'Isuleddu, che sta di contro a Caprera dalla parte di tramontana, per la partita di pesca prestabilita. In quei paraggi il vento infuriava e il mare erasi fatto grosso; una barca di pescatori, con a bordo il patrono Antonio Tarantini, un figlioletto di questo (Domenico (2) che vive ed è in Maddalena pensionato) e altri due uomini, non potendo reggere il fortunale, si capovolse. E fu tutt'uno vedere Garibaldi tuffarsi in mare e condurre alla spiaggia i tre uomini; ma avendogli detto che il ragazzo, avvolto nella vela, era calato in fondo, si rituffò, stette alcuni secondi sott'acqua e ricomparve con in braccia il piccolo Tarantini quasi svenuto...." All'epoca Angelo Tarantini aveva tredici anni e non è improbabile che il ragazzo rimase colpito da quel gesto di coraggio e che gli avvenimenti successivi della sua vita possano essere meglio compresi proprio alla luce di questo fatto.

Da quel 1849 passarono molti anni: Garibaldi visse un secondo esilio americano, lavorò in Nord America, negli Stati Uniti, viaggiò nell'Estremo Oriente e tornò in Europa nel 1854.

L'anno dopo, con l'aiuto dei tanti amici rimastigli nell'arcipelago (in particolare Pietro Susini), riuscì ad acquistare numerosi terreni nell'isola di Caprera. Fu per lui un nuovo inizio, con la costruzione di una casa e di un'attività agricola. Nel 1859 combatté, guidando i Cacciatori delle Alpi, nella Seconda Guerra di Indipendenza e nel 1860 iniziò i preparativi di quella che fu la più grande impresa della sua vita, La Spedizione dei Mille, partito da quarto, presso Genova, il 5 maggio 1860.

Agli inizi di maggio del 1860, all'età di ventiquattro anni, Angelo Tarantini si trova proprio a Quarto, e si unirà, unico maddalenino insieme ad altri due sardi Efisio Gramignano e Francesco Grandi fra i 1089 che accompagneranno il Generale Garibaldi nella spedizione contro il regno borbonico.

Per quanto riguarda le ragioni della presenza di Tarantini a Quarto in quel momento si possono fare principalmente due supposizioni: la prima che fosse stato arruolato, come gran parte dei giovani maddalenini di quel periodo, nella Regia Marina Sarda e pertanto si trovasse su qualche nave di base a Genova; la seconda ipotesi può essere che lui svolgesse: la seconda ipotesi può essere che lui svolgesse, come il padre il mestiere di marittimo e che quindi si trovasse all'epoca nei pressi di quarto per motivi di lavoro.

A tale proposito va anche considerato che suo padre aveva lavorato su un bovo, naviglio assai diffuso i , e che forse, durante gli anni della sua attività, possa aver intessuto relazioni e conoscenze, che furono utili al giovane Angelo, ormai capofamiglia, quando venne il momento di trovare un lavoro.

In entrambi i casi è comunque impossibile spiegare perché il Tarantini abbia deciso di aderire alla spedizione dei Mille, ne azzardare una interpretazione dei sui ideali o delle sue aspirazioni patriottiche; in definitiva l'unico episodio che lega le famiglie Tarantini di La Maddalena con Garibaldi e il già citato del 1849 del piccolo Domenico.

Dopo lo sbarco a Marsala dell'11 maggio, la documentazione non da grandi notizie di Tarantini nella marcia verso Palermo, e poi verso Milazzo: si sa che entrò a far parte del Servizio Sanitario dei Mille (ruolo probabilmente assegnatoli al momento in cui il corpo iniziò ad operare in terraferma), servizio costituitosi fin dall'inizio grazie all'energia dell'inesauribile Jessie White Mario e di Agostino Bertani, al quale venne dato l'incarico di Sottocommissario di guerra.

Nello specifico, Tarantini venne inquadrato nell'Ambulanza Generale per l'esercito di Sicilia, dipendente allora dal Commissario di guerra Michele Garini.

La conferma di ciò avviene da limitati documenti che si trovano presso il fondo dell'Istituto per la Storia del Risorgimento di Roma. Non si conoscono le ragioni di questa sistemazione, ma certamente essa farebbe supporre una mancanza di precedenti esperienze militari del Tarantini o una sua adesione ad anteriori campagne belliche.

Sempre tra i documenti del sopra citato Istituto, si trovano altri riferimenti al nostro personaggio: un buono datato Palermo, per il tenente d'ambulanza Angelo Tarantini", relativo al ritiro di un paio di pantaloni e un paio di scarpe; una lista, datata Messina 27 agosto 1860, voluta da Garibaldi stesso al fine di prevenire l'abuso di gradi militari da parte delle truppe, che riporta l'elenco completo degli ufficiali e dei sottufficiali invitati ad iscriversi (nell'elenco figura Angelo Tarantini, che riporta solo il suo nome senza il grado, con una calligrafia infantile, fatto che denoterebbe una modesta preparazione culturale).

L'ultima notizia di Tarantini durante la spedizione dei Mille, si riferisce ad una nota, datata Napoli 21 settembre, inviata dal "Luogotenente Tarantini" al commissario Garini per segnalare quattro disertori. Da ciò si possono desumere due fatti: Intanto che partecipò alla spedizione almeno fino a Napoli, inoltre che non si può affermare con certezza che si sia trovato al Volturno, nella battaglia del 1° ottobre, decisiva per le sorti dell'intera spedizione; la qualifica di luogotenente farebbe poi pensare ad un innalzamento di grado, rispetto a quello di tenente del maggio dello stesso anno.

Germano Bevilacqua (3) asserisce che Angelo Tarantini, terminata l'impresa dei Mille, sia stato uno degli ufficiali che nel 1861 vennero ammessi nei quadri del Regio Esercito (complessivamente furono trecentoventi, dei quali una cinquantina tornò presto a casa); la sua permanenza durò molto poco, infatti il 20 maggio 1862 Tarantini, Con Missori, Nullo, Fruscianti, Miceli ed altri, si dimise dall'esercito regolare.

A questo punto è plausibile pensare che il nostro uomo sia tornato in sardegna e abia definitivamente abbandonato l'esperienza non solo garibaldina, ma anche risorgimentale, e abbia lasciato una vita militare che, dai dati in possesso, sembra essersi racchiusa in pochi anni. Insomma, un periodo di grande fervore patriottico, culminato nella partecipazione alla più importante e decisiva impresa militare dell'intero Risorgimento italiano, compreso fra due lunghi periodi di una vita quasi sconosciuta e dove l'uomo Tarantini sembra essere lontano dalle eseperienze risorgimentali.

Ritornato presumibilmente nell'isola, nel 1864 sposò a Thiesi in provincia di Sassari Antonia Fadda nata nella città logudorese nel 1846 e dal matrimonio nacquero dodici figli (tra il 1865 e 1887), di cui tre maschi. Il Tarantini visse lunghi anni a Thiesi esercitando la professione di negoziante. A un certo punto, per motivi assolutamente sconosciuti, decise di tornare nell'isola dove era nato.

Una scelta che, ancora, non pare spiegabile: come detto in precedenza, i Tarantini lasciarono La Maddalena, attorno alla metà dell'Ottocento, quindi non fu il richiamo familiare quello che spinse Angelo a tornare nel luogo dove era nato. Inoltre la sua vita si era svolta a Thiesi, dove erano nati tutti i suoi figli.

Dopo alcuni anni vissuti probabilmente nella casa dove era nato, questo garibaldino schivo, il solo maddalenino che fu col Generale da Quarto a Marsala, seppure in un ruolo modesto, conclusa la sua breve esperienza di patriota risorgimentale, visse una vita appartata e tranquilla, morendo a Moneta, frazione di La Maddalena il 1° agosto 1905. Nel certificato di morte , conservato nell'anagrafe del Comune di La Maddalena, si può leggere la residenza in "regione Moneta" e il fatto che fosse "Pensionato dei Mille di Marsala".

L'amministrazione comunale, allora Sindaco era Luigi Alibertini (1905/1908), in memoria del nostro garibaldino fece apporre sulla sua tomba una lapide, tuttora presente nel Civico Cimitero, comn la seguente dicitura: Tarantini Angelo /ei Mille / il Comune / 1836 - 1905.



Note:

(1) Vedi Trova Assunta, Zichi Giuseppe, in Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno. Edit. Carocci, Firenze 2004, nota a pag. 384. I tre Tarantini risultavano nullatenenti nell'elenco aventi diritto alla divisione dei terreni demaniali, che avvenne nel 1843.

(2) Egli nacque a La Maddalena il 24 maggio 1846. Secondo Giovanni Petella, Da Portovenere alle isole Maddalena e Caprera - Episodi della vita di Garibaldi, Ed, Gagliardi, Como 1911, nota pag. 41, Domenico Tarantini visse, da pensionato, e morì a Santa Teresa di Gallura.

(3) Germano Bevilacqua, i Mille di Marsala.

A Cura di Antonello Tedde e Gianluca Moro

www.cronacheisolane.it/alt.sto.40.htm
 
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Van Hanegem
view post Posted on 12/5/2010, 18:08




Maggior Leggero

(Giovanni Battista Culiolo)

"La sua libera educazione infantile - scrive il Beseghi - avvenuta senza freni e senza restrizioni fra scogli e dirupi, scalzo e succintamente vestito, alla caccia di gabbiani, di falchi e di aquile, gli avevano creato lo spirito indomito del guerriero amante della libertà, temprato a tutti gli ardimenti".

Nacque a La Maddalena il 17 settembre 1813 da Silvestro e Rosa Fienga.

Non aveva compiuto gli 11 anni quando si arruolò in Marina; per la sua straordinaria agilità e sveltezza gli fu dato il nome di "leggero". Dopo 15 anni di servizio nella regia armata, ottenne il grado di marinaio di 1° classe. Il 3 marzo 1839, avendo la sua nave fatto scalo a Montevideo, Leggero disertò per seguire Garibaldi, di cui aveva inteso le gesta. Egli aveva anche appreso sulla nave gli ideali e i programmi della Giovine Italia; si rivolse perciò alla locale sezione comandata da Giovan Battista Cuneo, che lo arruolò nella 1° Legione Italiana. Insieme con Antonio Susini, fu imbarcato sulla piccola flotta di Garibaldi e si batté da prode in tutte le battaglie che questa, sempre impari di forze, dovette sostenere. Quando finivano le munizioni, Leggero gettava nei cannoni tutta la ferraglia che riusciva a racimolare e sparava sventagliate di ferri vecchi sui nemici.

Tornato in Italia partecipò con Garibaldi a tutte le campagne col gradi di capitano: essi misero in atto, per la prima volta in Europa, la tattica della guerriglia imparata e sperimentata in America, che aveva il potere di gettare scompiglio e panico tra le file austriache abituate all'ordine classico della strategia militare del tempo. A Morazzone si videro 1.300 garibaldini scatenati mettere in fuga 18.000 austriaci!

Leggero seguì il generale in Svizzera, poi a Nizza e a Genova: qui venne arrestato e condannato a morte per la sua diserzione dalla nave Regina a Montevideo. Ma poco dopo, per interessamento di Garibaldi lo ritroviamo col grado di maggiore alle sue dirette dipendenze.

Il 27 aprile 1849 il Maggior Leggero entra in Roma alla testa dell'avanguardia garibaldina. Nella battaglia fu un leone: i suoi uomini rimasero galvanizzati dalla sua agilità, dalla fantasia dei suoi attacchi, dall'irruenza con cui affrontava più nemici per volta in corpo a corpo furibondi; e quindi la compagnia fu tra quelle che maggiormente contribuirono alla fuga delle truppe francesi verso Civitavecchia.

La Repubblica Romana parve per un breve tratto essere salva. Ma Austria, Spagna e Regno di Napoli le si coalizzano contro: Garibaldi comandò una spedizione contro Napoli e il Maggior Leggero fu alla testa della 4° Centuria. Poi venne la battaglia decisiva di Roma, il 3 giugno, con il famoso episodio di Villa Corsini o Casino dei Quattro Venti, in cui costrinse i francesi alla fuga.

Ma la posizione conquistata non è sostenibile per un pugno di uomini contro un esercito: il Colonnello Masina cade morto; nel cannoneggiamento terribile, viene ferito Goffredo Mameli, l'altro eroico sardo. Leggero resiste fino a notte inoltrata, quando deve ritirarsi ferito a sua volta al corpo, alla testa, a una mano. Ma raggiunse Garibaldi e con lui continuò a combattere per la difesa della porta di S. Pancrazio, finché cadde nuovamente ferito ad un piede. Seguì la necessaria ritirata dei garibaldini e il Maggior Leggero fu creduto morto. Invece si nascose, così ridotto, e soltanto il 29 giugno, cioè dopo 15 giorni, si presentò mezzo morto all'ospedale romano. Lo ricucirono alla meglio; ma il 14 luglio fuggì e si nascose di nuovo, perché il suo unico pensiero era quello di cercare di raggiungere il suo Generale. Gli ci vollero altri 14 giorni per essere in grado di stare in piedi, ma appena ciò fu possibile, partì a cavallo sulle tracce dell'armata garibaldina in fuga, seguendo la pista di uomini sfiniti, sfuggendo all'inseguimento delle pattuglie nemiche senza soste, giorno e notte.

Ritrovò Garibaldi, con Anità già morente, il 1° agosto e ne seguì tutto il calvario fino alla maledetta pineta di Ravenna.: lì erano soli: l'"Eroe dei Due Mondi" nel momento più tragico della sua vita ebbe vicino soltanto il Maggior Leggero, che lo guidò tra boschi e acquitrini fino alla fattoria dei Raviglia, pianse con lui quando Anita spirò alle 19,45 del 4 agosto 1849. Poi, con infinita dolcezza lo sollevò da quel corpo dal quale non pareva non volersi staccare più, e dicendogli piano "Per i tuoi figli... per l'Italia", lo trascinò via, nella fuga. Dicono i testimoni che Garibaldi era affranto, spento, sfinito e che, "appoggiato al silenzioso e costante camerata delle sue battaglie, s'avviò nel buio affidandosi alla fedeltà delle sue guide".

Quando, dopo la storica fuga attraverso l'Italia, Garibaldi e Leggero furono arrestati a Chiavari, ebbe inizio per entrambi l'esilio amaro.



Siamo nell'altro secolo, attorno al 1860. A La Maddalena si sparse la voce che il postale in arrivo dal continente trasportava anche dei colerosi. Il Medico sanitario non ordinò la quarantena prevista suscitando le proteste degli abitanti. Il maggior Leggero indossata la sciabola corse sulla piazza minacciando di staccare la testa con una sciabolata l'imbelle sanitario. Questi, impaurito, si rifugiò in casa sprangando le porte e gridando aiuto. E ce ne volle per placare l'ira di Leggero, mutilato ad un braccio e con una mano che mancava di ben quattro dita e che sapeva far tremare ancora i più giovani di lui.

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