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Il motivo della differenza abnorme tra i tre totalitarismi
Ho solo una piccola obiezione da fare: siamo proprio sicuri che il Fascismo fosse un totalitarismo?
Innanzi tutto è opportuno trovare un accordo in merito al significato da attribuire al termine “Totalitarismo”: proporrei di attenersi alle definizioni coniate prima del 1939, giacché le successive potrebbero essere influenzate dall’esito del II conflitto Mondiale prima e dalla dissoluzione dell’URSS poi, nonché per prevenire gli anacronismi derivanti dalla retroapplicazione di termini e concetti emersi ben dopo lo svolgersi dei fatti.
Stando alla voce “Fascismo” dell’Enciclopedia Italiana, “Stato Totalitario” dovrebbe essere quello sottoposto al governo di un solo Partito, capace di compenetrare ogni aspetto della vita Politica, come una sorta di appercezione trascendentale Kantiana.
Il che non ci dice nulla né in merito ai contenuti del Partito né al rapporto fra i tre poteri di Montesquieu.
In effetti non c’è nessun motivo per negare a priori la possibilità di un Totalitarismo Liberale, né per affermare, allo stesso modo, la necessità che l’ideologia Fascista – almeno fino al contributo dell’Idealismo Gentiliano - trovi la sua migliore applicazione in un Regime Totalitario; è piuttosto necessario che una delle due prospettive monopolizzi la politica, precludendo all’altra ogni possibilità di espressione. Seguendo questo ragionamento, dovremmo dedurre che uno Stato Fascista che neghi il Liberalismo o uno Stato Liberale che neghi il Fascismo siano, allo stesso modo, dei potenziali Totalitarismi. Potenziali, giacché dovremmo anche chiederci se, di fatto, tale modello di Stato sia realizzabile sul piano pratico.
Poi dovremmo rivolgerci al ruolo di Gentile, come teorico del II Fascismo (per il I citerei, piuttosto, Labriola), esegeta efficacissimo di Mazzini (cfr. "I profeti del Risorgimento Italiano"), e come ministro della Pubblica Istruzione, come autore concetto di “Stato Etico” e della “più Fascista” delle Riforme.
Cos’è lo Stato Etico?
In estrema sintesi – e dovendo purtroppo dare per scontato il complesso Sistema Filosofico soggiacente – corrisponde a una Gestalt alternativa al Liberalismo, che pone a fulcro e fondamento non più l’individuo, bensì l’orizzonte superiore dello Stato, depositario dell’Etica. Risolvere l’Etica nello Stato non significa risolverla nell’auto-referenziale Potere, né opporre una stantia Vox Dei, incompatibile con le Democrazie post-1789, a un’arbitraria Vox Populi né, soprattutto, porre in conflitto Diritto Naturale e Diritto Positivo, come invece è accaduto nel II Dopoguerra; significa invece superare tali distinzioni, per ricondurre l’intero svolgersi della Storia al dispiegarsi dell’Hegeliano Spirito Assoluto. In parole povere: l’Etica coincide con l’Attualità Spirituale, ovvero con la manifestazione concreta dello Spirito. Essa è realizzata mediante il superamento delle istanze particolari che, in sé, non sono nulla, semplici inganni del punto di vista empirico. Tali istanze particolari sono, nel caso specifico, gli individui, che si realizzano nell’unità superiore e organica dello Stato. Il quale non è l’origine dell’Etica e il garante del Popolo, perché viene a coincidere interamente con essi. Non un limite estrinseco, bensì un’universalizzazione, un completamento e una realizzazione del singolo.
Perché ci interessa? Perché tale fu il modello e il compimento teorico del II Fascismo, quello ormai svincolatosi dall’anarcoide matrice Diciannovista e deciso a “governare totalitariamente”1 la Nazione. Quel “Totalitariamente” non indica una forma di governo - non ha nulla a che fare né con la coercizione né con il Prussiano Stato di Polizia – bensì un punto di vista, un orizzonte Filosofico distillato nel motto, che insieme è anche un aforisma: “Tutto nello Stato, nulla al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato”. L’avversione al sistema Liberale è così coronata da un affinamento teorico, che fa del Fascismo un fenomeno valido a livello universale e potenzialmente esportabile.
Una precisazione: il rifiuto del Liberalismo non coincide con il rifiuto della Democrazia, né tantomeno con una prassi liberticida: nel primo caso si dovrebbe ricercare la legittimazione dello Stato al di fuori del Popolo, ad esempio nella religione, nel secondo si dovrebbe sovrapporre Libertà con Anarchia, azione guidata dalla Ragione (incarnata dall’Etica Statale) con azione guidata dal personale arbitrio.
Passiamo al Gentile Ministro della Pubblica Istruzione. Che la sua sia stata o meno la “più Fascista” delle Riforme è attualmente centro di una viva querelle, che non potrò qui delineare.
Ritengo siano sufficienti due constatazioni, condotte sulla scorta di Charnitzkj e del suo
Fascismo e scuola. Primo: nel 1923 il neonato PNF non aveva ancora maturato una linea educativa, come invece aveva fatto il sodalizio Gentile – Croce. Secondo: questi ultimi avevano già provato ad applicare la suddetta linea educativa nel 1921, con il Ministero Croce, senza risultato. Ergo: il progetto della Riforma era precedente e indipendente dal PNF. Sembra così di trovarsi di fronte all’incontro e alla collaborazione di due interessi diversi e compatibili: un programma in cerca di un supporto politico e un partito politico in cerca di un programma. Pensiero senza azione e azione senza pensiero, parafrasando il Filosofo.
Da questo punto di vista, la questione del livello di “Fascismo” della Riforma perde molta della sua pregnanza, tanto più che ogni ritocco fu detto “più Fascista” del precedente.
Giustamente avete citato la Monarchia: una delle principali differenze fra il Fascismo e altri regimi oggi ritenuti “totalitari” risiede proprio nella diversa forma di governo. La Germania ove nacque e si sviluppò il Nazismo era divenuta una repubblica nel 1918, in seguito alla sconfitta militare. La Russia dei Soviet aveva trucidato la famiglia dello Zar nel 1918, pochi mesi dopo lo scoppio della “Rivoluzione d’Ottobre”. L’Italia, forte di quella che, pur mutilata, era sempre una vittoria, rimase per la gran parte fedele al “Re soldato”, nonostante alcuni episodi di insubordinazione e l’esistenza di un marginale Partito Repubblicano.
La Germania – per non parlare della Russia – poté sopprimere la divisione dei poteri, riunendo nella figura del Fürer sia il Legislativo che l’Esecutivo, nonché il controllo dell’Esercito. L’Italia, al contrario, mantenne sempre una rigida dicotomia, nel rispetto dello Statuto Albertino: Mussolini, Presidente del Consiglio prima che Duce, fu nominato e destituito dal monarca, il quale rimase l’unico destinatario della fedeltà delle forze armate. Allo stesso modo, la Marcia Reale conservò il ruolo di inno ufficiale del Regno, cui il Fascista Giovinezza poté essere affiancato, ma non sostituito.
Concludendo, secondo me il Regime Fascista, nonostante le intenzioni dichiarate, non fu mai un Totalitarismo, per le seguenti ragioni:
1.Adattamento e conseguente eterogeneità. Se il PNF riuscì a ottenere una solida maggioranza fu proprio in virtù dell’assorbimento di forze politiche esistenti, come il Liberalismo e il Nazionalismo. Non si trattò, quindi, dell’imposizione dall’alto di un’ideologia, quanto piuttosto dell’incontro fra i tentativi di applicare tale ideologia – tutt’altro che compatta – e l’astrazione dall’esistente.
2.Frammentazione. Un totalitarismo presuppone l’esistenza di un Popolo. La creazione del Popolo Italiano, ancora chimerico nonostante i sessant’anni trascorsi dall’Unità, costituiva il fine del progetto educativo Fascista. Ergo, più che un dato di fatto, il totalitarismo sarebbe stato una missione da perseguire.
3.Delimitazioni estrinseche. La presenza di Monarchia e Chiesa rappresentava il limite invalicabile di giurisdizione del Partito, e di conseguenza la necessità di scendere a nuovi compromessi.
4.Maniera. Un problema metodologico, consistente nell’impossibilità di valutare l’effettivo livello di convinzione dei singoli cittadini, al di là delle manifestazioni esteriori, ovvero della Maniera.
In merito a Rivoluzione e Reazione:
Anche in questo caso la dicotomia mi sembra troppo netta.
Lasciando sullo sfondo la già appurata eterogeneità e tutto il brillante impianto esteriore di adunate, divise, gagliardetti, motti e discorsi al balcone, mi sembra piuttosto di trovarmi davanti a un efficace piano di riforme, volto a costruire uno dei primi Welfare State d’Europa.
Un concetto rivoluzionario, se confrontato con la precedente situazione Italiana, realizzato mediante l’istituzione di organismi ad hoc – come ONMI, INFPS, OND -, all’assorbimento e al miglioramento dell’esistente, a campagne di lavori pubblici e di sensibilizzazione, quali bonifiche, edilizia scolastica e lotta a malattie molto diffuse, come malaria e tubercolosi.
Molte missioni furono ereditate dal passato ma svolte con mezzi e strategie originali: basti pensare all’educazione, o al difficile rapporto con il Papato, incrinatosi ai tempi della Breccia di Porta Pia e risolto, dal punto di vista puramente ufficiale, con il Concordato del 1929.
Nuova fu la colossale organizzazione dell’ONB, dotata del precedente solo parziale degli enti cattolici, nuovi furono i media impiegati per raggiungere ogni strato della popolazione, primi fra tutti la radio – permessa dallo sviluppo e dall’accorto sfruttamento della tecnologia – e il cinema, che grande influsso ebbe sulle stesse forme della Maniera Fascista.
Nuovo fu anche il ruolo attribuito alla famiglia e alla procreazione, inscritti nel più ampio contesto della potenza della Nazione e del miglioramento della stirpe, nuovi furono le esenzioni, gli assegni famigliari, i prestiti matrimoniali e i tardi premi di natalità, mentre la struttura fu lasciata praticamente invariata, almeno fino alla promulgazione del nuovo Codice di famiglia, datato 1940.
Per quanto riguarda i rapporti sociali, la questione è più complessa, coinvolgendo l’Economia: la teoria corporativa, escogitata dal De Ambris della Carta del Carnaro, fu applicata solo in parte, nonostante gli sforzi di Bottai, mentre il sistema di produzione rimase sostanzialmente Capitalistico – Liberista. Del resto, sappiamo che la Socializzazione – pure azzardata nella Repubblica di Salò – costituiva uno dei principali punti di disaccordo fra Marxisti Ortodossi e Revisionisti Soreliani.
Concludendo, e cercando quindi di comporre un bilancio in grado di render conto tanto delle intenzioni che del loro esito, parlerei del Fascismo come di un fenomeno essenzialmente riformista, dotato di elementi rivoluzionari e continuità con il Regime Liberale, di spinte progressiste e salvaguardia di quegli elementi della Tradizione ritenuti – a torto o a ragione – ancora vitali.
Mi sia concessa un’ultima nota, di carattere metodologico: “Rivoluzione” e “Reazione” sono termini che obbligano a operare un confronto, per cui personalmente ho scelto non le direttive o gli spunti esteri, bensì l’Italia Liberale, diretto antecedente del Fascismo. La motivazione è duplice: innanzi tutto l’esigenza di prendere in considerazione il sostrato reale, ovvero la situazione di partenza su cui il Governo si sarebbe trovato ad agire; in secondo luogo la ferma convinzione che ogni Nazione, pur nella molteplicità delle relazioni internazionali, abbia il diritto a un proprio sviluppo, proporzionato alle proprie risorse materiali e intellettuali, e che non sia dunque tenuta a uniformarsi alla condotta dei Paesi vicini. Inoltre, un confronto su scala internazionale richiederebbe l’impiego di astrazioni quali “progresso” e “regresso”, carichi di connotazioni ideologiche.