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L’Italia negata dal Risorgimento

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view post Posted on 13/12/2011, 22:16
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Condivido, molti si dimenticano che l'Italia e gli italiani c'erano da molto prima... :coffee:


L’Italia negata dal Risorgimento
di Mons. Luigi Negri

Anticipiamo qui sotto ampi stralci dell’introduzione di “Risorgimento e identità italiana: una questione ancora aperta”, il nuovo libro del vescovo di San Marino-Montefeltro, monsignor Luigi Negri.

L’Italia ha una storia che non può essere ridotta agli ultimi 150 anni, alla storia dello Stato unitario. Esiste una nazione italiana da molto prima, così come ha ricordato il cardinal Giacomo Biffi nel suo ultimo, breve ma estremamente significativo, scritto sull’argomento: con la costituzione del Regno d’Italia «è vero che in qualche modo si era dato origine all’Italia politica; ma agli occhi del mondo gli italiani esistevano già da almeno sette secoli e, proprio come italiani, almeno da sette secoli erano oggetto di stima e di ammirazione da parte di tutti gli altri popoli».


Questo perché l’identità italiana nasce innanzitutto da un punto di vista culturale e religioso, come non ha mancato di evidenziare anche Benedetto XVI: «Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX secolo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. […] Perciò l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo».

Tuttavia troppe volte nelle recenti celebrazioni del 150° anniversario della nascita dello Stato unitario ci si è dimenticati di tenerlo presente. Nasce lo Stato, la nazione e il popolo: questo è il dogma che attraversa centocinquant’anni di storia d’Italia. L’identità italiana viene fatta coincidere con la nascita di un assetto statuale nuovo. In questo consiste il più grande limite di molta storiografia, di molti discorsi che si sono sentiti nelle celebrazioni dei mesi scorsi. Infatti, l’identità di un popolo è caratterizzata da una cultura, da una concezione globale della vita, che diventa un ethos, un insieme di princìpi morali, che diventa una capacità di aggregazione e di creazione civile; una cultura crea inesorabilmente una civiltà.

Spesso si confondono termini come Nazione e Stato, concependoli come sinonimi, dimenticando così che si tratta di realtà distinte, finendo per identificare la società con lo Stato. Tale confusione, non bisogna dimenticare, nasce da un processo storico che, nel corso della modernità, ha preteso di ricondurre la dimensione sociale e culturale alla dimensione statuale.

Esiste oggi la possibilità di ricostruire la verità storica al di là dei miti e della retorica del Risorgimento, senza con questo volere mettere in discussione il valore dell’unità d’Italia? Occorre innanzitutto prendere coscienza che esiste un’identità italiana che precede l’unità politica. Si deve inoltre cercare di capire se la modalità con cui è stata costruita l’unità politica si sia fondata su tale identità, l’abbia rispettata e l’abbia promossa realmente. Per fare ciò è necessario, oltre a riconoscere i guadagni indiscutibili del Risorgimento (indipendenza e unità statale italiana, l’affermazione di un potere di tipo costituzionale, ecc.), non censurare nessun aspetto, anche quelli più controversi. (…)

Risulta necessario evitare tanto il parlare dell’unità d’Italia come del male assoluto, tanto assumere un atteggiamento acritico, incapace cioè di cogliere quei nodi problematici della costruzione dello stato italiano che hanno segnato drammaticamente la storia del popolo italiano: un modello di governo statalista e centralista che è prevalso, il difficile rapporto tra Stato e Chiesa, la guerra civile combattuta nel Sud Italia.

Un tale sguardo consente di cogliere l’evento della nascita e poi del consolidamento del nostro Stato nella sua complessità, così come si è determinato, cercando di non trascurare la molteplicità di fattori, che spetta proprio alla ricerca storica far emergere. In particolare, gli studi più recenti sul Risorgimento e sull’unità d’Italia permettono di avere una visione meno ideologica rispetto a quella che è prevalsa in passato e che ha trasformato la nascita dello Stato, del popolo e della nazione in una sorta di culto civile, come non senza la sua consueta ironia ha evidenziato il cardinal Giacomo Biffi: «Una volta conclusa l’azione unificatrice, con molta accortezza si è elaborato e imposto una specie di “catechismo risorgimentale” edulcorato, nel quale Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi e Mazzini erano indicati alla venerazione degli italiani come gli autori della mirabile impresa. In realtà, la sola cosa che accomunava questi padri del Risorgimento è che nessuno di loro poteva soffrire gli altri tre».

Un contributo decisivo alla nazione italiana è stato dato dal cristianesimo. L’identità italiana è stata curata, educata e sviluppata dalla Chiesa insieme alle famiglie cristiane; per secoli è stata custodita dai padri e dalle madri di famiglia. L’identità italiana quindi è in una storia, che siamo chiamati a riscoprire, riconoscendo anche l’importante contributo dei cattolici.

È nella inculturazione della fede, nel tessuto culturale, antropologico, etico e sociale del popolo italiano che si è costruito ciò che noi chiamiamo Italia, pur nella varietà delle situazioni e delle condizioni che essa ha vissuto negli ultimi 1.800 anni. La Chiesa ha contribuito a formare tale identità attraverso un’opera assolutamente rigorosa e puntuale di educazione. E l’identità italiana è emersa attraverso la vita di un popolo, sia nell’ordinarietà della vita quotidiana, sia nelle grandi vicende culturali e artistiche. È emersa attraverso la vita di un popolo, che cristianamente mangia, beve, veglia e dorme, vive e muore, non più per se stesso, ma per Colui che è morto e risorto per noi. Non c’è niente di straordinario: è stato un cammino lungo di educazione, che ha dovuto fare i conti con le differenze etniche e, nei secoli centrali della nostra storia, con le litigiosità dei piccoli potentati, ancor più gravi delle inimicizie dei grandi potentati. Ne è nato un popolo, un’esperienza storica che gridava la sua bellezza e la sua verità. Ne sono ancora oggi testimonianza le numerosissime opere d’arte che costituiscono il principale patrimonio del nostro Paese, rendendolo unico al mondo.

Tuttavia un’ideologia ha cercato di sostituirsi a questa identità, di contrastare questa esperienza storica, attraverso il cosiddetto Risorgimento. Se non si comprende la differenza fra un’identità che si vive nella storia e un’ideologia che si impone e pretende di cambiare la storia, non si comprendono le vicende degli ultimi due secoli in Europa e nel mondo. Certamente non si capisce la vicenda del passaggio dalla situazione tradizionale alla situazione unitaria e risorgimentale. Ebbene, una minoranza estremamente ridotta di ideologi, di massoni, di filo-protestanti e di borghesi ha preteso che la sua visione delle cose fosse l’unica possibile e che quindi questa dovesse prevalere sulle altre. È la tragica presunzione di chi sostiene che un’idea giusta possa essere imposta anche con la forza, come aveva già previsto Thomas Hobbes (1588-1679). Questa sostituzione è stata fatta senza nessuno scrupolo, usando la violenza, la manipolazione, l’ingiustizia, la sopraffazione e il disprezzo per una maggioranza considerata informe, per quei “cafoni” dei contadini e per quei “fanatici” dei preti, dei frati e delle suore. (…)

Non c’è nessuno che possa dire che sulla storia del Risorgimento abbiamo già conosciuto tutto. Non esiste nessuna autorità, né civile, né religiosa che possa dire: “Avete studiato abbastanza”. Fatta questa precisazione, credo che quello attuale sia un periodo fortunato, perché di queste vicende storiche si sta componendo un quadro sicuramente più inquietante, ma indubbiamente più oggettivo, favorendo quella necessaria purificazione della memoria. È, cioè, sempre più chiaro che non si può procedere senza sottrarre alla vulgata del Risorgimento il suo carattere di indiscutibilità. Occorre ricordare (e forse pochi lo sanno) che, per la prima volta nella storia delle guerre europee, i piemontesi hanno combattuto la grande battaglia di Gaeta (per intenderci quella che formalmente pose fine allo Stato borbonico) bombardando anche civili inermi; così uomini e donne, in fila per il pane o per l’acqua, diventarono improvvisamente nemici da mitragliare e da uccidere.

Per la prima volta in Italia – ha scritto Cardini – la guerra uscì dalla cerchia degli “esperti” e divenne una questione di popolo. Quello stesso assedio deve essere ricordato anche per un altro atto di efferata brutalità: «Di fronte all’inutilità di un’ulteriore resistenza, Francesco II autorizzò il governatore di Gaeta […] a trattare la capitolazione. Era l’11 febbraio e per due giorni si protrassero i colloqui senza che il generale Cialdini cessasse di rovesciare sulla sventurata fortezza una valanga di fuoco; ne aveva anzi approfittato per far entrare in azione altre due micidiali batterie di cannoni a canna rigata. Visto che la resa era sicura, quell’ulteriore dispiegamento di artiglieria era mortalmente inutile». Ebbene il generale Cialdini, che si macchiò di questo delitto contro l’umanità, venne gratificato dal Re d’Italia con il titolo di Duca di Gaeta.

Evidentemente l’ideologia ha sostituito l’identità del popolo non solo con la violenza, ma tacendo una parte sostanziale della storia che non aveva diritto di esistere, dal momento che non era prevista nei piani delle strutture centraliste, burocratiche e amministrative che hanno guidato l’unità. Un progetto che al Sud arrivò con il prefetto di polizia, il capo dei carabinieri e la tassa sul macinato (il cibo dei ricchi!). Senza dimenticare la coscrizione obbligatoria che, come spesso avviene in Italia per i meccanismi a sorteggio, penalizzò i figli dei poveri e mai i figli dei ricchi.

Tuttavia la Chiesa in questi frangenti non si è tirata indietro e, diversamente da quanto spesso si sostiene, non si è posta in termini reazionari contro la novità dello Stato italiano, ma, anche se condannando duramente la modalità con cui era stata realizzata l’unità, non ha mancato di assumersi pienamente le proprie responsabilità, svolgendo un ruolo decisivo attraverso le sue articolazioni (le parrocchie, le confraternite, le opere sociali ed educative) e attraverso lo sviluppo del Magistero sociale, custodendo la cultura del popolo italiano e contribuendo in maniera decisiva a sviluppare una società più democratica. La Chiesa cattolica, pur additando sin dall’inizio i limiti gravissimi di questa operazione ideologica, non ha mai trascurato l’educazione. Tant’è che nel fondo del cuore di ogni cattolico e del cuore delle famiglie cristiane essa ha proseguito la sua azione. È proprio grazie all’opera educativa della Chiesa – consentitemi questa affermazione ardita ma rispondente al vero – che il popolo ha sopportato il susseguirsi delle ideologie, senza mai che il suo cuore ne rimanesse totalmente manipolato: né una certa costruzione dello Stato unitario, né il fascismo, né l’azionismo o il marxismo vi sono riusciti. Ecco perché ha saputo affrontare le condizioni sociali e politiche avverse con molta dignità e capacità di sacrificio.

Chi ha educato centinaia di migliaia di soldati cristiani a essere uomini e a morire sui campi di battaglia in guerre pienamente assurde come la Prima guerra mondiale? Chi ha insegnato loro a servire la patria anche per una causa non condivisa? La risposta è semplice: i parroci e quei cappellani che gli sono rimasti accanto e sono morti al loro fianco. L’esempio più chiaro in tal senso è quello del beato don Gnocchi, che ha vissuto in prima linea la terribile tragedia della spedizione italiana in Russia durante la Seconda guerra mondiale. Il fatto è che in tutta la storia umana non si trova una struttura più realista della Chiesa. Essa continua ad educare i propri figli perfino nelle avversità.

L’esistenza di una certa componente ideologica, già tendenzialmente totalitaria, che negava la cultura popolare di allora radicata da secoli nei princìpi del cattolicesimo, determinante nella concezione di Stato sorto a completamento del processo risorgimentale, è un aspetto importante da tenere presente anche perché, nel lungo periodo di questi 150 anni, le ideologie di allora si sono diffuse nel popolo e hanno costituito culture alternative a quella cristiana. (…)

Ma che cosa può fare la Chiesa affinché la sua identità non sia ridotta soltanto a memoria del passato o denigrata come il male assoluto? Deve, oggi come allora, educare i suoi figli a portare nell’esistenza la testimonianza di Cristo – Via, Verità e Vita. Incontrerà così molti più uomini di quanto si possa credere. Incontrerà anche quegli uomini di buona volontà ancora in attesa di un annunzio chiaro, di una certezza e di un’affezione che li accompagni nella solitudine delle masse tele-manipolate. Non so – storicamente parlando – se la Chiesa italiana sarà capace di assumersi fino in fondo questa responsabilità. So, tuttavia, che laddove un Pastore e una comunità ecclesiale riescono a farlo, si genera una società sana, che lentamente cresce ben al di là dei propri limiti.

Per il resto è compito di chiunque riceva questa educazione portarla lietamente nel mondo come la cultura della vita e la cultura di un popolo che sa da dove viene e qual è il senso della sua esistenza. L’unica alternativa – ha affermato Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae – è la cultura della morte: in effetti tra l’umanità dei figli di Dio e coloro che non hanno conosciuto il Mistero (sant’Ambrogio diceva che non sarebbe nemmeno valsa la pena di nascere, se non fosse per essere stati salvati dal Mistero di Cristo) non esistono vie di mezzo.

www.identitaeuropea.it/?p=493
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tammuz
view post Posted on 14/12/2011, 00:16




Di tutto questo discorso l'unica cosa che condivido è l'affermazione dell'esitenza e dell'"identità" del popolo italiano ben prima dell'unità politica (e a mia avviso enche prima del cosiddetto Medio Evo). Per il resto mi sembra solo una melensa apologia della chiesa cattolica, dimenticando peraltro che il principale ostacolo all'unità d'Italia per molti secoli è stato proprio il papato, dimenticando tutti gli orrori e le ingiustizie che ha compiuto o permesso, dimenticando che se il suo fondatore ( secondo quanto afferma essa stessa) ha affermato che "il mio regno non è di questo mondo" , il regno della chiesa E' DI QUESTO MONDO!! Trovo poi assurdo che, forse per confermare l'attaccamento dei suoi fedeli "filoborbonci", sostenga che l'assedio di Gaeta sarebbe stato il primo in cui si colpirono deliberatamnete civili: francamente questa mi sembra una menzogna enorme! Non so di preciso che sia avvenuto a Gaeta, ma di certo in tutti gli assedi e i sacchi avvenuti nella storia (anche in nome della cosiddetta fede e della chiesa!) le stragi, gli stupri e le torture di civili erano assolutamente "normali".
L'esimio vescovo dà anche prova di un ipocrita opportunismo politico: per decenni, prima sotto il fascismo e poi sotto i governi democristiani fede cattolica e patriottismo risorgimentale si erano del tutto riconciliati e andavano a barccetto (tanto che i parroci oltre al catechismo insegnavano ai bambini l'amore per l'Italia, anche se in modo superficiale)! Ora che il vento è cambiato, anche la chiesa per i suoi interessi si mette a fare del revisonismo risorgimentale a un tanto al chilo!
Ma, oltre a tutto questo, quello che trovo ancora più negativo nella posizione della chiesa cattolica, è il suo pretendere di avere il monopolio della vita spirituale, combattendo, -anche se in modo subdolo e "soft", certo non più con i roghi e le scomuniche-, chiunque voglia trovare una via e una risposta personale ed autentica alla scoperta di sè stesso e alla sua realizzazione spirituale (anche se questo è del tutto ovvio, perchè altrimenti dovrebbe ammettere che la sua "mediazione" non è indispensabile, dovrebbe rassegnarsi a vedere il suo insegnamento ridotto solo a una "proposta", a una via tra le tante possibili, e non alla "verità assoluta" e questo non lo potrà mai accettare!!).
In conclusione mi sembra che questo intervento non faccia che ribadire la presunzione e l'arroganza di un ente che è ben consapevole di avere ancora un enorme influenza nella vita politica, sociale ed economica italiana, e che è ben deciso a non perderlo (anche inserendosi in un dibattito storico-politico già di per sè discutibile e che comunque non le compete).
Mi permetto infine di fare un invito alla chiesa e al clero: ricordando il passo evangelico di Matt, VII,3, smettetela di guardare la pagliuzza negli occhi altrui e guardate le enormi travi che avete nei vostri!!
 
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view post Posted on 14/12/2011, 01:50

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un applauso a tammuz
 
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Unoqualsiasi.it
view post Posted on 14/12/2011, 07:58




Tammuz condivido anch'io ogni parola...una ipocrita, scontata apologia del ruolo storicamente antinazionale della Chiesa cattolica, che oggi taluni suoi zelanti avvocatucoli d'ufficio tentano di negare, stravolgendo la realtà dei fatti.
 
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GIUSEPPE MAZZINI
view post Posted on 14/12/2011, 13:32




coda di paglia di certa gerarchia ecclesiastica che ancora pretende che qualcuno chieda scusa per roma capitale,invece di chiedere scusa per centinaia d'anni di occupazione indebita sulla base di qualcosa che nel vangelo non è nemmeno scritto
 
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Unoqualsiasi.it
view post Posted on 14/12/2011, 13:36




CITAZIONE (GIUSEPPE MAZZINI @ 14/12/2011, 13:32) 
sulla base di qualcosa che nel vangelo non è nemmeno scritto

Per tacere di quel documento assolutamente fasullo e truffaldino passato alla storia come "Donazione di Costantino"... ;)
 
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view post Posted on 15/12/2011, 18:57
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"In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unite dalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima appartenenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla penisola, comincia a formarsi nell’età medievale. […] Perciò l’unità d’Italia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luogo non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma come naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata, sussistente da tempo»."

Se non erro, l'Italia era divisa da diversi lingue neolatine (chiamate dialetti oggigiorno). Fu l'unificazione ad unificare il linguaggio Italiano. Inoltre, il vescovo non ci spiega perche' la nazione che "comincia a formarsi nell'eta' medievale", con un'identita' "forte e radicata" e "sussistente da tempo" fu opposta dalla sua Chiesa quando tento' ed inizio' ad unificarsi. Per non parlare dell'opposizione da parte di altre nazioni, nonostante il fatto che l'Italia fosse "di almeno da sette secoli...oggetto di stima e di ammirazione da parte di tutti gli altri popoli».



Insomma; fumata nera. ASD
 
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tammuz
view post Posted on 15/12/2011, 23:56




Innanzitutto grazie a Dardanide e a Unoqualsiasi che hanno apprezzato il mio intervento.
Poi vorrei fare una precisazione: secondo Poemerium la lingua italiana si sarebbe affermata con l'unità d'Italia. So che lui è italo-americano e quindi gli perdono questo errore...
Poemerium, dalla fine del Medioevo, nonostante fossero usati, e siano ancora frequentemente usati i dialetti, (che sono numerosissimi e diversi non solo da città a città, ma da paese a paese), l'unica lingua di cultura presente nella penisola italica è stata l'ITALIANO. In tutti gli stati preunitari, già da diversi secoli, la lingua della scuola, dell'amministrazione, della stampa, oltre che della letteratura, era l'italiano!
Scrive Silvio Pellico nella sua opera "Dei doveri degli uomini", del 1834, nel capitolo VIII ("Amor di patria"): "Vedi in Italia... uomini viventi sotto diverse leggi, talvolta costretti a guerreggiare l'uno contro l'altro. Ma PARLANO, OD ALMENO SCRIVONO TUTTI LA STESSA LINGUA... SI GLORIANO DELLA MEDESIMA LETTERATURA".
infine un piccolo appello personale: mi sembra di capire che sei un ammiratore di Virgilio (e di Roma antica in genere, visto il tuo nome): allora, se ti va, prova a dare un'occhiata al mio articolo su Virgilio (o meglio la prima parte). Grazie!
 
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tammuz
view post Posted on 16/12/2011, 01:09




Quanto al temporalismo della Chiesa cattolica (e in minor misura di altre chiese cristiane), è un feniomeno complesso, che richiederebbe una lunga trattazione, sia sul piano storico sia su quello dottrinale.
Ora mi limito ad osservare che, a mio avviso, esso non è altro che la logica conseguenza dei suoi principi dottrinali e del suo modo di concepire la propria missione, la cui lontana origine si può far risalire almeno al III secolo. Fu infatti in quel periodo che nella chiesa cristiana prevalse la corrente più rigidamente dogmatica ed esclusivista, che imponeva una totale e passiva sottomissione del fedele, ed accentuava l'importanza del "sacerdozio ministeriale" o "gerarchico", a scapito del "sacerdozio comune" o "universale", per cui il "pastore" non ha la missione di aiutare la "pecorella" a scoprire la verità e il divino dentro di sè (in una prospettiva di carattere "maieutico", propria delle dottrine gnostiche, e considerata gravemente eretica!!), ma quella di proporle, o meglio, di imporle, una "verità" preconfezionata, un dogma indiscutibile, nel quale si vorrebbe ingabbiare l'Assoluto, e che ella deve solo accettare supinamente.
Di conseguenza, se il sacerdote cristiano è l'arbitro della coscienza e della vita spirituale del fedele, ne deriva che indirettamente lo diventa pure della sua vita ordinaria e secolare, e quindi il "potere spirituale" inevitabilemte si traduce in un "potere temporale", o quanto meno in una forte influenza sociale, politica ed economica.
A questo si aggiunga che fin dai primi secoli del cristianesimo si manifestò una distinzione abbastanza netta tra C. orientale e C. occidentale, che poi si accentuò sempre più, fino a sfociare in una rottura definitiva. Il C. orientale ha avuto ed ha tuttora un carattere spiccatamente mistico e contemplativo, rifugge in modo assoluto da qualunque "storicizzazione" o adattamento alle condizioni sociali e culturali esterne; il C. occidentale al contrario ha sempre mostrato una notevole tendenza all'azione in campo sociale e a una dialettica molto intensa, talvolta drammatica e contraddittoria, con la realtà politco-sociale nella quale opera. In Occidente politica e religione si sono spesso intrecciate e confuse, in Oriente le due sfere sono sempre state ben distinte e separate.
Tutt'altro che da trascurare è poi il diverso contesto storico: con il totale sfacelo dell'Impero romano d'occidente, la chiesa latina si trovò a dover assolvere a una funzione di supplenza dei poteri civili e amministrativi propri dello stato; poi la fondazione dello stato pontificio nel 754, con la sciagurata donazione di Pipino, o "Promissio carisiaca" (perlatro è molto dubbio che questa donazione, o promessa di donazione, sia stata spontanea, per cui in realtà l'atto sul quale è stato fondato lo ST della Chiesa è alquanto discutibile), l'inserimento di vescovi e abati nel sistema feudale, la contrapposizione tra papato e SRI,ecc resero la chiesa cattolica romana una vera e propria istituzione politica.
Nulla di tutto questo in Oriente, dove l'impero romano, divenuto bizantino, durò ancora a lungo, sebbene sempre più ridotto in estensione, e dove la chiesa, stante anche il diverso modo di intendere la religione che si è segnalato prima, era subordinata allo stato, tanto che il suo vero capo si poteva considerare il "basileus", che tra i suoi titoli aveva pure quello di "isapostolos" (uguale agli apostoli), che poteva convocare concili e prendere decisoni in materia religiosa.
Quando poi esso sparì del tutto, i cristiani della penisola balcanica così come era successo in precedenza per quelli del Vicino e Medio oriente dopo la conquista arabo-islamica, si trovarono ad essere sottoposti ad autorità politiche islamiche (che ovviamente non riconoscevano alcun potere alla chiesa). In pratica rimase sotto un regnante cristiano solo la Russia, dove peraltro lo zar copiò le istituzioni dell'Impero bizantino, e qundi anche la supremazia sulla chiesa.
Per quanto riguarda lo Stato della chiesa, se siete interessati, ne parleremo un'altra volta... :ita:
 
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Haxeln
view post Posted on 16/12/2011, 19:41




se già personaggi come Dante e Machiavelli parlano della necessità di unire l'Italia un motivo c'era e sicuramente del fatto che già all'epoca c'era una considerazione comune nel sentirsi italiani

che il cattolicesimo possa pretendere una morale da una parte è vero, anche perchè alternative non ne vedo
e comunque ci sono stati dei membri della Chiesa che hanno lottato per l'Italia
qui un assaggio
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=anch...rKHYwkeehSUvt3w
 
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Van Hanegem
view post Posted on 16/12/2011, 23:02




CITAZIONE (tammuz @ 14/12/2011, 00:16) 
L'esimio vescovo dà anche prova di un ipocrita opportunismo politico: per decenni, prima sotto il fascismo e poi sotto i governi democristiani fede cattolica e patriottismo risorgimentale si erano del tutto riconciliati e andavano a barccetto (tanto che i parroci oltre al catechismo insegnavano ai bambini l'amore per l'Italia, anche se in modo superficiale)! Ora che il vento è cambiato, anche la chiesa per i suoi interessi si mette a fare del revisonismo risorgimentale a un tanto al chilo!

Scusa ma i governi democristiani non hanno mai incoraggiato il patriottismo. Tantomeno la chiesa cattolica, se non in un versante molto conservatore.
 
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tammuz
view post Posted on 16/12/2011, 23:51




(risposta a Van Hannegem) Per quanto ne so io, soprattutto in base a testimonianze dirette, le due colonne portanti dell'educazione in Italia, nelle scuole di ogni ordine e grado, erano proprio la religione cattolica, "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica", come recita l'art. 36 del Concordato, e il culto della patria, per quanto il più delle volte in forma retorica e superficiale (come ho precisato nel mio intervento). E nel fare questo le due istituzioni si sostenevano a vicenda, cosa che del resto era nel reciproco interesse. Questo fino agli anni 60-70, quando con l'avanzata, soprattutto culturale, della sinistra il patriottismo cominciò ad essere considerato "roba di destra" e i preti spinti dal "vento innovatore" postconciliare, smisero di parlare sia di fede sia di patria, per dedicarsi solo all'"impegno sociale", nel quale solo veniva ravvisato il "vero" spirito del cristianesimo. POi il vento è cambiato ancora e, tra molte oscillazioni, si è giunti alla situazione attuale, di cui la lettera di quel vescovo mi sembra un esempio significativo, nel senso che, pur riconoscendo esplicitamente all'inizio la realtà autentica e l'unità della nazione italiana, sembra (almeno a me così è sembrato) che il "messsaggio" recondito che vuole trasmettere ai politici italiani sia: "però state attenti che se osate prendere quache provvedimanto a noi sgradito, potremmo passare dalla parte dei "secessionisti"". Tutto questo in linea con la tendenza della chiesa cattolica, che ho rilevato nel mio secondo intervento, a "storicizzare" la sua azione, ad adeguarsi, soprattutto di fatto, se non nei principi, ai mutamenti sociali, culturali, politici per meglio mantenere la sua grande influenza.
 
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Haxeln
view post Posted on 17/12/2011, 10:01




sulla questione patria in realtà non sempre c'è stato uno storcimento del naso, sono tantissimi i cattolici favorevoli alla patria italiana.
certo il cattolicesimo è sopratutto internazionale ma che possa diventare antitaliano, lo escludo, sinceramente quanti segnali si vede che porta in questo senso?
 
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Van Hanegem
view post Posted on 17/12/2011, 12:22




CITAZIONE (tammuz @ 16/12/2011, 23:51) 
(risposta a Van Hannegem) Per quanto ne so io, soprattutto in base a testimonianze dirette, le due colonne portanti dell'educazione in Italia, nelle scuole di ogni ordine e grado, erano proprio la religione cattolica, "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica", come recita l'art. 36 del Concordato, e il culto della patria, per quanto il più delle volte in forma retorica e superficiale (come ho precisato nel mio intervento). E nel fare questo le due istituzioni si sostenevano a vicenda, cosa che del resto era nel reciproco interesse. Questo fino agli anni 60-70, quando con l'avanzata, soprattutto culturale, della sinistra il patriottismo cominciò ad essere considerato "roba di destra" e i preti spinti dal "vento innovatore" postconciliare, smisero di parlare sia di fede sia di patria, per dedicarsi solo all'"impegno sociale", nel quale solo veniva ravvisato il "vero" spirito del cristianesimo. POi il vento è cambiato ancora e, tra molte oscillazioni, si è giunti alla situazione attuale, di cui la lettera di quel vescovo mi sembra un esempio significativo, nel senso che, pur riconoscendo esplicitamente all'inizio la realtà autentica e l'unità della nazione italiana, sembra (almeno a me così è sembrato) che il "messsaggio" recondito che vuole trasmettere ai politici italiani sia: "però state attenti che se osate prendere quache provvedimanto a noi sgradito, potremmo passare dalla parte dei "secessionisti"". Tutto questo in linea con la tendenza della chiesa cattolica, che ho rilevato nel mio secondo intervento, a "storicizzare" la sua azione, ad adeguarsi, soprattutto di fatto, se non nei principi, ai mutamenti sociali, culturali, politici per meglio mantenere la sua grande influenza.

Condivido questa precisazione.
Tutto cambia col concilio vaticano II.
 
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view post Posted on 18/12/2011, 00:01
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"Poemerium, dalla fine del Medioevo, nonostante fossero usati, e siano ancora frequentemente usati i dialetti, (che sono numerosissimi e diversi non solo da città a città, ma da paese a paese), l'unica lingua di cultura presente nella penisola italica è stata l'ITALIANO. In tutti gli stati preunitari, già da diversi secoli, la lingua della scuola, dell'amministrazione, della stampa, oltre che della letteratura, era l'italiano!"

Grazie Tammuz, apprezzo tutti i tuoi interventi. A proposito della lingua di cultura Italiano, ho sempre pensato che il Latino fosse tale, ma che dopo la pubblicazione della Divina Commedia il Toscano inizio' a sostituirlo. Un altra cosa; la frase chiave qui e' "lingua di cultura". Prima dell'unita del Bel Paese la maggior parte della popolazione non era preparata. Un contadino o un artigiano del Piemonte non poteva comunicare con un suo pare Pugliese per esempio. Mentre invece oggi due operai di qualsiasi due regioni possono facilmente fare delle chiacchiere insieme. Mi pare che l'unita del paese abbia qualche cosa di fare con questo fatto.

QUOTE
infine un piccolo appello personale: mi sembra di capire che sei un ammiratore di Virgilio (e di Roma antica in genere, visto il tuo nome): allora, se ti va, prova a dare un'occhiata al mio articolo su Virgilio (o meglio la prima parte).

Essere un ammiratore di Roma Antica mi sembra d'essere d'obbligo per un nazionalista Italiano. Lo sono sin da ragazzino. Aspetto con piacere leggere il tuo articolo, lo faro' presto quando lo posso fare con maggiore attenzione.
 
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