| Che storia... Appello pronipote a Mattarella: 'Fu un processo falso' 'Grazia per gli alpini' di Di Andrea Buoso. Foto e video di Andrea MerolaNel 1916 una Compagnia rifiutò di eseguire l'ordine di un attacco suicida sui monti della Carnia. In 80 finirono alla sbarra, quattro furono passati per le armi. Da 27 anni chi si batte per il loro onore dice: "Ora è giunto il tempo della riabilitazione"
C'è un piccolo cippo in pietra con una targa in ottone, quattro nomi e il Tricolore, poco dietro al cimitero di un piccolo borgo della Carnia, Cercivento, in provincia di Udine, a pochi passi dall'Austria. E' un monumento singolare perché è stato dedicato a quattro persone formalmente "disonorevoli": soldati che si rivoltarono contro il capo della loro compagnia, la 109/a Alpina, e contro l'ordine di un assalto frontale al nemico austriaco. Per questo, in 80 vennero mandati davanti a un tribunale straordinario di guerra e processati con l'accusa di "rivolta in presenza del nemico" nell'unica sala sufficientemente ampia da contenerli: la chiesa del paese.
In una notte, dal 30 giugno al primo luglio 1916, quattro furono condannati a morte perché reputati i 'capi' della rivolta: il caporal maggiore Silvio Gaetano Ortis, 25 anni, di Paluzza - il paese confinante - i caporali Basilio Matiz, 22 anni, di Timau, e Giovan Battista Corradazzi, 27 anni, di Forni di Sopra, e il soldato Angelo Massaro, 28 anni, di Maniago.
La vicenda è passata alla storia come la "Decimazione di Cercivento".
Ma la storia non è quella che emerge dai faldoni processuali, e anzi la tradizione del posto parla di un estremo tentativo della truppa di far desistere il comandante da un assalto folle sulla cima del monte Cellon, dove gli austriaci avevano già fatto 800 morti dopo inutili assalti che duravano dal mese di marzo. Una versione che è custodita dal pronipote di Silvio Ortis, Mario Flora, 70 anni, che dal 1988 combatte la 'sua' battaglia personale per ridare l'onore e dare giustizia ai quattro condannati, e a tutti i processati.
"Era una compagnia in gran parte formata da gente del posto - ha raccontato Flora - da soldati che conoscevano bene questi monti. Sapevano che il Cellon ha una parete liscia, da cui gli austriaci sparavano a vista, ed era inutile attaccare da lì. Gli alpini marciavano con gli 'scarpets' ai piedi, delle babbucce di panno di lana. Bisognava approfittare invece di un canalone laterale, che avrebbe permesso alla truppa di prendere il nemico alle spalle. Niente da fare. Quel capitano, Armando Cioffi, voleva eseguire la famigerata 'Circolare Cadorna', il generale che portò alla disfatta di Caporetto".
Quei soldati erano carnici, guardati con diffidenza, di una terra di confine, dove i fratelli combattevano con diversi eserciti. Il sospetto era di combutta con il nemico. Degli altri imputati, 29 furono condannati a pene da quattro a 15 anni, gli altri assolti. Inutile l'appello del parroco del paese, inutili le grida degli abitanti, molti loro congiunti. La sentenza venne letta alle 2.30 del primo luglio, l'esecuzione avvenne alle 4.30 da parte dei Regi Carabinieri. I soldati si erano rifiutati.
La tattica suggerita dai "rivoltosi" poi venne effettivamente utilizzata, e portò alla conquista della vetta con 120 prigionieri. Quel capitano, qualche tempo dopo, morì sotto un treno. Forse qualcuno eseguì una vendetta postuma.
La 'battaglia' per la riabilitazione di Silvio Ortis e degli altri prende il via con una richiesta di pensione di guerra nel 1933. "La mia prozia vendette il suo campo - racconta Flora - per pagare un avvocato che non fece nulla". Nulla è dovuto a chi muore con disonore. Nel 1988 Flora scrisse una lettera-appello al settimanale diocesano La Vita Cattolica. E a sorpresa arrivarono conferme: "Costanzute" (Costanzina), una donna di Paluzza, emigrata all'estero, raccontò di un anziano mezzo matto che venne lì in vacanza nel 1928 e mormorava di aver condannato i quattro, e se ne vergognava. Forse era quel Felice Porta firmatario della sentenza. Altri racconti del pievano dell'epoca vennero raccolti da padre Antonio Bellina, "Pre Belìne", storico esponente della Chiesa carnica.
La via giudiziaria è però sempre stata un fallimento, e una beffa. A norma dell'articolo 683 del codice di procedura penale militare, l'istanza di riabilitazione infatti può venire presentata soltanto dal "diretto interessato", un'assurdità nel caso di una morte per fucilazione. Vani i tentativi di una riforma dell'articolo, respinta l'istanza del 2010 presentata alla Corte d'Appello militare dall'allora ministro Ignazio La Russa. Senza contare qualche commento contrario di esponenti isolati delle associazioni d'arma, che avevano bollato le testimonianze come "generiche" o "chiacchiere da donne".
Solo gli abitanti del luogo, in segno di personale rifiuto dell'evidenza processuale, promossero nel 1996 l'erezione del cippo commemorativo. Le vie di due frazioni di Paluzza e Cercivento sono state intitolate a Ortis, una, a Timau, alla memoria di Matiz. Segni di una orgogliosa rivendicazione della verità, che sembra confinata all'ambito locale.
Resta, ancora, la possibilità di una grazia da parte del Presidente della Repubblica. "Ho fatto appello a quattro presidenti - riassume Flora - ma senza risposte. Ciampi mi rispose dicendo di non poter prendere decisioni, visto che all'epoca la vicenda era ancora 'sub judice'. Adesso però la vicenda giudiziaria è conclusa, spero in Mattarella - sottolinea - forse la grazia arriverà".
Anche Debora Serracchiani, presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, ha scritto recentemente al Capo dello Stato, chiedendo il suo intervento "affinché possa essere formalmente restituito l'onore alla memoria dei quattro alpini fucilati". Flora ricorda che proprio Sergio Mattarella "anni fa presentò a Palermo il libro che ricorda la Decimazione di Cercivento, e ne fu colpito. Speriamo che, dopo cento anni, sia restituita la dignità a Silvio e a tutti i soldati della 109/a. Per onore, verità e giustizia".http://www.ansa.it/sito/notizie/magazine/n...aab8a2501a.html
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